“Sai cosa vorrei? Tutte le persone che mi hanno voluto bene, averle qui intorno a me, come un muro”. Inizia con queste parole, pronunciate da Monica Vitti, il documentario diretto da Fabrizio Corallo e prodotto da Davide Azzolini Vitti d’arte, Vitti d’amore, presentato in anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma e trasmesso dalla Rai il 5 novembre scorso.
Le persone che hanno voluto bene alla Vitti sono tante, come dimostra questo emozionante omaggio ad una delle più grandi attrici del cinema italiano, che il 3 novembre ha raggiunto il traguardo dei novant’anni. Il docufilm si avvale della partecipazione di numerosi personaggi noti della cultura e dello spettacolo, i cui interventi sono inframmezzati a spezzoni di film e interviste d’archivio alla Vitti: Goffredo Fofi, Valerio Caprara, Michele Placido, Giancarlo Giannini, Barbara Alberti, Masolino D’Amico, Christian De Sica, Francesco Maselli, Enrico Vanzina, Carlo Verdone, Paola Cortellesi.
Da tempo affetta da una grave malattia degenerativa che le ha cancellato la memoria, l’ultima apparizione in pubblico della Vitti risale al 2002, quando già da tempo si era ritirata dalle scene. Grande professionista, sempre desiderosa di tirare fuori il meglio di sé, lavoro dopo lavoro per far emergere nuovi sorprendenti aspetti della propria arte, Monica Vitti è stata l’indiscussa mattatrice del nostro cinema, l’unica in grado di affiancare i grandi protagonisti maschili della commedia italiana senza correre minimamente il rischio di essere sovrastata dal loro carisma. Ha tenuto testa, con autorevolezza, a Alberto Sordi, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e anzi, in alcuni casi, è riuscita perfino ad adombrarne l’indiscusso spessore. Di tutti gli artisti con i quali ha recitato, la Vitti ha detto rispondendo alle continue manifestazioni di stima tributatele dai colleghi: “Un’attrice si forma attraverso le persone che incontra e ognuna di loro diventa fondamentale per la sua vita, non solo per la vita di attrice”.
Nata a Roma nel 1931, con il vero nome di Maria Luisa Ceciarelli, all’età di quattordici anni e mezzo le capitò di assistere per caso alle prove di uno spettacolo allestito da un gruppo di giovani in un teatrino di via Piacenza, nella capitale, e incuriosita chiese di potervi prendere parte. Si trattò del suo debutto sul palcoscenico e già si fece notare per rara bravura. Ostacolata, come succede spesso per gli aspiranti attori, dalla famiglia, frequentò comunque l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Silvio D’Amico, dove si diplomò nel 1953. I suoi grandi maestri furono Orazio Costa e soprattutto Sergio Tofano, oltreché attore e regista anche illustratore e fumettista, famoso per aver creato il personaggio del Signor Bonaventura. Tofano fu il primo a intravedere in lei, oltre a doti drammatiche, anche un notevole talento comico e fu lui a consigliarle di trovare un nome d’arte adeguato: nacque così Monica Vitti.
Dal teatro, dove lavorò anche con Franca Valeri e Gianrico Tedeschi dando ottima prova di versatilità, approdò al cinema, dove dopo piccoli ruoli di scarso rilievo venne notata da Michelangelo Antonioni. Fu la consacrazione ufficiale, con i quattro film della cosiddetta tetralogia dell’incomunicabilità che, di grande impatto intellettuale, rappresentarono un decisivo cambio di rotta del cinema italiano dopo la stagione del neorealismo: L’avventura (1960, con protagonista maschile Gabriele Ferzetti), La notte (1961, con Marcello Mastroianni), L’eclisse (1962, con Alain Delon), Deserto rosso (1964, con Richard Harris). “Antonioni mi ha permesso di essere, mi ha fatto capire chi ero e perché dovevo restare com’ero. Mi ha subito stimato, ascoltato, rispettato come individuo, mi ha dato fiducia”: queste le parole di riconoscenza con cui la Vitti ha ricordato il regista che le diede l’opportunità di farsi ammirare in una galleria di personaggi femminili intensi e inediti nel panorama della cinematografia italiana dell’epoca. Con Antonioni, con il quale intrecciò una relazione non sono artistica ma anche sentimentale, l’attrice ebbe per la prima volta un’attenzione che non aveva mai avuto fino a quel momento. I due sarebbero tornati a condividere il set nel 1980, con il dramma barocco tratto da Jean Cocteau Il mistero di Oberwald.
La Vitti divenne poi attrice brillante in pellicole dirette da Luciano Salce (Ti ho sposato per allegria, 1967; L’anatra all’arancia, 1975), Pasquale Festa Campanile (La cintura di castità, 1967), Mario Monicelli (La ragazza con la pistola, 1968), Ettore Scola (Dramma della gelosia, 1970), Alberto Sordi (Amore mio aiutami, 1969; Polvere di stelle, 1973), Steno (Amori miei, 1978): tutte opere dove emergeva chiaramente, soprattutto nel film La ragazza con la pistola rovescio al femminile di Divorzio all’italiana (di Pietro Germi, 1961), quella vis comica che già aveva sfoderato in teatro al fianco del suo mentore Sergio Tofano. “Far ridere la gente mi piace enormemente. Il segreto della mia comicità è la ribellione di fronte all’angoscia, alla tristezza e alla malinconia della vita”.
La Vitti è stata definita la prima vera attrice comica italiana e questo non deve stupire se si considera che stiamo parlando di un momento storico in cui la donna nei film commedia era incarnata principalmente dalle conturbanti maggiorate fisiche e dalle caratteriste (prima fra tutte la strepitosa Tina Pica) che, se pur brave, si trovavano confinate in tipologie di ruoli predefinite e di conseguenza impossibilitate a esplorare territori nuovi di comicità al femminile.
Vincitrice di numerosi premi fino al Leone d’oro nel 1995 e apprezzata anche da registi stranieri tra i quali ricordiamo almeno l’immenso Luis Buňuel, che la volle nella parte della signora Foucauld in Il fantasma della libertà (1974), Monica Vitti ha concluso la sua carriera cinematografica in sodalizio artistico con il suo compagno, il fotografo di scena e regista Roberto Russo (che avrebbe sposato nel 2000, dopo ventisette anni di fidanzamento), recitando in Flirt (1983) e Francesca è mia (1986), diretti da Russo, e Scandalo segreto (1990), scritto a quattro mani dalla coppia ma diretto dalla stessa Vitti, qui al suo debutto dietro la macchina da presa.
Tra gli anni Ottanta e Novanta l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, da cui tutto era cominciato, l’ha chiamata a rivestire il ruolo di docente, un’occasione per regalare alle nuove generazioni qualcosa di quello che la Vitti aveva già avuto dal mondo dello spettacolo in fatto di maturità professionale, riconoscimenti, calore del pubblico: ma, va detto, a quel mondo l’attrice aveva già dato tanto con le sue memorabili interpretazioni ancora impresse nella memoria.
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