Dracula 3D (2012) sposta l’immaginario degli ultimi film di Argento da un contesto metropolitano ad un’ambientazione volutamente gotica, senza la minima preoccupazione di dover spiegare nei dettagli un racconto molto noto, ma presentandosi come un’esperienza nelle scenografie di Claudio Cosentino, negli ambienti che diventano personaggi del film: il villaggio, il bosco, il castello. Il Dracula argentiano è una creatura delle tenebre in grado di trasformarsi nelle creature più diverse, ma anche di fermarsi, con accenni di tormentoso pathos, dinanzi alla potenziale nuova vittima Mina, troppo vera e preziosa per poter essere dilaniata dal principe delle tenebre.
Qualche volta, in questo affresco scenografico in cui il 3D serve relativamente poco, si scorge l’Argento di un tempo, anche nei difetti che divengono una specie di segno d’autore: dalla recitazione manierata di alcuni interpreti, all’utilizzo quasi spudoratamente imperfetto degli effetti speciali, ai corpi femminili il cui uso, giustamente, qualcuno ha notato come sembri ispirato alla commedia sexy piuttosto che agli horror di serie B cui questo Dracula 3D rivela di volersi ispirare, mostrando così il suo cuore scoperto nella dedizione ad un cinema che non si fa quasi più. Argento, come il suo vampiro, sorvola sulle precedenti incarnazioni del vampiro più famoso di sempre e imbastisce un film che sembra un teatro folle, lontano da qualunque lettura filologica, per darsi come luogo per situazioni di orrore visivo annunciate e ripetute. Utilizza da par suo lo spazio per liberare il succedersi di momenti di tensione, e rende il suo Dracula una figura eccentrica, che non ha quasi bisogno di una maschera, perché tutto si annuncia, anche per il suo personaggio, come pericolante e artificioso, come i fondali posticci creati al computer in cui si disputano scene madri.
I colori irreali e l’illuminazione contrastata creano una dimensione derealizzante, in cui la paura sembra un segno, il solo, di tangibile realismo. Se non fosse per le ripetute scene di nudo, si sarebbe tentati di volerla definire una versione di Dracula quasi per bambini; inoltre, il film di Argento porta alle estreme conseguenze quell’attitudine post-moderna attivata sin da Il fantasma dell’opera con una volontà di rendere persino egli effetti speciali qualcosa dalla resa mutevole, di sequenza in sequenza, fino al confronto, in verità continuo, con figure deformi e sghignazzanti, turpi e mostruose, come i derattizzatori del film del 1998. In fondo, tra le trasformazioni di Dracula, le tombe aperte, le lapidi e le bare sigillate, Dario Argento si muove come se si trovasse dinanzi a un baccanale di temi e aspetti che gli competono di diritto, destabilizzando e portando il consueto gusto per una grammatica sconquassata, per flash-back inseriti selvaggiamente, con Asia parte di un gioco che suona come espressione di una vita vissuta più sui set che tra le pareti di casa, a testimonianza di una dichiarazione di resistenza che a tratti appare anche commovente. Perché l’amore per il cinema non muore, nemmeno in Dracula 3D, che ancora una volta testimonia la passione di Argento per i grandi “non-morti” del cinema.
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