Horror Express (id., titolo spagnolo Panico en el Transiberiano, 1972), diretto dal regista spagnolo Eugenio Martin dietro lo pseudonimo di Gene Martin e coprodotto dalla società inglese Granada Films insieme all’iberica Benmar Productions, è un delizioso film horror con protagonista la collaudata coppia di attori britannici Peter Cushing e Christopher Lee. Oggi appare inevitabilmente datato e ingenuo, ma all’epoca Horror Express aveva registrato uno strepitoso successo di pubblico in molti paesi, soprattutto in Spagna.
La sceneggiatura ebbe una genesi travagliata. La prima stesura portava la firma di Arnaud D’Usseau. Una seconda versione fu commissionata a Julian Zimet (che compariva con il nome di Julian Halevy), su cui poi il produttore Bernard Gordon rimise mano fino ad arrivare al copione definitivo.
Per Peter Cushing non fu un’esperienza facile. Aveva perso prematuramente la moglie da poco meno di un anno e le riprese si svolgevano in Spagna: la trasferta alimentò in lui un forte senso di malinconia. A dicembre del 1971 Cushing si era recato a Madrid per unirsi al cast, ma appena sbarcato all’aeroporto sentì che qualcosa non andava e comunicò a Bernard Gordon che non intendeva più prendere parte al film, prendendo a pretesto la considerazione che aveva apprezzato la prima versione della sceneggiatura, ma non quella definitiva. Va detto che a Cushing non era mai piaciuto molto viaggiare e stare per troppo tempo lontano dalla sua Inghilterra, ma è più verosimile che il suo malessere dipendesse dal fatto che si avvicinava il Natale, ed era il primo Natale senza la sua Helen. Si sentiva solo, smarrito, lontano da casa, senza l’adorata moglie al suo fianco e così disse di voler ripartire subito. Gordon, preoccupato dal ripensamento di Cushing, si rivolse a Christopher Lee affinché convincesse l’amico a restare. Bastò trascorrere la serata tutti insieme, ricordando i bei vecchi tempi, per risolvere al meglio la situazione. Si salutarono dandosi appuntamento per l’indomani sul set, senza aggiungere altro. Cushing rispettò i suoi impegni contrattuali, trascorse il giorno di Natale insieme all’amico in albergo a Madrid e, una volta ultimato, il film divenne uno dei migliori duetti cinematografici della celebre coppia. A distanza di tempo dichiarò: “Fu un film piacevole da fare e Christopher fu straordinario perché è così bravo con le lingue straniere, ne parla almeno dieci… È molto dura lavorare in un altro paese quando sei abituato all’Inghilterra” (W. Kinsey e T. Johnson, The Peter Cushing Scrapbook, Peveril Publishing, Suffolk 2013, p. 167). Fu, dunque, la vicinanza dell’amico a procurare a Cushing sollievo e i due poterono così lanciarsi in una delle loro più mirabili interpretazioni, in quello che Mark Miller ha indicato come “il film definitivo della Coppia Lee-Cushing” (M. A. Miller, Christopher Lee and Peter Cushing and Horror Cinema. A Filmography of Their 22 Collaborations, McFarland & Company, 1995, p. 290).
In Horror Express si assiste, con risultati migliori che altrove, alla già sperimentata dialettica tra colleghi studiosi di opposto temperamento, “l’eroe aspro interpretato da Lee”, freddo e ambizioso, e il personaggio “più morbido e umano tratteggiato da Cushing” (F. Pezzini – A. Tintori, Peter & Chris. I Dioscuri della notte, Gargoyle, Roma 2010, p. 296). Dopo le incomprensioni iniziali, dettate anche da una malcelata rivalità, il professor Alexander Saxton (Christopher Lee) e il dottor Wells (Peter Cushing) fanno fronte comune, con affiatata sinergia, contro il pericolo, che questa volta è rappresentato da un’intelligenza aliena superiore giunta sulla Terra in età preistorica, sopravvissuta all’interno di un essere umanoide vecchio di due milioni di anni, ridotto alla stato fossile, rinvenuto da Saxton tra i ghiacci della Manciuria. Ora che i resti disgelati di quella creatura metà uomo e metà scimmia sono tornati in vita, la forma di intelligenza extraterrestre ch’era penetrata in essa è in grado di impadronirsi del corpo e della mente di altri esseri umani, seminando il panico sul treno Transiberiano che, nell’anno 1906, da Pechino è diretto a Mosca e su cui viaggiano i due protagonisti. Ormai esperto in dissezioni, Cushing può ripescare nel repertorio del suo Barone Frankenstein (impersonato in una serie di eccellenti film prodotti dalla Hammer e diretti da Terence Fisher) e di altri suoi ruoli di scienziato (ricordiamo almeno il dottor Knox nel film di John Gilling Le jene di Edimburgo, 1960). Chiamato a compiere un’autopsia su uno dei cadaveri rinvenuti a bordo del treno, lo vediamo segargli il cranio ed esaminarne il cervello per capire il motivo degli occhi completamente bianchi che accomunano tutte le misteriose morti. In seguito lo vediamo esaminare al microscopio il fluido prelevato dal bulbo oculare della creatura, abbattuta dall’ispettore di polizia Mirov (Julio Pena). Nell’ultima parte, poi, c’è una battuta di Wells memorabile, che nella versione italiana risulta impoverita, ma nell’originale è tipica di un umorismo inglese che non solo rinsalda l’alleanza tra i personaggi di Wells e Saxton nel film, ma è anche gustosa espressione dell’orgoglio britannico dei due attori nonché amici. Saxton propone che nessuno dei passeggeri rimanga da solo neanche per un attimo e che tutti viaggino a gruppi, in modo che se a uno di essi accadesse qualcosa un altro riuscirebbe a dare l’allarme. I due colleghi decidono quindi di viaggiare in coppia. L’ispettore Mirov, che dopo aver ucciso il fossile umano è all’insaputa di tutti il nuovo involucro prescelto per ospitare quella forza superiore provenuta da un altro pianeta, osserva provocatoriamente: “Ma se uno di voi due fosse il mostro?”. E Wells risponde con fierezza: “Mostro? Ma noi siamo inglesi!”, come a voler dire che gli inglesi sono troppo evoluti perché un’eventualità del genere sia solo ipotizzabile. Senza proferire parola, Saxton/Lee si illumina in volto palesando il suo assenso. “Quando si incarna in un pope fanatico”, scrisse Tullio Kezich recensendo il film, “la «cosa» confessa a Christopher Lee: «Sono una forma di energia che occupa questo guscio». Arrivò da altre galassie al tempo della creazione, reca memorie visive sul mondo prima di Adamo ed è indistruttibile. C’è da scommettere che sopravviverà anche alla catastrofe ferroviaria dell’ultima scena” (T, Kezich, Il Millefilm. Dieci anni al cinema 1967 – 1977, Edizioni Il Formichiere, Milano 1977, vol. I, p. 278).
In Horror Express Cushing e Lee, ha osservato con arguzia Mark Miller, “si scontrano con amabile ironia e poi si alleano per uno scopo comune. La vittoria dei loro personaggi contro l’alieno è anche quella dei due attori, perché ancora una volta hanno reso plausibile l’assurdo. E nessun’altra coppia di attori è riuscita a mostrare in un simile compito tanta disinvoltura” (M. A. Miller, cit., p. 297).
Nel cast, anche Alberto de Mendoza e Telly Salavas.
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