In ottobre, in attesa di riprendere un tour interrotto nel marzo del 2020 a causa del covid, uscirà il nuovo album della rockstar inglese Elton John, The Lockdown Sessions, un progetto che come suggerisce chiaramente il titolo è stato concepito nei mesi della pandemia. Il disco si compone di sedici tracce e vede Elton John duettare virtualmente con artisti del panorama musicale internazionale: Dua Lipa, Gorillaz, Miley Cyrus, Nicki Minaj, Eddie Wedder, Stevie Wonder, Glen Campbell e molti altri. “I brani a cui ho lavorato sono interessanti e diversi dalla musica per cui sono conosciuto”, ha dichiarato il cantante, “sono uscito dalla mia comfort zone, ho esplorato territori completamente nuovi”.
L’imminente uscita dell’album The Lockdown Sessions è l’occasione giusta per riparlare del film Rocketman, il biopic dedicato alla vita e alla carriera di Elton John uscito nelle sale alla fine del maggio 2019 e ora disponibile in Dvd, Blu-ray e su Prime Video, che si era aggiudicato alcuni importanti riconoscimenti: l’Oscar alla miglior canzone originale (I’m Gonna) Love Me Again, due Golden Globe (miglior canzone e miglior attore), due Hollywood Film Awards, due Satellite Awards.
“E’ triste, così triste. E’ una triste, triste situazione. E sta diventando sempre più assurda…”. Sono versi della canzone Sorry Seems To Be the Hardest Word, una ballata scritta da Elton John e Bernie Taupin pubblicata nel 1976. E triste è la vita di Elton John (al secolo Reginald Kenneth Dwight) così come ci viene raccontata nel film, dall’infanzia all’apice del successo, almeno fino a quel punto di rottura che alla fine degli Ottanta portò ad una rinascita dell’uomo e dell’artista, con la decisione di sottoporsi ad una cura disintossicante e di dichiarare finalmente in pubblico la propria omosessualità senza più nascondersi.
A dirigere questo biopic è Dexter Fletcher, lo stesso di Bohemian Rhapsody (2018), il film sulla vita di Freddy Mercury premiato con due Golden Globe e quattro Oscar tra cui quello per il miglior attore protagonista a Rami Malek. Ma se Bohemian Rhapsody era stato accusato di trascurare gli aspetti più controversi e trasgressivi del leader dei Queen, Rocketman ci mostra invece tutte le debolezze di Elton John, senza omettere o edulcorare la realtà. Non a caso il racconto, strutturato a flashback, inizia con una seduta di rehab – una sorta di anonima alcolisti, per intenderci – dove il cantante, in uno sfarzoso costume di scena luciferino, esordisce dichiarando tutte le sue dipendenze: dall’alcol, dalla droga, dal sesso e, come se non bastasse, anche la bulimia.
Nato nel 1947 a Pinner, nel borgo londinese di Harrow, talentuoso fin da bambino, Reginald (che adulto è interpretato da Taron Egerton) vive la sua infanzia con una madre altezzosa e poco amorevole e un padre glaciale, scontento della propria famiglia, che non ama per niente il figlio e gli nega perennemente quegli abbracci di cui lui avrebbe tanto bisogno. A distanza di anni, il padre si rifarà un’altra vita, riversando sui due figli avuti dal nuovo matrimonio tutte le attenzioni che non si era mai degnato di rivolgere a Reginald, diventato nel frattempo un musicista di fama internazionale con il nome d’arte di Elton John. L’unica della famiglia a dimostrarsi veramente affettuosa è la nonna (una bravissima Gemma Jones), che intuendo le grandi potenzialità del nipote lo ha sempre spronato a studiare pianoforte al conservatorio e a vincere le sue insicurezze. Pur dedicandosi a studi classici, però, la sua vera passione sarà presto il rock ‘n’ roll. Dopo la gavetta, il banco di prova decisivo è un concerto al Troubadour di Los Angeles nel 1970, dove conquista la platea con una esplosiva Crocodile Rock che fa letteralmente lievitare in aria lui e il pubblico, probabile metafora della sua ormai indiscussa ascesa nel firmamento delle rockstar. Ma nonostante il successo, la scalata ai vertici delle classifiche e la ricchezza, il cantante si vede ancora negare quello di cui ha sempre avuto maggiormente bisogno: l’amore. Sembra trovarlo in John Reid (Richard Madden), che diventa il suo primo manager, ma è solo un clamoroso abbaglio: in realtà Reid non lo ama e pensa unicamente a sfruttarlo per trarne profitto. L’unico rapporto sincero è quello con lo storico paroliere di fiducia, Bernie Taupin (Jamie Bell), con il quale ha instaurato una profonda amicizia e una duratura collaborazione (Tiny Dancer, Rocket Man, Your Song, I’m Still Standing, Candle in the Wind, solo per citare alcuni dei brani scritti insieme). Ma Elton John si sente tremendamente infelice. Dopo un crescendo di eccessi autodistruttivi e il tentato suicidio, arriva infine la decisione di curarsi in una clinica e il film si conclude con l’inizio di un nuovo capitolo nella vita del cantante inglese, di cui vediamo una foto che lo ritrae insieme all’attuale marito David Furnish, conosciuto nel 1993, e ai loro figli.
Prodotto, tra gli altri, da Elton John e dal suo compagno, Rocketman è un film coinvolgente, strutturato come un musical, con frequenti interruzioni musicali dove tutti cantano (non solo il protagonista, ma anche la mamma, il padre, la nonna, l’amico Bernie) dando così forma, attraverso le parole delle canzoni, a pensieri non detti e confondendo la realtà con l’immaginazione, proprio secondo la miglior tradizione del genere. L’unico difetto è quello di far apparire poco credibile il repentino passaggio da un’esistenza che per oltre quarant’anni sembra aver conosciuto solo insoddisfazioni, alienazione, ricerca inappagata della felicità, a un rigenerante e salutare stile di vita che, nei primi anni Novanta, ha coinciso anche con l’inizio di una storia d’amore che dura tutt’oggi: un finale che non lascia alcuno spazio alle sfumature, optando per un happy end formato Broadway alquanto prevedibile.
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