Purificata, detta Puri o Purif (Daliah Lavi), è una bella ragazza che vive in campagna, figlia di contadini: si arrampica sugli alberi, le piace starsene in posti lontani e solitari, è capace di vedere gli spiriti dei morti ed ama, senza riserve, un uomo, Antonio, che è stato il suo amante. Tutto questo, nelle isolate zone rurali dell’Italia alla fine degli anni 50, fa di Purif una strega, una reietta, una diversa, odiata e temuta da tutti i suoi compaesani.
Il regista Brunello Rondi disegna un ritratto femminile conturbante, ancestrale e indomabile, inserendolo nel contesto di un’Italia del sud tanto abbacinante nella sua bellezza ancora selvaggia quanto culturalmente arretrata, preda di superstizioni, rituali e magie. Tale è il desiderio di raccontare questa Italia di cui oggi abbiamo perso memoria, che con spirito documentaristico il regista, per girare Il Demonio, si attiene con scrupolo agli studi antropologici di Ernesto De Martino: “Sud e magia” (1959).
Purificata si aggira tra le pietre bianche e i sassi, come una lupa verghiana (suggestiva la location a Matera), mentre il suo amato Antonio si trova in chiesa e sta convolando a sante nozze con una brava compaesana. L’uomo, nonostante la passione che lo univa a Purif, l’ha infatti lasciata a causa della sua fama di strega, per la sua fame di vita, perchè la diversità è sempre un marchio.
Accudita il minimo indispensabile dai genitori, difesa appena dai fratelli, incompresa, evitata da tutti, la giovane donna, ricorda la dolce Gurù, ragazza con zampe caprine, strega paesana, del racconto di Tommaso Landolfi “La pietra lunare”, ma per lei, a differenza del personaggio landolfiano non c’è accettazione nè comprensione. Rifiutata dall’amato e violentata prima da un pastore e poi da un santone chiamato a furor di popolo per farla guarire, Purificata subisce una possessione demoniaca, preda di una violenta isteria. Il celebre film L’Esorcista di William Friedkin copierà la scena della camminata del ragno effettuata dalla donna, fuori di sè, che arriva a mormorare lingue sconosciute.
Il personaggio del femminile incompreso e oltraggiato, proprio dalla società che si ritiene “civile” è inserito in un contesto narrativo fertile. Infatti di quegli anni è Io la Conoscevo bene di Antonio Pietrangeli, che ha come protagonista Adriana (Stefania Sandrelli) una giovane che viene dalle campagne, bella e ingenua, che inseguendo sogni cinematografici, diverrà vittima di approfittatori di ogni genere. Se il raffinato conoscitore dell’animo femminile Pietrangeli disegna il profilo di una ragazza, solo in apparenza, semplice e sorridente, Rondi plasma una donna che dalle campagne non può fuggire via, caparbia e fiera di quel che è, quindi inevitabilmente pazza o posseduta, una donna da bruciare al rogo. Sia Adriana che Purificata avranno una vita breve, fatta solo di giovinezza.
L’unico momento in cui Purificata può essere sè stessa, proprio come era accaduto ad Adriana, è accanto ad un bambino, che ne rispecchia l’innocenza. Il momento di confidenza con un ragazzino, sulla riva di un torrente, è uno dei più poetici e riusciti del film. Si scoprirà che il piccolo era già morto, e che quella è stata solo un’apparizione. Ma tutto ciò che c’è di bello e di buono, di vero, dalla passione per Antonio agli autentici poteri magici della ragazza, va distrutto, bruciato ed esorcizzato dai paesani infuriati per un cattivo raccolto, per un animale morto, o per una malattia. La proiezione demonologica è figlia della povertà e produce orrori atavici.
Rondi mette in scena una storia, tratta da una vicenda realmente accaduta, che è il canovaccio di tante altre storie reali, succedutesi nello spazio e nel tempo, nelle quali il più debole, il diverso, la femmina folle, sono stati capri espiatori e vittime inermi della violenza collettiva delirante, della più bieca superstizione.
Meravigliosa e inquitante, fra le altre, è anche la sequenza dei contadini che cercano, con cantilene, di allontanare un nuvolone nero affichè non rovini il loro raccolto.
Il film di Rondi non ha nulla da temere dal confronto con pellicole attuali, come The Witch di Robert Eggers, perchè raffronta allo stesso modo la paura del fenomeno soprannaturale con il contesto sociale e culturale ossessivo e malato, non meno orrorifico e disumano, che lo ha covato e generato. Il fim italiano ha tempi più dilatati ed un’impronta documentaristica che non concede mai troppo alla finzione, ma che, quando lo fa, risulta sublime.
Il demonio, tra le tante gemme che racchiude, è anche un racconto di amore e morte, perchè l’amore umano, che prescinde da vincoli e santificazioni, è simile a una malattia, una fattura, una maledizione che il protagonista (Frank Wolff) non sa come domare ed estirpare, riuscendoci infine con l’unico modo che conosce, prima perseguitando e poi uccidendo la donna che ama.
Il demonio è la narrazione modernissima di una ragazza ribelle e orgogliosa che con forza disperata rivendica il diritto di essere quello che è, rivolgendosi alle suore che pur l’hanno accolta e ne provano pietà: – io sono più di voi! – grida Purificata – tu sei brutta e vecchia mentre io so fare l’amore, io conosco segreti e cose che voi non conoscete, che non potete capire.
Terribile, spaventosa nelle sue maledizioni, ma anche piccola, fragile, inerme, la flebile voce di Purifìcata si alza dal suo corpo senza vita e racconta:
“Io nascetti fra liuni e ursi, e la sirena mi cantai li versi, stongo a stu mundo come nun ci stessi, m’hanno messo a lu libro delli spersi”.
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