Per Le cinque giornate (1973), unica eccezione non dichiaratamente “paurosa” nella filmografia argentiana, il regista si mette alla prova come un ricercatore e, avvalendosi della collaborazione di Fernando Cataldo, professore di Storia moderna all’Università di Milano, effettua numerose ricerche sul Risorgimento milanese. Argento è autore anche del soggetto assieme a Nanni Balestrini, per un film che racconta la cosiddetta rivolta delle cinque giornate, svoltasi a Milano dal diciotto al ventidue marzo 1848, quando i patrioti milanesi misero in fuga gli occupanti austriaci.
I volti picareschi di Claudio Celentano e Cerusico bene si addicono a due personaggi di perdenti: Cainazzo, un ladro fuggito di prigione grazie a una palla di cannone; Romolo, un panettiere romano la cui attività è andata distrutta sotto le macerie. I due diventano amici e sono coinvolti in avvenimenti rocamboleschi; sono testimoni di scontri tra patrioti e austriaci e conoscono personaggi apparentemente rispettabili ma in realtà deprecabili come la contessa che si eccita alla visione del sangue, o il barone Tranzunto, al comando di un plotone di rivoluzionari, “eroe” sanguinario il quale si macchia anche di uno stupro. C’è una sequenza particolarmente evocativa di come i personaggi di Cainazzo e Romolo rappresentino due aspetti di una classe sociale comunemente mantenuta nella povertà, ma al contempo essa è allusiva di un’affinità di istinti e bisogni: Cainazzo e Romolo salvano la vedova di un traditore incarcerata dai patrioti, e la donna li ricompensa invitandoli entrambi a casa sua; Romolo va a letto con lei mentre Cainazzo mangia e beve nell’altra stanza. Ciascuno soddisfa i propri bisogni, e lo slancio della donna non è un gesto obbligato o una forma di alienazione del corpo. Questo momento guadente è l’unico in un film che si conclude con il rovesciamento di alcune bugie: tale è ad esempio la leggenda che vedeva Zampio, l’organizzatore del furto che aveva portato Cainazzo in carcere, quale eroe della rivoluzione; egli è invece un traditore al soldo degli austriaci.
Più in generale, Le cinque giornate recupera nelle intenzioni un po’ dello spirito irridente di Giù la testa (Sergio Leone, 1971), e si fa beffe di chi si vanta per il proprio operato presuntamente “eroico” al servizio della patria. Romolo verrà fucilato dai patrioti per avere tentato di fermare lo stupro del barone e le parole di Cainazzo concluderanno il film evocando l’indignazione verso la natura ambigua e corrotta dei nuovi dirigenti. Nato come un’immersione nella commedia storica, il film presenta gradualmente meno occasioni per far ridere e alla fine lascia prevalere i toni tragici. Argento omaggia Chaplin e Ėjzenštejn ed è un film in linea con il suo autore, il quale accentua la densità simbolica. Non sono i signori a soffrire tutte le pene della Storia, ma chi è defraudato di tutto e non può vantare protezioni. La sequenza della fucilazione di Romolo al ralenti, con il solo sonoro rappresentato dall’Ave Maria di J. S. Bach e Gounoud, è la rappresentazione di un atteggiamento di distacco nei confronti di qualsiasi giudizio. Ciò che nel film è violenza, sadismo, sopraffazione, diventa alla fine suprema accettazione di un destino che è anche la raffigurazione amara di quanto è stato voluto dalla Storia. Da una parte i carnefici, scellerati strumenti di morte incapaci di vedere il volto di chi soffre e si dispera per i soprusi. Dall’altra parte, la vittima consegnata a un destino ingrato a cui è dedicato lo spirituale risarcimento della musica.
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