Disponibile su RaiPlay La prima notte di quiete, un film del 1972 diretto da Valerio Zurlini. Nel 1972 Zurlini torna al drammatico con La prima notte di quiete, interpretato e prodotto da Alain Delon, Sonia Petrova, Lea Massari e Giancarlo Giannini. Il soggetto risaliva a otto anni prima e faceva parte di un’ambiziosa trilogia mai realizzata, in cui si intrecciava il destino di una famiglia all’interno delle vicende dell’Italia coloniale. Film amaro e controverso, con la sceneggiatura dell’amico Enrico Medioli che aveva già scritto per lui La ragazza con la valigia, La prima notte di quiete, all’inizio contestato dalla critica, viene molto apprezzato dal pubblico. Si rivela il maggior successo commerciale del regista e uno dei film più visti dell’anno. Il film è stato restaurato nel 2000 dalla Philip Morris. Le scene sono state girate ad Ancona, nella Pieve di Pontemessa (Provincia di Pesaro e Urbino) in Valmarecchia, Rimini, Riccione, Misano Adriatico ed in altri luoghi della Riviera romagnola. La lavorazione fu molto difficile perché tra il regista e il protagonista Alain Delon non ci fu molta sintonia. Giannini ha raccontato in diverse occasioni che alla fine delle riprese il regista salutò l’attore dicendogli: “Spero che la tua sia stata una buona interpretazione”; e l’attore francese replicò: “Spero tu abbia fatto un buon film“. Nonostante questo l’attore francese amò molto il personaggio e per tutto il film indossò il cappotto di cammello e il maglione verde che erano gli abiti personali di Zurlini. Purtroppo la versione che circola in Francia è totalmente diversa da quella italiana a causa dei numerosi tagli e cambiamenti imposti da Delon. La protagonista femminile Sonia Petrova fu segnalata al regista da Giancarlo Giannini, che l’aveva notata a Londra, dove lei era ballerina classica. Con Alain Delon, Giancarlo Giannini, Sonia Petrova, Renato Salvatori, Lea Massari, Alida Valli, Salvo Randone, Adalberto Maria Merli
Trama
Daniele è un giovane professore di lettere, che sta facendo una supplenza in un liceo di Rimini. Autore di un libro di poesie dedicato ad una ragazza morta all’età di sedici anni, ora convive con Monica. Daniele è indifferente alla contestazione che piano piano prende piede nella sua classe. Privo di un’autentica vocazione all’insegnamento, e con un’accesa propensione per il gioco, il professore si innamora di Vanina, una sua allieva.
“La prima notte di quiete è un verso di Goethe, è la morte. Esprime l’idea che l’uomo nella sua traversata della vita ambisce a un riposo che solo la morte potrà dargli“. (Valerio Zurlini)
Una provincia decadente, plumbea, fatta di miserabili evasioni per scampare alla monotonia della quotidianità: è su questo sfondo asfittico che si muove Daniele, l’affascinate professore di lettere interpretato da Alain Delon. Lo vediamo passeggiare all’inizio del film sul lungomare di Rimini, reduce da chissà quale odissea, spento, senza entusiasmo, esanime. Sigaretta perennemente accesa, sguardo torvo ma vivido. Un approdo, il suo, in una terra di confine, oltre la quale non ci si può spingere. Condivide con la compagna, Lea Massari, uno squallido appartamento, in cui si consumano le ultime schermaglie di un rapporto ormai concluso. E poi l’incontro con i “nuovi vitelloni”, una comitiva del posto composta da uomini e donne dediti agli eccessi, all’alcol, alla droga, al gioco, a qualche patetico e stanco diversivo sessuale. Su tutti incombe un chiaro senso di morte, una mancanza di speranza che spinge ognuno a cercare disperatamente un modo per distrarsi, per rimandare il più possibile l’epilogo, per stordirsi. Eppure, Daniele è un uomo colto, sensibile, che avrebbe ancora molto da dare. L’incontro con l’allieva Vanina (Sonia Petrova) potrebbe riaccende in lui il desiderio, donargli un nuovo, inaspettato slancio. Emblematica, in tal senso, è la sequenza in cui Daniele invita la ragazza ad andare a Monterchi: nell’illustrarle la Madonna del Parto di Piero della Francesca, il professore si trasfigura, animandosi di entusiasmo. Anche Vanina sembra rompere quella patina di malinconia e di indifferenza in cui è solitamente immersa. Due solitudini siderali si incontrano e qualcosa potrebbe finalmente accadere.
Inutile negare che il professore di Delon ricorda, ovviamente non solo per il vestiario (l’onnipresente cappotto di cammello), Paul, il carismatico personaggio interpretato da Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci. Non a caso i due film sono coevi (entrambi del 1972), pensati e diretti in un momento storico in cui l’entusiasmo per il benessere economico cominciava a spegnersi, lasciandosi alle spalle i cumuli di macerie di un’umanità allo sbando, priva di ideali, risucchiata nel buco nero di un invincibile sconforto. I vecchi valori erano ormai inadeguati a interpretare il presente e, di contro, non ce n’erano di nuovi in grado di fornire un valido sostegno. Tutto va in frantumi, si sgretola, un po’ come denunciava poeticamente Walter Benjamin in Tesi di Filosofia della Storia, descrivendo un disegno di Paul Klee: “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede solo una catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta“.
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