E’ il 1975 quando François Truffaut trasforma in pellicola la vera storia, ritrovata per caso e ricostruita attraverso carteggi e documenti, di Adèle, figlia secondogenita dello scrittore Victor Hugo, che fuggì in Canada contro la volontà del padre per inseguire un ufficiale inglese del quale si era perdutamente innamorata.
Il film del pioniere della nouvelle vague, che precede Gli Anni In Tasca e segue Effetto Notte, avrà il merito di trasformare un misterioso fatto di cronaca del 1863, in uno dei più struggenti manifesti cinematografici di amour fou: quella passione d’amore ostinata e irragionevole – come recita il dizionario – che sconvolge la mente e porta alle azioni più folli, spesso alla morte.
Adèle Hugo (Isabelle Adjani), si è imbarcata sotto falso nome per inseguire in Canada l’uomo che ama, il quale l’ha sedotta con la promessa di sposarla. Ma il giovane ufficiale (Bruce Robinson) non vuole più saperne della ragazza. Travestita da uomo, Adèle penetra in un’abitazione dove ha luogo una festa notturna e riesce ad avere un incontro con l’amato. La giovane arriva ad offrire al tenente del denaro (del quale lui ha sempre disperato bisogno a causa dei debiti di gioco) e persino a trovargli una prostituta. Si degrada, si umilia, si traveste, si annulla, compie gesti folli, lo segue ovunque, nella più totale indifferenza da parte dell’uomo. Il padre, Victor Hugo, scrive lettere disperate ed affettuose alla figlia, pregandola di ritornare a casa. A nulla vale la tenerezza paterna, nè l’amore di un libraio che vorrebbe sposarla. Adèle è accecata dal suo amore, che nessuna circostanza al mondo potrà cancellare.
Il magnifico personaggio di Adèle ricorda quello della contessa Livia Serpieri (Alida Valli) nel capolavoro di Luchino Visconti, Senso. Ma Adèle non ha la crudeltà vanesia della contessa oltraggiata, e la sua passione non ne ha la voracità erotica, semmai la sua è una sete di sentimenti, una ricerca ostinata di amore ad ogni costo. Non è debole nè meschina, Adèle, bensì coraggiosa ed indipendente, per essere una donna di quel tempo: il riscatto della sua supplica è nell’ardimento della sua follia, che non può trovare sbocco se non nell’annullamento della realtà. Sempre più debole ed emaciata, scarmigliata e scomposta, Adèle vaga alla ricerca del suo amore perduto fino a non riconoscerlo più quando lo incontra per la strada, tanto è ormai immersa nel sogno, nel delirio.
Gran parte del merito della pellicola va alla felice scelta della protagonista, la allora appena diciannovenne attrice di teatro, ancora sconosciuta al cinema, Isabelle Adjani. Di lei Truffaut disse: «Il suo viso racconta da solo una sceneggiatura intera, i suoi sguardi creano situazioni drammatiche, potrebbe anche permettersi di recitare in un film senza storia, sarebbe un documentario su di lei e varrebbe più di qualsiasi storia romanzata.» Per questa interpretazione, l’attrice ricevette una nomination al premio Oscar 1976, un César e un David di Donatello.
Adèle H è un film dotato di un romanticismo crepuscolare, girato soprattutto in ambienti notturni, con poca luce e molte ombre, condizione necessaria per mostrare al meglio le ombre che albergano nell’animo umano, e la pulsione di morte che si accompagna all’amore. Racconto cinematografico magistrale da riscoprire e non dimenticare più, apprezzato soprattutto da quegli animi dediti all’ideale che non possono accettare il limite imposto dalla volubilità e dall’effimero ma che sono sempre alla ricerca di una ostinata e irriducibile trascendenza.
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