Nato in Danimarca nel 1879, figlio di un commerciante, dopo essersi dedicato per poco tempo agli studi di medicina Benjamin Christensen abbracciò l’arte, dapprima con il canto lirico e poi come attore e regista nel teatro di prosa. Il passo successivo fu il cinema. Nel suo paese scrisse, diresse e interpretò i suoi primi due lungometraggi: L’X misterioso (Det hemmelighedsfulde X, 1914) e Notte misteriosa (Hævnens nat, 1916). In Svezia, invece, all’inizio degli anni Venti realizzò quello che è considerato il suo capolavoro assoluto: La stregoneria attraverso i secoli (Häxan, 1922), amara riflessione sull’Inquisizione e sulla natura delle pratiche stregoniche che, per le sue notevoli soluzioni visive che anticipavano il genere horror, influenzò in parte anche alcuni titoli del cinema dell’espressionismo tedesco e la poetica del suo connazionale regista Carl Theodor Dreyer (autore del film La passione di Giovanna d’Arco, 1928). Successivamente Christensen lavorò anche in Germania e poi a Hollywood, dove realizzò tra l’altro The Devil’s Circus (1926), Sette passi verso Satana (Seven Footprints to Satan, 1929) e L’isola misteriosa (The Mysterious Island, 1929).
In La stregoneria attraverso i secoli il tema è, dunque, la concezione medievale del demonio e dei suoi seguaci, in un’epoca in cui “chiunque vedeva dappertutto sortilegi e malefatte del diavolo” e (continua la didascalia) “alcune persone affermavano di averlo visto e perfino toccato”. Frutto di scrupolose ricerche, il film combina un taglio documentaristico (utilizzando illustrazioni d’epoca) con la fiction cinematografica, ricostruendo rituali e usanze storicamente attribuiti alle streghe. Così, in un’atmosfera cupa e suggestiva dove situazioni e scelte figurative stupiscono per l’audacia insolita per quegli anni, il film racconta un caso di presunta stregoneria e il relativo processo nell’Europa del Quattrocento, descrivendo con toni polemici la delirante psicosi che non di rado portò ad accuse di questo genere.
I capi di imputazione attribuiti a una vecchia tessitrice di nome Maria e le confessioni estorte sotto lancinante tortura trovano adeguata concretizzazione nelle sequenze oniriche che attingono a un universo simbolico ancora oggi ben radicato nell’immaginario popolare. Lo spettatore assiste alla chimerica preparazione di intrugli magici e filtri d’amore, voli a cavallo di scope, sabba notturni in compagnia dei demoni, banchetti a base di bimbi non battezzati, ingiurie contro la religione, orge e sollazzi che vedono il diavolo in persona (interpretato dallo stesso regista) in veste di cerimoniere.
Alla tortura inflitta senza pietà dai frati domenicani, segue l’ammissione di colpe mai commesse. Anche se in apertura del film l’autore volle puntualizzare che La stregoneria attraverso i secoli non era stato concepito come atto di denuncia nei confronti della religione cristiana, è impossibile non scorgere una critica alle pratiche inquisitoriali della Chiesa e all’oscurantismo che ne era all’origine. Il clima di decadenza, infatti, non traspare soltanto dalle visionarie descrizioni dei presunti lussuriosi incontri tra streghe e demoni, ma è percepibile anche (e forse in misura maggiore) nelle sequenze che hanno per protagonisti i frati, non a caso ritratti in inquietanti fattezze.
In nome di Dio e con ferrea intransigenza, i ministri della Chiesa seviziano e mandano al rogo le donne accusate di stregoneria, ricorrendo alle più meschine astuzie pur di spingerle a confessare improbabili colpe. Il bilancio dei tribunali ecclesiastici è sconcertante: stando ai dati riportati nel film, “si calcolano in otto milioni le vittime che sono state bruciate durante due secoli”.
Ma la superstizione e l’assurdità di certe pratiche non sono attribuite unicamente al lontano Medioevo. L’ultima parte del film, infatti, azzarda in maniera un po’ confusa un parallelismo con il presente (ricordiamo che la pellicola uscì nel 1922), individuando analogie tra quelli che un tempo erano i sintomi presunti di diavoleria e le malattie del mondo contemporaneo come l’isteria, il sonnambulismo e la cleptomania. Secondo tale tesi, il manicomio o la clinica hanno preso il posto dell’Inquisizione, al rogo purificatore è subentrata la doccia benefica, mentre le cartomanti rivestono il ruolo anticamente attribuito alle streghe.
Nella sua monumentale Storia del cinema, Georges Sadoul scriveva:
“In Svezia, [Christensen] intraprese la realizzazione di un vero e proprio documentario sulla stregoneria, ispirandosi direttamente alla copiosa letteratura giudiziaria del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Non indietreggiò di fronte a nulla: neonati gettati in caldaie d’acqua bollente, seni cascanti di vecchie attanagliati dall’Inquisizione, frati ossessionati dalla lussuria, accoppiamenti di giovani streghe con laidi demoni, mostrò perfino il sedere di Belzebù baciato come una patena durante il sabba… Il sadismo e l’oscenità di certe scene avrebbero potuto confinare la programmazione di questo singolare film ai cinematografi specializzati «Vietati ai minori di 16 anni». Ma, come in Breughel o in Callot – a cui Christensen si ispirava direttamente – l’arte trasfigurava dei particolari che, senza di lui sarebbero stati volgari e ripugnanti. La sapiente illuminazione conferiva una realtà fantastica alle truccature eccessive e alle maschere di cartone […] il vigore delle inquadrature si ispirava ai maestri fiamminghi, e le immagini si concatenavano con una sicurezza che presagiva la Passion de Jeanne d’Arc” (G. Sadoul, Storia del cinema, Einaudi, Torino 1951, p. 195).
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