Il 9 novembre del 1989 è una data significativa per i tedeschi e di fondamentale importanza per gli storici: questo giorno segna la ricorrenza della caduta del muro di Berlino, una lunga linea di cemento e filo spinato che aveva impedito a molti tedeschi orientali di lasciare la DDR per cercare rifugio in Occidente.
A distanza di pochi mesi da quest’evento straordinario, nel febbraio del 1990, fu celebrato il Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il primo evento cinematografico organizzato nella Germania da poco unificata.
In quell’edizione l’Orso d’oro fu assegnato ex aequo a Jiri Menzel per il film “Allodole sul filo” e a Costa-Gavras per “Music Box”.
Se il primo film ricevette una particolare attenzione poiché attinente alla drammatica condizione in cui versavano i cittadini dell’Europa Orientale durante la Guerra Fredda, l’opera di Costa-Gavras conquistò il pubblico e la critica non solo per la storia ma anche per le tematiche trattate.
Il regista greco Costa-Gavras aveva ricevuto la sua consacrazione per i suoi precedenti capolavori “Z-L’orgia del potere”, vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes e del Premio Oscar per il miglior film straniero e “Missing”, che fruttò al regista la Palma d’Oro a Cannes e l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.
“Music Box” fu il terzo grande successo di Costa-Gavras e il frutto di un lavoro che aveva coinvolto tutti i suoi più fedeli collaboratori. Particolarmente apprezzata fu la sceneggiatura scritta da Joe Eszterhas, che aveva già collaborato con Costa-Gavras in “Betrayed” l’anno precedente.
Il contributo portato da Eszterhas sarà di determinante importanza per la riuscita del film soprattutto perché l’opera trattò alcuni aspetti simili a vicende personali vissute dallo sceneggiatore ungherese. Eszterhas era infatti nato a Csakanydoroszlo durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e cresciuto in un campo di rifugiati nell’Austria occupata dagli Alleati.
Nel 1989 l’ amara scoperta sul passato del padre Istvan, appartenente al partito delle Croci Frecciate e attivista nella propaganda antisemita ungherese, tra il 1944 e il 1945, procurerà un forte shock a Joe, determinando la rottura dei loro rapporti fino alla morte di Istvan nel 2001.
Lo sceneggiatore, Joe Eszterhas, acquisirà proprio grazie a “Music Box” una grande notorietà che gli consentirà successivamente di prendere parte a film campioni di incassi tra cui “Basic Instinct” di Paul Verhoeven.
Il regista greco Costa-Gravas oltre a dare dimostrazione di aver sapientemente scelto la persona a cui affidare la sceneggiatura del film seppe con altrettanta maestria selezionare i protagonisti a cui attribuire le parti. I ruoli dell’imputato Mike Laszlo e di sua figlia Ann Talbot furono assegnati rispettivamente ad Armin Mueller-Stahl e a Jessica Lange.
Armin Mueller-Stahl per ottenere il ruolo del protagonista dovette non solo affrontare la fama di leggende del cinema del calibro di Walter Matthau e Kirk Douglas ma dovette soprattutto superare i pregiudizi relativi alla sua nazionalità poiché, in quanto cittadino della DDR, era stato sospettato di avere legami con la Stasi, il servizio segreto della Germania Orientale.
A Jessica Lange la strada fu invece spianata dal successo ottenuto con le pellicole “King Kong”, “Il postino suona sempre due volte” e dal film “Tootsie” che le fece guadagnare non solo i consensi della critica ma anche il Golden Globe e soprattutto l’Oscar come miglior attrice non protagonista.
Jessica Lange per calarsi al meglio nei panni della protagonista dovette affrontare letture impegnative sulla cultura magiara e sull’Olocausto.
La pellicola narra la storia di Ann Talbot, un avvocato di origine ungherese che accetta di difendere il padre Mike Laszlo dalla grave accusa di crimini contro l’ umanità poiché ritenuto, secondo la pubblica accusa , un membro di una sezione speciale della polizia ungherese responsabile di numerose atrocità a danno della popolazione ebraica della città.
La donna è convinta che suo padre sia vittima di un complotto del governo comunista ungherese, un sistema che l’anziano Laszlo ha sempre avversato.
L’Ungheria dopo la rivoluzione del 1956 è rappresentata da un sistema deciso a condannare i dissidenti e ad ostacolare ogni forma di opposizione al potere centrale.
La trama del film si sviluppa seguendo il lento ritmo del processo, attraverso le deposizioni delle vittime sopravvissute all’ olocausto, giunte dall’Ungheria per dare testimonianza delle atrocità subite e riconoscere nell’ imputato il colpevole delle loro sofferenze.
Hanno un ruolo di primo piano i racconti sull’ insensata malvagità degli ordini che Lazlo impartiva per perseguitare gli ebrei, l’ aspetto psicologico del gruppo di testimoni, per i quali era impossibile persino posare lo sguardo su quell’ uomo fautore di tante atrocità , e il senso di colpa nei confronti di tanti che meno privilegiati di loro non erano riusciti a salvarsi.
La storia non si esaurisce negli Stati Uniti poiché il giudice del processo riterrà opportuno che le parti si rechino a Budapest per ascoltare la testimonianza di un uomo gravemente malato che avrebbe potuto fornire prove decisive per la definizione del giudizio.
Il viaggio a Budapest, costituirà per Ann Talbot non solo il modo per venire a conoscenza di fatti che sveleranno i lati oscuri della vicenda, ma rappresenterà un doloroso cammino di riflessione interiore proprio come il triste percorso in taxi nelle strade di una città non ancora guarita dalle profonde ferite della guerra. E’ esemplare la scena in cui la donna si ferma nei pressi del Ponte delle Catene sulla riva del Danubio, le cui acque limpide e azzurre durante la guerra spesso erano contaminate dal sangue delle numerose vittime gettate nel fiume.
Music Box non è soltanto una delle storie che raccontano un periodo di crisi e di terrore, non è soltanto la storia di un processo e dei suoi sviluppi, ma è anche la storia di un rapporto tra un padre e sua figlia.
Mike Laszlo è un vedovo che ha cresciuto i suoi figli con tutte le difficoltà che un uomo solo si trova ad affrontare , un padre affettuoso ma anche una figura di riferimento soprattutto per la figlia che ha sempre potuto contare sulla sua presenza durante ogni momento della sua crescita e ogni momento difficile .
Mike Laszlo è anche un nonno amorevole e una figura di rilievo per la comunità ungherese di Chicago.
Dopo il viaggio a Budapest, per Anna Talbot tutte le certezze che avevano contraddistinto la figura paterna crollano improvvisamente e la protagonista si ritrova completamente smarrita in un conflitto interiore che sembra soffocarla.
Ann Talbot è riuscita a neutralizzare tutte le accuse presentate contro suo padre, il suo amore di figlia e la sua abilità di avvocato l’ hanno portata a vincere la causa più importante della sua vita , ma come “persona di legge” non può sottrarsi al dovere di far valere la giustizia, infatti come molto spesso accade la verità processuale non corrisponde alla verità dei fatti.
Nella scena finale del film, carica di drammaticità e di tensione, una figlia affronterà suo padre, un uomo che in realtà non ha mai veramente conosciuto e di cui non può ignorare le ignobili azioni commesse in passato. Proprio durante i festeggiamenti per la vittoria della causa, Mike Laszlo è messo allo scoperto dalla figlia che gli rivela di essere a conoscenza della verità.
Dopo aver tentato invano di negare ogni suo coinvolgimento e responsabilità l’uomo finalmente non riuscendo più a sostenere la falsa immagine di se’, costruita nel tempo , mette a nudo tutta la sua superbia e arroganza ammettendo di non provare alcun rimorso per i crimini compiuti.
L’ “orgoglio” manifestato da Lazlo per le azioni commesse, da lui ritenute “giuste”, e l’ ostentazione di un atto di forza come la prevaricazione su persone considerate “inferiori” che in un eccesso di tracotanza non riesce più a celare , porteranno Ann Talbot ad agire secondo coscienza.
Ann Talbot si oppone alla concezione arbitraria di “giustizia” del padre, convinta che la giustizia sia la conferma di un bene assoluto e che come sosteneva Cicerone “La giustizia è uno stato morale, osservata per l’utilità comune, che attribuisce a ciascuno la sua dignità.” Proprio come la Dike, divinità della giustizia, armata di spada e bilancia, custode delle leggi e protettrice dei tribunali, riferisce a Zeus le colpe degli uomini così Ann Talbot decide , per un senso di giustizia ma non senza sofferenza, di fornire alla pubblica accusa le prove in grado di condannare suo padre, rendendo giustizia e onore a tutte le vittime sopravvissute e a quelle meno privilegiate che non si sono potute salvare.
Un gesto estremo, doloroso e difficile da compiere ma che mantiene integra la dignità di una persona che, ormai persa ogni certezza, è decisa ad affrontare la verità con tutte le conseguenze che essa comporta.
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