Disponibile su RaiPlay Dolci inganni, un film del 1960 diretto da Alberto Lattuada. Prodotto da Silvio Clementelli, con il soggetto e la sceneggiatura di Alberto Lattuada, Francesco Ghedini, Claude Brulé e Franco Brusati, con la fotografia di Gábor Pogány, il montaggio di Leo Catozzo, le scenografie di Maurizio Chiari, i costumi di Lucia Mirisola e le musiche di Piero Piccioni, Dolci inganni è interpretato da Catherine Spaak, Christian Marquand, Jean Sorel, Milly, Oliviero Dani, Giacomo Furia, Marilù Tolo. A causa del tema di natura sessuale il film venne pesantemente modificato dalle direttive censorie. Il 29 Febbraio 1964 il giudice istruttore Generoso Petrella proscioglie Lattuada e il produttore Goffredo Lombardo da ogni accusa di oscenità, ordinando il dissequestro della pellicola col suo minutaggio originario.
Trama
Francesca, che ha sedici anni, è innamorata di un architetto che ha vent’anni più di lei. A scuola la ragazzina parla con le sue amiche delle esperienze vissute con Enrico. Uscita da scuola Francesca accompagna la madre a fare compere e incontra un ragazzo, amico intimo della famiglia, che la porta da una nobile innamorata di lui. Arriva la sera e l’adolescente sente il bisogno di rivedere l’architetto e lo raggiunge sul posto di lavoro. Piano piano però Francesca si rende conto di essersi sbagliata sul suo conto.
«Erano sensazioni che si afferravano nell’aria, turbamenti che percepivo nelle giovani donne che vedevo uscire dalle scuole, ancora infagottate in quegli abiti che ormai non riuscivano più a contenere i corpi. […] [Catherine Spaak] l’avevo vista la prima volta a otto anni nella villa del padre del quale ero amico. Venne in giardino, in tutù e fece una danza per noi. Dissi al padre: “Le voglio far fare un film”. E lui: “È ancora troppo piccola”. Passò qualche anno, la rividi mentre prendeva lezioni di pianoforte e tornai alla carica, ma il padre mi fece aspettare ancora. Quando compì 15 anni rinnovai la richiesta e lui mi disse: “Va bene, io te la consegno ancora vergine, tu me la devi restituire com’era.»
(Alberto Lattuada, l’Unità, 20 Agosto 19943)
«È il nostro film Nouvelle Vague».
(Adriano Aprà)
«Il film vale soprattutto per quei luoghi dove la protagonista è sola, cioè in compagnia di Lattuada. Quanto dire che il film è in parte, e avrebbe dovuto esserlo del tutto, una specie di monologo interiore a sfondo sessuale».
(Alberto Moravia, L’Espresso, 30 Settembre 1960)
«Bocciato dalla censura in prima istanza, è poi passato nella seconda non senza evidenti rimanipolazioni specie nei dialoghi. Ne ha scapitato la chiarezza: quel che vi era di scabroso è diventato ambiguo. […] L’ambiguità di cui s’è detto investe soprattutto questo finale dove le battute, volendo coprire l’ardimento, confondono la situazione. Già i dialoghi non sono mai felici; in apparenza elementari, in effetto lambiccati. Ma anche questo si spiega con la soggezione che soggetti come questi, più adatti al racconto che al film, ispirano a qualunque anche più spregiudicato regista. Non potendo arrivare all’ultima franchezza, Lattuada ha caricato di espressioni il volto della sua giovanissima interprete, la promettente Catherine Spaak, figlia del noto sceneggiatore; con effetti spesso intensi, come nella scena iniziale del risveglio. Ha anche introdotto episodi e figure non strettamente necessarie (la principessa e il gigolò, la madre dell’amica); ma in complesso ha raffinato la materia scabrosissima e nella bellezza delle immagini ha rasentato quell’innocenza che più ancora che alla Francesca stava a cuore a lui come regista di un tema scandaloso».
(Leo Pestelli, La Stampa, 16 Ottobre 1960)
«Ne I dolci inganni Alberto Lattuada ha voluto evidentemente ispirarsi al fenomeno della precoce iniziazione sessuale delle emancipate adolescenti del giorno d’oggi (che vorremmo evitare di definire con l’abusato termine “ninfette”, estraneo fra l’altro allo spirito di questo film) attraverso un’angolazione delicata e non volgare, ma anche sottilmente polemica. In contrapposizione alla vecchia concezione retorica dell’ex “errore giovanile” e della “colpa d’amore”, che sottintende l’altrettanto logoro cliché della ragazza sedotta per debolezza e inesperienza, egli ha analizzato le ragioni che spingono coscientemente Francesca, una fanciulla di appena diciassette anni, alla prima concreta esperienza amorosa. […]»
(Giulio Cattivelli, Cinema Nuovo, 1960)
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