Collocandosi in un punto mediano della carriera di Dario Argento, Phenomena è rinvenibile come un film “summa”, che tenta di perfezionare e, al contempo, rielaborare, i furori stilistici del cinema precedente.
Niente di meglio che i toni plumbei, il colore blu intenso della notevole fotografia di Romano Albani, per contribuire a rendere vibranti i chiaroscuri di ispirazione post-espressionista di un film che s’ispira a un mondo contemporaneo ma che vuole essere irriducibilmente altro; un “non luogo” dai contorni inquietanti quale fondale per l’istituto femminile “Richard Wagner”, il collegio in cui la disciplina è particolarmente dispotica e dove si respira un’atmosfera sinistra. Questa volta non ci sono streghe come in Suspiria, ma insegnanti algide che parlano tedesco e paiono nondimeno spettri senza culto, in un racconto che si eleva ad apologo sconcertante sulla difficoltà di vivere con spontaneità le proprie naturali inclinazioni laddove termini come solidarietà e comprensione sono rimossi, mentre il senso delle cose sembra smarrirsi nell’omologazione richiesta prima di tutto ai giovani.
Le adolescenti di Phenomena, capeggiate dalla radiosa Jennifer Connelly, sono ragazze sole, separate dai genitori e dal loro ambiente familiare, che sperimentano un’educazione restrittiva voluta da parenti facoltosi che non hanno tempo da dedicare loro. C’è chi prova a non obbedire agli ordini delle direttrici, come la compagna si stanza di Jennifer che esce la sera e si vede con un ragazzo ma sarà crudelmente punita da un fantomatico assassino. La stessa Jennifer, che comunica con gli insetti per i quali non prova né paura né disgusto, ha crisi di sonnambulismo e precipita sovente in una dimensione altra, simbolizzata visivamente da corridoi tappezzati di porte chiuse, stanze dove possono riconoscersi i difformi, coloro che il mondo civile tiene nell’ombra come un segreto vergognoso. In Phenomena, Jennifer Corvino è figlia di un celebre attore americano che le sue giovani compagne di collegio conoscono e ammirano. L’istituto femminile “Richard Wagner” ha un aspetto glaciale la cui architettura ricorda quella della magione di Mater Tenebrarum. Gli insetti con cui Jennifer comunica non le fanno male, perché trovano in lei un’amica che li tratta con amore e rispetto. Il Foehn è un vento caldo che non smette di muovere gli alberi, le foglie e i capelli dei personaggi, i quali assumono così un aspetto poeticamente “mosso”, in contrasto con il pallore che svuota d’animo i volti.
Nelle vicinanze del collegio si aggira da qualche settimana un assassino che uccide giovani fanciulle, e durante una crisi di sonnambulismo Jennifer assiste all’uccisione di una compagna. Nel bosco, Jennifer incontra una femmina scimpanzé, Inga, che la conduce al laboratorio del suo padrone, l’entomologo John Mc Gregor (Donald Pleasance) i cui studi aiutano la polizia a risolvere le indagini. Questi studia gli insetti e in particolar modo analizza le larve dei cadaveri in putrefazione per desumere l’epoca del decesso. L’entomologo e Jennifer hanno in comune la passione per gli insetti, testimoni di segreti e depositari di una memoria che sempre di più tende a cancellarsi nella mente delle persone. Mentre gli uomini rimuovono abitualmente i ricordi indesiderati, gli insetti sono lì a raffigurare la forma stessa del tempo, la sua durata ovverosia il suo scorrere. La loro vita è breve eppure sono nel film come delle figure filosofiche, in grado di serbare memoria addirittura sui fatti che riguardano gli umani. E, coerentemente, gli insetti sono intelligenti e collaborativi, come la lucciola che mostra a Jennifer la strada per scoprire un guanto lasciato dall’assassino. Si tratta, dunque, di figure che sono parte della personalità stessa della ragazza. La quale porta il guanto ritrovato al professore, che vi riscontra le tracce di una larva di mosca, il “gran sarcofago” solito nutrirsi unicamente di cadaveri umani. L’entomologo rivede in Jennifer i tratti e l’entusiasmo di una giovane collaboratrice con cui lavorò in passato – come una figlia per lui – che fu vittima di un serial killer. Nello stesso tempo, per Jennifer il professore è un ideale amico, e i due possono condividere la loro diversità (il professore è bloccato sulla sedia a rotelle) mettendosi sulle orme dell’assassino attraverso metodi di indagine che richiedono una sensibilità fuori dal comune. Abituata al tono strafottente delle compagne di scuola che la canzonano per il suo atteggiamento stravagante, Jennifer una sera chiama a rapporto un gigantesco sciame di mosche che si getta contro le finestre della scuola. La direttrice crede che Jennifer sia Satana in persona (la signora delle mosche, come nel libro di William Golding) e vorrebbe farla rinchiudere, ma la giovane scappa e si rifugia dal professore. Questi sarà però trafitto dall’arma dell’assassino, che approfitta dell’assenza di Jennifer e della menomazione alle gambe dello scrittore.
Nel frattempo Jennifer cerca di allontanarsi da quella landa desolata e tenta di mettersi in contatto con l’agente di suo padre, ma viene presto recuperata dall’istitutrice, Mrs Brückner (Daria Nicolodi) che la porta nella sua casa e la sequestra. Una casa arredata di specchi oscurati (troppi e un po’ grotteschi, ma la caratterizzazione espressionista si fa sentire) affinché nessuno possa vedere riflessa la propria immagine. Jennifer scopre che l’istitutrice ha un figlio e nel tentativo di scappare dalla sua prigione individua un piano sotterraneo dove si trovano l’istitutrice e Geiger, l’ispettore di polizia incatenato. Dinanzi a loro, una vasca in cui sono immersi cadaveri divorati dai vermi. Pur cadendo nell’orribile vasca, Jennifer riesce a liberarsi e a rendere inoffensiva l’indemoniata istitutrice. Scappa e trova un apparente riparo nella stanza del mostruoso figlio di Mrs Brückner, con una malformazione congenita e tarato mentalmente almeno quanto la madre. È lui l’assassino delle ragazze. Jennifer fugge su un battello ma viene raggiunta dal suo aguzzino. A questo punto chiama in aiuto le mosche che assalgono l’aggressore. Una volta tornata sulla terraferma, sopraggiunge in suo soccorso l’agente di suo padre il quale però viene decapitato dalla rediviva Mrs Brückner, mentre quest’ultima perisce definitivamente sotto le rasoiate dello scimpanzé Inga, venuta per partecipare anche lei a quella danza macabra e a vendicare la morte del padrone.
Argento sperimenta una fusione di horror e fiaba che ha il suo meglio nella presenza davvero carismatica della giovane Jennifer Connelly: come un personaggio delle fiabe, Jennifer si perde nel bosco ed è preda di un potere che sembra governarla ma la sua forza crescerà quando qualcuno saprà mostrarle calore paterno (al posto del padre assente), portandola a credere nelle proprie capacità. Con la forza del suo candore, Jennifer è uno dei personaggi rivelatori del cinema di Argento, cui il regista guarderà per film quali La sindrome di Sthendal o La terza madre. Ma con Phenomena, Argento coglie un movimento in atto nel cinema d’oltreoceano e si avvicina a un pubblico di giovani o teen-agers, che si identificano in figure come Jennifer e ascoltano tanta musica heavy metal e rock. Lo sguardo rivolto al cinema internazionale porta il regista a uno stile ibrido, ma anche a raffigurare una vicenda iniziatica, dove una fanciulla deve sperimentare una prova per poter difendersi in un mondo di sevizie e, soprattutto, deve “sporcarsi”, perdere l’innocenza, per avere la meglio sulla realtà. Phenomena è anche il film che unisce la musica heavy metal ad una vocazione fiabesca che si sporca con il sangue, con i vermi, con le larve che significano e comunicano, perché, almeno loro, sono materia viva, sono reminiscenza continua ed evocazione dal mondo dei morti. Jennifer è la giovane fanciulla che vive due mondi, quello diurno e quello sonnambolico, ma proprio come nel mondo di Disney la ragazza può fare affidamento sulla solidarietà degli animali, in questo caso gli insetti, che la amano, e alla fine sarà la scimmia Inga a salvarle la vita in un finale sanguinario senza remora alcuna. Nel suo percorso sinuoso tra le atmosfere svizzere il regista allude a una dimensione onirica da incubo, che smarrisce gli appigli di plausibilità soprattutto nella parte conclusiva. Il regista conduce allora con convinzione il racconto visionario soprattutto nella prima parte, ma sbanda in un finale che smarrisce la strada un po’ come Jennifer, simbolicamente, perde la strada in un bosco senza una geografia precisa, dove non abbiamo una planimetria e il maniaco vive a fianco dell’abitazione dell’entomologo interpretato da Donald Pleasence.
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