Disponibile su RaiPlay Figlia mia, un film del 2018 diretto da Laura Bispuri, con protagonista Valeria Golino e Alba Rohrwacher. Scritto e sceneggiato da Francesca Manieri e Laura Bispuri, con la fotografia di Vladan Radovic, il montaggio di Carlotta Cristiani e le musiche di Nando Di Cosimo, il film è interpretato da Valeria Golino, Alba Rohrwacher, Sara Casu, Udo Kier, Michele Carboni. Figlia mia è stata presentato in concorso al 68º Festival Internazionale di Berlino ed è uscito nelle sale italiane il 22 Febbraio 2018.
Trama
Vittoria è una bambina divisa tra due madri: Tina, donna amorevole che vive in rapporto simbiotico con la piccola, e Angelica, fragile e istintiva e dalla vita scombinata. Rotto il patto segreto che le lega sin dalla sua nascita, le due si contendono l’amore di una figlia. Dieci anni appena compiuti, Vittoria vivrà un’estate di domande, di paure, di scoperte, ma anche di avventure e di traguardi, un’estate dopo la quale nulla sarà più come prima.
Laura Bispuri: “Con Figlia mia, ho voluto pormi domande sulla maternità. Mi sono chiesta: è possibile crescere con più di una figura materna? Il legame fisico che si ha con la persona che ti ha portato in grembo e ti ha dato alla luce è più importante di quello che si crea con chi invece ti cresce? Ho voluto confrontarmi con uno dei temi caldi dei nostri tempi: il sistema genitoriale tradizionale. Per secoli, le donne sono state indotte a seguire l’ideale della madre perfetta. Credo sia importante e corretto rimettere in discussione tale concetto e ridare valore all’imperfezione. Figlia mia comincia da un sentimento materno arcaico e viscerale ma apre presto una discussione più contemporanea, offrendo una nuova e differente visione, in cui le due donne possono contemporaneamente essere le madri della bambina. Ho cercato un equilibrio perfetto tra le due donne, arrivando a quella che per me era la sola fine possibile: Tina e Angelica sono le madri di Vittoria, in maniera diversa ma uguale”.
Il talento di Laura Bispuri costituisce una ventata di speranza all’interno dell’asfittico panorama cinematografico italiano contemporaneo. Dopo aver magnificamente esordito con Vergine giurata, film insignito con tantissimi riconoscimenti, la regista torna ad affrontare la questione della femminilità, stavolta in riferimento a ciò che ne costituisce la caratteristica più significativa: la maternità. Insieme a Francesca Manieri, delinea una relazione a tre, evocando, in un certo senso, quella trinità latente che informa l’essere di qualunque rapporto. Le due sceneggiatrici non si risparmiano, costruendo una storia esemplare, una tragedia che affonda le radici nel Mito, e la campagna sarda, brulla e sacra, fornisce il perfetto scenario per restituire un’atmosfera evanescente, straniante, tramite cui affrancarsi dalla dimensione cronologica e accedere a una ‘durata’, un tempo emotivo, il solo capace di rendere conto dell’eccedenza di un legame che nella sua ancestrale visceralità s’impone come quello per eccellenza.
Non si esiga, è bene avvertire, realismo dalla narrazione della storia messa in scena: sarebbe una prospettiva errata, che non consentirebbe di comprendere fino in fondo la ricchezza di simboli e riferimenti iconografici di cui è intriso Figlia mia. E non si cada neanche nell’equivoco di credere che le due tipologie di donne tratteggiate, Angelica e Tina (le ottime, ancora una volta, Alba Rohrwacher e Valeria Golino), siano la solita opzione concessa dall’immaginario imperante. È proprio contro di esso che il film si scaglia, attraverso un intenso e sconvolgente rapporto dialettico con cui si tenta di superare taluni anacronistici luoghi comuni, in vista di una femminilità “a venire”, frutto di un movimento sincero, capace di sgombrare il campo da quelle zavorre culturali che, da sempre, impediscono di pensare fino in fondo la peculiarità dell’essere donna.
Bispuri, quindi, architettando un complesso e drammaticissimo rapporto materno a tre, si muove sul campo della rappresentazione, esasperandone volutamente i caratteri e i toni, proprio per agevolare una trasfigurazione che ne consenta il felice superamento. La ridondanza di certe situazioni non può e non deve essere considerata il frutto dell’incapacità di gestire adeguatamente il materiale emotivo maneggiato, piuttosto è vero il contrario, laddove lo scontro mortale tra le due donne protagoniste costituisce la premessa per far collassare tutto ciò che di stantio e mortifero obnubila lo sguardo dello spettatore (in particolare di sesso maschile), il quale, in tal senso, subisce uno shock che lo ridesta da un fatale torpore.
Vittoria (la brava, tenera e commovente Sara Casu) – nel nome un destino – raffigura un nuovo scenario possibile, che deve essere con ostinazione sempre tracciato, poiché il divenire non è un movimento da subire o in balia del quale essere sballottati, quanto, invece, uno spostamento che riformula la topologia simbolica e che convoca incessantemente ciascuno di noi a incarnare quelle indispensabili linee di fuga che disegnano il futuro. Ciò che Figlia mia mette in scena, a partire da suggestioni antichissime e sempre incisive, è proprio l’urgenza di dare un vigoroso inizio ai processi di soggettivazione di domani, all’interno di un’umanità nuova, liberata dai rapporti di forza.
I volti di Angelica e Tina che per un istante si avvicinano fino a confondersi rievocano senz’altro l’indimenticabile Persona di Ingmar Bergman: il viso della madre, nella sua eccedenza, si tramuta, anche stavolta, in schermo su cui scorrono le prime immagini della nostra vita, quelle che determineranno lo sviluppo della personalità di ciascun individuo. In questo senso, Figlia mia acquisisce un altro pregnante significato, ricordando quanto il cinema sia un dispositivo da cui siamo in un certo senso costituiti, qualcosa che è contenuto in noi come capacità d’immaginazione e che, ogni volta, può fornire l’occasione per destarsi e guardare il mondo con occhi nuovi.
Lascia un commento