Il trauma del titolo è quello che sperimenta la madre di Aura (Asia Argento) quando durante il parto i medici uccidono involontariamente il nascituro nel suo grembo e sotto il roboante scrosciare della pioggia decidono di nascondere il tragico accaduto praticando l’elettroshock alla donna. Un trauma indotto e criminale dunque, di cui è responsabile una socialità corrotta che vive una profonda deriva etica. È particolarmente significativo che la vittima del dramma sia una donna dell’Est Europa, la medium Adriana Petrescu (Piper Laurie), immigrata negli Stati Uniti con la sua famiglia, la quale colleziona una serie di delitti per vendicarsi del tragico torto subito. La visiona critica di Argento si affaccia sin dal prologo allegorico, dove viene raffigurata in scala ridotta un’esecuzione capitale con l’aiuto di figurine disposte attorno ad una ghigliottina mentre sullo sfondo si ascoltano i canti della Rivoluzione Francese. Il prologo rimanda all’estetica disturbante di Profondo rosso, dove le inquadrature degli oggetti e delle bambole evocavano la regressione dell’assassino, pronto a tirare le fila in una vicenda “teatro” di oscuri misteri.
Qui il prologo introduce una variante allegorica, che suggerisce una chiave interpretativa per le decapitazioni che vedremo nel film. Adriana Petrescu è un’immigrata alla quale l’America ha riservato un trattamento criminale, e il suo ingrato compito-destino è di compiere una vendetta con la decapitazione, atto definitivo che durante la rivoluzione francese appariva come un gesto di giustizia. L’immigrata si fa allora giustizia da sé, poiché nessuno si è precipitato in suo soccorso nel momento del grande dolore: i medici non hanno trovato di meglio che tentare di rimuovere e cancellare tutte le tracce. Adriana, adeguandosi alla legge del taglione ancora in voga nell’America giustizialista della sedia elettrica, incarna la ribellione del popolo sottomesso nei confronti di una borghesia medica barbaramente capace dei peggiori delitti. Ecco allora una madre che sarà incapace di dare amore a sua figlia Aura e che inscenerà un delitto a seguito del quale la figlia vivrà uno shock nefasto per la sua personalità già minata: Adriana decapiterà il marito perché complice dell’antica congiura ma l’immagine che Aura vedrà sarà quella di un decapitatore con le teste dei due genitori.
Immagine-shock, che comprensibilmente Aura non interpreta nella sua reale definizione: in realtà, è la madre che fugge tra gli alberi con la testa del marito decapitato. Per tutto il film, le immagini coinvolgenti e movimentate di Trauma ci consegnano la misura slabbrata ed esagitata di un tentativo di ricomposizione del reale al seguito di una scrittura filmica che traduce in sequenze la balbuzie di senso originata dallo svolgimento della vicenda. Come se le fluide immagini del film saltassero, per così dire, da una situazione all’altra, troncando sempre un istante prima della rivelazione di un elemento importante del racconto; le immagini sono sempre in movimento, e Argento utilizza la steadycam, come nella sequenza in cui Aura è al bar con David e si sposta in bagno per vomitare, allorché la macchina da presa rimane addosso ad Aura, la segue riprendendola di spalle e permettendoci un forte coinvolgimento con lei. Altrove, le inquadrature sono “divoranti” carrelli nell’abitazione di Adriana, oppure soggettive irreali come quella in cui la macchina da presa si capovolge per entrare dalla porta d’ingresso del luogo del delitto. Un senso di colorita esasperazione permea le immagini del film e almeno due sequenze restituiscono meglio la percezione di una realtà alterata, disturbata da un’anomalia del vedere e del sentire. In primo luogo, la sequenza della seduta spiritica, che avviene con Anna chiusa nella stanza dei genitori, e che si conclude con l’evocazione di uno spirito memore di un antico delitto che segnala la presenza di un assassino proprio tra i convenuti.
La sequenza rammenta naturalmente Profondo rosso e si risolve in un rebus tetro sotto la pioggia scrosciante, dove qualcuno decapita la testa del padre di Aura con una specie di ghigliottina elettrica portatile. Qui Aura ha una percezione alterata della scena e resta sconvolta sino al fremito di delirio. Nel delirio allucinativo ci porta invece la sequenza in cui il dottor Judd, direttore della clinica Farriday, induce Aura ad assaggiare delle bacche dagli effetti psicotropi, grazie a cui riviviamo le immagini plausibili o deliranti del dottor Judd che si accoppia con Adriana Petrescu, o la sequenza dell’omicidio del padre di Aura, vero “trauma nel trauma”. Non sono le medicine, non saranno i medici, a guarire Aura dal suo profondo male. Saranno invece l’amore e l’interesse di David ad aiutarla. E David diventa, come nei film di Argento degli anni Settanta, colui che compie un’indagine alternativa alla strada percorsa dalla polizia. Con una novità: David non è colui che ha assistito in prima persona a un delitto, e non è neppure ossessionato da un elemento mancante nella percezione dei fatti che possono portare alla soluzione dell’enigma. David è spinto dall’amore per Aura ed ha in comune con la giovane anoressica quell’ipersensibilità che lo porta a comprendere meglio e prima degli altri la disposizione d’animo di chi soffre. Una “svolta” in chiave decisamente umanistica ed esistenziale per i tanti “ricercatori” che popolano il cinema di Argento.
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