A maggio di quest’anno è uscito per La Nave di Teseo il libro autobiografico del regista genovese Giuliano Montaldo Un grande amore, un racconto emozionante dove vita e carriera, sentimento e industria del cinema, si intrecciano costantemente ripercorrendo oltre sessant’anni di un percorso umano e artistico denso di avvenimenti. L’amore del titolo si chiama innanzitutto Vera Pescarolo, figlia del produttore cinematografico Leo Pescarolo, sua compagna dall’inizio degli anni Sessanta: l’amore della sua vita, un’unione indissolubile vissuta ancora oggi, all’età di oltre novant’anni, con lo stesso trasporto del primo giorno, un legame simbiotico raccontato al pubblico anche in un recente film documentario di Fabrizio Corallo dal titolo Vera & Giuliano presentato alla Festa del Cinema di Roma nel 2020. Ma l’amore di Montaldo è, ovviamente, anche quello per il cinema e, dunque, l’appassionante storia dell’incontro tra il regista e sua moglie non può prescindere da quella del suo lungo cammino professionale.
Classe 1930, prima di approdare alla regia Giuliano Montaldo ha avuto alcune esperienze di attore in film come Achtung banditi! di Carlo Lizzani (1951), La cieca di Sorrento di Giacomo Gentilomo (1953), Il momento più bello di Luciano Emmer (1957) e ha continuato ad apparire sporadicamente in veste di attore anche in tempi recenti, come nel film di Francesco Bruni Tutto quello che vuoi (2017), che gli valse un Nastro d’Argento speciale e il David di Donatello in qualità di miglior interprete non protagonista. Alla fine degli anni Cinquanta è stato aiuto regista di Gillo Pontecorvo e Carlo Lizzani. L’esordio dietro la macchina da presa risale al 1961 con il discusso lungometraggio Tiro al piccione, di cui curò anche la sceneggiatura: dramma di un giovane combattente repubblichino nell’Italia martoriata dalla guerra e dallo scontro civile, con interpreti Jacques Charrier, Gastone Moschin, Francisco Rabal, Eleonora Rossi Drago. Negli anni successivi Montaldo ha dimostrato altre volte sensibilità e attenzione per temi importanti e delicati: è doveroso citare almeno i film Gott mit uns (1970), Sacco e Vanzetti (1971), Giordano Bruno (1973), L’Agnese va a morire (1976), Gli occhiali d’oro (1987), Tempo di uccidere (1989).
Le polemiche che avevano accompagnato l’uscita del suo primo film ebbero indubbiamente un impatto notevole sulla sua formazione e sul proseguimento di carriera. Tratto dall’omonimo libro di Giose Rimanelli e presentato alla Mostra di Venezia nel 1961, il film era stato accolto positivamente dal pubblico ma fu stroncato senza pietà dalla critica, sia di sinistra che di destra. Evidentemente il pubblico aveva dimostrato maturità e intelligenza accettando senza riserve, dopo circa quindici anni dalla fine della guerra, quella che l’autore del romanzo aveva definito “la storia di un giovane della mia età che vede la Resistenza dalla parte sbagliata”. Dalla parte, cioè, della Repubblica Sociale Italiana, dopo che con l’esautorazione di Mussolini da tutti i suoi poteri, il suo arresto e l’armistizio con gli Alleati reso noto il giorno 8 settembre 1943, l’Italia si era spaccata tragicamente in due: un Sud con le forze angloamericane che risalivano la penisola e un Centro Nord occupato dai nazisti con un governo fantoccio (la RSI, appunto) a capo del quale era stato messo il redivivo Mussolini, liberato dai tedeschi e ormai ridotto sempre più a l’ombra di sé stesso. Si trattava di un argomento ancora tabù e la critica fu impietosa al riguardo. La delusione per l’esordiente Montaldo fu tale che meditò addirittura di abbandonare il mondo del cinema per tornare al suo lavoro nel porto di Genova. E’ riuscito a vincere l’amarezza di quel ricordo soltanto di recente, quando nel corso dell’edizione 2019 della Mostra di Venezia la pellicola è stata riproposta al pubblico nella versione restaurata in 4K dal Centro Sperimentale di Cinematografia. In un’intervista rilasciata al quotidiano «Il Secolo XIX», parlando di Tiro al piccione il regista ha detto che nei primi anni Sessanta “ancora non era il momento per trattare certi argomenti”. “Penso che in Italia ci sia da sempre la brutta abitudine di cercare di dimenticare il passato”, ha dichiarato Montaldo, “o perlomeno la parte scomoda del passato”.
E’ proprio da Tiro al piccione che prende vita il racconto autobiografico di Un grande amore, perché fu all’indomani della delusione per le critiche ricevute dal film che avvenne l’incontro che cambiò per sempre la vita a Giuliano Montaldo. Scrive il regista:
“Sono passati sessant’anni ma il mio esordio nella regia non smette di essere un ricordo amaro. Il pubblico in sala accolse la pellicola con applausi calorosi e convinti, ma il giorno dopo venne massacrata dalla critica. Nonostante la solidarietà di tanti amici, quelle critiche ingiuste e feroci mi ferirono in profondità e stavo meditando di lasciare per sempre quel lavoro e quel mondo. Avevo trentuno anni ed era tutto chiaro: il cinema non faceva per me. Ma a un passo dalla decisione di tornare a casa con le ossa rotte, il colpo di scena. Leo Pescarolo, il produttore cinematografico, vuole incontrarmi nel suo ufficio per discutere una proposta di lavoro. Sono davanti alla porta dello studio di Pescarolo. Dalla stanza accanto si sente una voce maschile: ‘Avanti, si accomodi’. Ma l’immagine che ho davanti agli occhi mi impietrisce. Una creatura splendida, il portamento elegante, lo sguardo intenso. Una giovane donna che sorride. Sorride a me. Avanzo incerto, senza riuscire a staccare gli occhi da quella meraviglia. Il produttore si accorge che continuo a guardare quella deliziosa visione. ‘Si sieda e guardi me’, mi ordina mentre lancia uno sguardo severo a lei, che si sta avvicinando lentamente alla scrivania. Poi, finalmente, cambia tono: ‘Vorrei offrirle un lavoro per la Rai e un gruppo americano’. Dimenticare quel giorno che mi avrebbe cambiato la vita è impossibile. Una proposta di lavoro e un colpo al cuore”.
Una felice storia d’amore, quella tra Vera e Giuliano, raccontata nell’appassionante libro Un grande amore e che dura tuttora: una storia che da oltre sessant’anni procede di pari passo con l’estro creativo di uno dei più apprezzati registi italiani ancora in vita.
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