Il 15 agosto, pochi giorni prima di compiere 85 anni, se ne è andato dopo una breve malattia Gianfranco D’Angelo, il celebre comico romano che tutti ricordano soprattutto per gli esilaranti personaggi proposti nelle cinque stagioni di Drive In, il programma Tv di Antonio Ricci andato in onda su Italia 1 tra il 1983 e il 1988 che, con la sua formula innovativa e il grande successo di ascolti, è entrato di diritto nella storia del costume popolare italiano. Ma nella sua lunga carriera, durata quasi sessant’anni e divisa tra teatro, televisione e cinema, non c’è stato solo il Drive In.
Nato nella capitale il 19 agosto del 1936 da una famiglia povera, rimasto orfano di entrambe i genitori all’età di tre anni e cresciuto con gli zii negli anni tra la guerra e la ricostruzione, fin da ragazzo Gianfranco D’Angelo si è ritrovato a svolgere diversi mestieri: ha venduto giornali alla stazione Termini, ha fatto il muratore, è stato impiegato alla Sip. Ma la sua passione è sempre stata il teatro e ha lavorato anche dietro le quinte come attrezzista e macchinista. Il debutto ufficiale sul palcoscenico risale al 1963 nella commedia teatrale I Teleselettivi. In quel periodo diede vita insieme ad alcuni amici a un teatro di cabaret nel cuore di Trastevere, il Cordino, con testi scritti da Maurizio Costanzo, che all’epoca era caporedattore del settimanale femminile «Grazia». D’Angelo prese parte anche a un programma radiofonico di Costanzo dal titolo Federico eccetera eccetera. Alla fine del decennio fu chiamato da Lando Fiorini a esibirsi al Puff, noto cabaret romano, per sostituire Enrico Montesano e lì fu notato da Garinei e Giovannini che gli proposero di subentrare a Elio Pandolfi nel ruolo dell’arcivescovo in Alleluja brava gente, un musical con protagonisti Renato Rascel, Gigi Proietti e Mariangela Melato, che aveva debuttato alla fine del 1970 al teatro Sistina. Significativa fu poi la collaborazione con la compagnia di varietà del Bagaglino, fondata nel 1965 da Mario Castellacci e Pier Francesco Pingitore, dove D’Angelo ebbe modo di lavorare al fianco di personaggi come Gabriella Ferri, Pippo Franco, Oreste Lionello. L’esordio in televisione, invece, avvenne nel 1971 sulla seconda rete con il programma Sottovoce ma non troppo, per la regia di Giancarlo Nicotra, ma il primo importante ingaggio televisivo lo vide, in veste di conduttore, tra i protagonisti de La Sberla insieme a Enrico Beruschi, Ezio Geggio e La smorfia: un contenitore di natura comica, andato in onda sulla prima rete tra il 1978 e il 1979, che per certi versi può essere considerato un’anticipazione del Drive In e che era seguito da quasi venti milioni di spettatori. Per tutti gli anni Settanta D’Angelo è stato anche una presenza assidua sul grande schermo, dal musicarello Zum Zum Zum (di Bruno Corbucci, 1968) con Little Tony al film La gorilla (di Romolo Guerrieri, 1982) con Lory Del Santo, diventando uno dei mattatori (insieme ad Alvaro Vitali, Renzo Montagnani, Lino Banfi) della commedia erotica all’italiana: ricordiamo almeno La liceale (1975) e La professoressa di scienze naturali (1976) diretti da Michele Massimo Tarantini, L’insegnante (1975), La dottoressa del distretto militare (1976) e La soldatessa alle grandi manovre (1978) di Nando Cicero, L’insegnante va in collegio (1978) di Mariano Laurenti.
Negli anni Ottanta, con l’affermarsi della Tv commerciale di Silvio Berlusconi, arrivò per Gianfranco D’Angelo la consacrazione del successo. Insieme a Ezio Greggio, Enrico Beruschi, Carlo Pistarino, Giorgio Faletti, Sergio Vastano, Enzo Braschi, Margherita Fumero, Carmen Russo, Lory Del Santo, ha animato per cinque stagioni consecutive il palinsesto delle reti Fininvest nella prima serata della domenica (solo nel primo anno il programma andò in onda il martedì) facendo di Drive In una trasmissione cult rimasta ancora oggi ineguagliata, grazie anche al talento degli autori. Gli sketch di D’Angelo nei panni del pupazzone rosa Tenerone o in quelli del signor Armando, addestratore dell’impassibile cane cocker Has Fidanken, e le sue imitazioni di Pippo Baudo, Katia Ricciarelli, Sandra Milo, Raffaella Carrà, Piero Angela, Giovanni Spadolini, Gianni De Michelis, Ciriaco De Mita, sono ancora impressi nella memoria delle generazioni che hanno vissuto il fenomeno Drive In. Ha ricordato D’Angelo in un’intervista a «TV Sorrisi e Canzoni»:
“Il regista Giancarlo Nicotra mi disse che a Milano c’era un imprenditore facoltoso che voleva investire e fare programmi. Studiammo Drive In con Enrico Vaime, Franco Mercuri e Antonio Ricci, e lo proponemmo a Berlusconi. La puntata zero non era piaciuta. Poi Berlusconi la testò su Italia 1 che non aveva ancora un palinsesto abbastanza ricco e funzionò. Ci chiese di fare altre due puntate. Alla terza avevamo già un milione di spettatori”.
Dopo la chiusura del programma, nel 1988 D’Angelo ha condotto con Greggio la prima stagione di Striscia la notizia e tra il 1988 e il 1989 è stato protagonista dei programmi serali Odiens (affiancato da Greggio e da Lorella Cuccarini e con la partecipazione della figlia Daniela) e Televiggiù, realizzato sulla falsariga del varietà televisivo di Renzo Arbore Indietro tutta. In ottimi rapporti con Berlusconi, che lo stimava molto, D’Angelo rifiutò però un contratto decennale, e di conseguenza a tantissimi soldi, perché non voleva sentirsi legato troppo a lungo e allontanarsi dal palcoscenico, aveva ancora bisogno di calcare le scene teatrali: “io dopo un poco mi stufo, voglio vedere il pubblico vero, non quello che fa gli applausi perché lo dice il direttore di studio”. Negli anni successivi è tornato più volte in televisione, in Rai e a Mediaset (Casa dolce casa, Fantastico, Luna di miele, Carramba! Che sorpresa) ma senza mai rinunciare al contatto diretto con il suo affezionato pubblico. Gli ultimi spettacoli portati a teatro da Gianfranco D’Angelo sono stati Quattro donne e una canaglia (2017/18), con Corinne Cléry, Marisa Laurito, Barbara Bouchet, e Eravamo tre amici al bar (2019), con Sergio Vastano e Tonino Scala. L’ultima apparizione al cinema, invece, è quella nel film commedia W gli sposi (di Valerio Zanoli, 2019), nel ruolo del sacrestano.
Il grande Federico Fellini, assistendo ad alcuni spettacoli del Bagaglino al Salone Margherita, aveva intravisto in Gianfranco D’Angelo un potenziale. Per tre volte, incontrandolo di persona all’uscita dei camerini, accennò con entusiasmo all’idea di scritturarlo in un suo film. Purtroppo quest’idea non si concretizzò mai. Il fatto curioso è che la terza volta che si videro Fellini, scusandosi per non averlo mai chiamato, gli parlò di Roma, il film che si accingeva a girare nel 1972, e gli disse: “Se non chiamo te, chi chiamo?”. Scherzando D’Angelo rispose: “Alvaro Vitali”. Alla fine fu scelto proprio Vitali, nel ruolo del ballerino di tiptap. Un’occasione mancata, dunque. Un altro suo rammarico fu quello di non aver mai interpretato un ruolo drammatico, di spessore. Le occasioni non gli erano mai mancate, ma è stato sempre frenato da un profondo rispetto per il pubblico, che lo amava come comico e cabarettista.
Di recente l’attore aveva suscitato aspre polemiche quando si era lamentato del fatto di ricevere una pensione (circa duemila euro) che a suo avviso, pur non essendo miserevole, non era adeguata a una vita di lavoro nel mondo dello spettacolo e ai contributi versati: “non sono in rovina, dico solo che la pensione che prendo non mi permette di godermi quello che ho costruito”, aveva precisato D’Angelo in un’intervista al «Corriere della Sera».
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