Il regista statunitense Adam McKay, già Oscar nel 2016 per la sceneggiatura de La grande scommessa, mette su una divertente commedia dai risvolti drammatici, radunando un manipolo di attori formidabili. Don’t look up esordisce come il più classico disaster movie, mentre il suo scopo è fotografare, estremizzando e satirizzando (ma non troppo…), la società contemporanea, manipolata a piacimento da una demenziale oligarchia e da impulsi mediatici e social: incapace ormai di distinguere verità da finzione, di percepire e differenziare la serietà dall’intrattenimento.
Il professor Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e la studentessa di astronomia prossima alla laurea Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), fanno una scoperta agghiacciante: un’enorme cometa è entrata nell’orbita del sistema solare ed è in rotta di collisione con la Terra. L’impatto è previsto tra 6 mesi e sul nostro pianeta, da quel momento in poi, la vita cesserà di esistere.
Insieme al dottor Oglethorpe (Rob Morgan), certi del risultato dei loro studi, comunicano l’imminente fine del mondo al Presidente Orlean (Meryl Streep) e a suo figlio, il capo di gabinetto Jason (Jonah Hill), sperando in tempestivi provvedimenti. Ma il presidente è completamente assorbito dalla sua immagine pubblica, la politica è strutturata come una fiction, e la gravità della situazione non viene compresa. In realtà, nulla diserio o importante può essere metabolizzato e realizzato da una società che è diventata un grande show, come il programma mattutino di Brie (Cate Blanchett) e Jack (Tyler Perry), The Daily Rip, nel quale, penosamente, i due scenziati cercano di comunicare al mondo la tremenda notizia.
Da testimonianza della più recente cronaca, un oggettivo fatto scientifico diventa un fenomeno mediatico e politico, non solo spettacolarizzandosi e perdendo quindi concretezza, ma dividendo in modo partigiano la classe politica e la popolazione. Sarà vero o non lo sarà? Ci credo o non ci credo? Look up, guarda sù, verso la cometa dalle dimensioni di una montagna, che ormai comincia e lampeggiare minacciosa nel cielo, oppure don’t look up, come sostiene il presidente, non guardare in alto, ma vai avanti coi piedi ben piantati sulla terra senza curarti dei pronostici dei catastofisti. “Andrà tutto bene” oppure “Moriremo tutti”? La paura, in un senso o nell’altro, viene strumentalizzata dalla politica. E’ possibile tutto, ma anche il contrario di tutto.
La demente gestione politica e la superficialità imperante ricorda fortemente il visionario Idiocracy di Mike Judge, la storia raccontata è il negativo del cupissimo Melancholia di Lars von Trier, ma il film di Adam McKay ha la furbizia di sfiorare l’attualità pandemica senza prendere assolutamente una posizione, anzi, gridando che la deficienza sta proprio nel prendere una posizione, nell’accettare uno slogan o un altro: no-questo e no-quello. Infatti se è vero che gli scienziati più autorevoli andrebbero ascoltati, è anche vero che la TV andrebbe silenziata.
Nelle mani di un delirante miliardario, leader di una compagnia di cellulari – una sorta di Bill Gates – finanziatore del partito politico al potere, di un presidente completamente folle e della giornalista Brie, tutti narcisisti egoriferiti, ipermaterialisti, il cui unico credo è rappresentato dai soldi e che si riempiono la bocca di battute spiritose, propositi falsamente umanitari o ecologisti, posti di lavoro, fame nel mondo e biodiversità, comunicando alla popolazione messaggi confusi e manipolatori, il pianeta e l’umanità tutta scivolano, non troppo lentamente, verso la catastrofe.
La romantica e stereotipata canzoncina della star del pop (Ariana Grande) è la giusta colonna sonora di un’epoca che sembra essere giunta al punto più basso della sua storia evolutiva. La normalità, l’umanità, ormai smarrita, diventa la sola risposta sensata, ma ormai inutile e tardiva, dei due scienziati che, accanto agli amici e alle persone più care, si riuniscono in una tranquilla cena di famiglia, parlando delle cose più semplici, mentre il pianeta esplode.
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