West Side Story è un musical immersivo, che solleva il grande manto di una riproduzione urbana con cui il cinema reinventa un ambiente e lo porta allo sguardo dello spettatore del 2021, innescando una curiosità trepitante. Forse l’attesa per l’incontro con il rifacimento, con la riesumazione rivisitata di un immaginario amatissimo (il musical di Broadway portato al cinema da Robert Wise e Jerome Robbins nel 1961), è talmente alta, che il nuovo film di Steven Spielberg paga un po’ lo scotto di una certa iniziale sensazione di freddezza, cui si aggiunge il compito di dover attivare un’inevitabile empatia con la moltitudine di giovanotti che clamorosamente occupano la scena in ogni inquadratura, nel disegno evidente di dipingere il senso della coralità del conflitto tra bande. Poi però non ci sono dubbi, la scintilla espressiva ed energica dell’autore di Schindler’s list non tarda ad arrivare, e West Side Story si esprime come il compimento riuscito di un sogno che il suo autore inseguiva da anni.
Il film non sbaglia i tempi e trascina nel suo sguardo tutto dalla parte di Tony e Maria, giocando presto la carta dell’innamoramento fatale tra i due giovani protagonisti, per darsi con irruente bellezza come lo spettacolo di un cineasta incantatore che ci propone di muoverci tra più mondi, un po’ come fu richiesto all’aviatore di Always, precedente remake spielberghiano il cui protagonista, una volta passato a miglior vita, continuò a planare tra la dimensione reale e quella dell’altrove immaginario, edificando una visione in cui il reale e il sogno si alimentavano a vicenda. West Side Story versione Spielberg, si rivela allora come uno dei film più ispirati e liberanti del suo autore, tra i meglio diretti e condotti: racconto sbalorditivo di un regista innamorato di un classico e pronto a risollevare la modernità tra la polvere della memoria, traghettando l’utopia di un possibile cambiamento tra le strade delle discriminazioni nel rischiare orgogliosamente quello che già Coppola o Scorsese avevano osato, l’incontro-collisione della New Hollywood con il musical. Per via del suo incandescente dinamismo, per il tramutarsi del reale nella trasognata quintessenza di un sogno cinematografico, il nuovo film di Steven Spielberg, che sembra coronare il desiderio di un nuovo musical oltre tempo massimo, non è esattamente il suo primo lungometraggio a strizzare l’occhio al musical, ma un titolo in cui si riassume esaustivamente e in termini di remake il compimento armonico di una vicenda cinematografica baldanzosa che dura da tanti anni, lanciata dalla corsa di Duel e proseguita con gli incontri tra gli esseri umani e i visitatori dello spazio di Incontri ravvicinati, rilanciata sulle acrobazie funamboliche dei quattro indiana Jones sino a quelle di Leonardo di Caprio protagonista in fuga in Prova a prendermi. Un cinema, quello di Spielberg, con accelerazioni e innegabili momenti di “danza” anche fuori dal contesto del musical, dove però questa volta il quotidiano si confronta con il sovvertimento eversivo del canto e attraverso i numeri musicali per dare energia e voce a istanze antropo-sociali da riconsiderare alla prova del tempo: in questo film ambizioso e complesso Steven Spielberg porta con sé la consapevolezza di realizzare il remake di un titolo amatissimo come un omaggio alle luci di un altrove che in Spielberg abita da sempre nella memoria cinematografica e in quel serbatoio cinefilo di cui è costituito il suo immaginario.
Se è vero che i film migliori di Spielberg derivano dai suoi progetti più sentiti, West Side Story avvicina la perfezione formale al cuore pulsante di una passione che alcuni titoli precedenti del cineasta non erano riusciti a sprigionare adeguatamente, perdendo un po’ del potenziale immedesimativo e della forza espressiva. Partendo dall’impeccabile dimensione del remake ultra-fedele, Spielberg inquadra, tra gli edifici in demolizione in cui stanno per sorgere nuovi quartieri, le strade contese dai Jets, immigrati europei di seconda generazione, e dagli Sharks, un gruppo di portoricani che ha raggiunto New York in epoca più recente, che si scontrano nel pieno della trasformazione urbanistica, e si contendono le vite di Tony e Maria, incontratisi al ballo e subito innamorati l’uno dell’altra, ma impediti nel loro amore dalle circostanze: lui ha co-fondato i Jets da cui ha preso le distanze dopo essere stato in prigione e lei è la sorella di Bernardo, leader degli Sharks che ha pensato per la sorella un futuro con l’impacciato Chino da cui la ragazza non è in alcun modo attratta.
Quello di Tony e Maria è un amore assoluto e folle, raccontato da Spielberg ripercorrendo le canzoni del film del 1961, che per il regista fu il primo album di musica popolare con cui si confrontò da bambino e che divenne un’ossessione un po’ come il film di Robert Wise e Jerome Robbins divenne archetipo, per Spielberg, di un cinema costituito da un rapporto intenso tra realtà e immaginazione. C’è nel nuovo lavoro un continuo riferirsi al film del 1961 per cercare un dialogo, una tenuta, un’attualizzazione che è poi anche traghettare il passato nel presente facendo convivere le istanze. Rita Moreno, che nel film di Wise e Robbins era Anita, qui è la proprietaria del negozio dove lavora Tony, e nel suo ricamare attorno alla memoria del cinema, il film rinnova il senso di sorpresa del cineasta per l’amore che divampa e il tragico della sua possibile fine, la meraviglia per la nascita di un’amicizia (come in E.T.) o per una nuova vita (come in Jurassic Park), dandosi in definitiva come un melodramma contemporeaneo e universale, dove le ingiustizie di oggi vissute nell’America dell’immigrazione sono quelle dell’era Trump cui fanno coro i numeri musicali, come ad esempio La Borinqueña, inno portoricano scritto dopo una delle prime rivolte popolari per l’indipendenza. Nel film di Spielberg, diversamente dalla versione del 1961, si incontrano molti interpreti di origine ispanica, mentre viene esplicitato il ruolo del transessuale interpretato da Iris Menas, su cui non si indulge anche per non cadere in una polemica che si vorrebbe superata.
La passione che divampa tra Tony e Maria (quest’ultima con il volto di Rachel Zegler, bravissima nel ruolo che fu dell’indimenticabile Natalie Wood) è il cuore pulsante di un cinema che sprigiona i suoi colori attraverso la fotografia di Janusz Kamiński – al fianco di Spielberg sin da Schindler’s list – attraverso le affermazioni di principio e le rivendicazioni, ovverosia con la musica, la danza, i celebri numeri Maria e Tonight – con Tony che si arrampica sul balcone e tutta la passione è come tenuta separata dalla griglia metallica, a simboleggiare chiaramente la concretezza delle barriere che li tengono lontani – e portandosi con violenza emozionante verso un finale che non può essere un happy end, ma una visione lucidamente politica di un autore che ha rivissuto nel film tutti i suoi sogni, intersecata da una scala che ancora una volta segna un limite, una distanza, il persistere di un divario tra esseri umani nell’oggi della giungla urbana.
Data di uscita: 23 dicembre 2021
Genere: Musicale, Drammatico, Sentimentale
Anno: 2021
Regia: Steven Spielberg
Attori: Ansel Elgort, Rachel Zegler, Maddie Ziegler, Rita Moreno, Corey Stoll, Brian d’Arcy James, Ana Isabelle, Reginald L. Barnes, Mike Faist, David Alvarez, Jamila Velazquez, Sean Jones, Patrick Higgins, Ben Cook, Ricardo Zayas
Paese: USA
Durata: 156 min
Distribuzione: The Walt Disney Company Italia
Sceneggiatura: Tony Kushner
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Sarah Broshar, Michael Kahn
Musiche: Leonard Bernstein
Produzione: Twentieth Century Fox, Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), Amblin Entertainment
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