Disponibile su RaiPlay Cosmopolis, un film del 2012 scritto e diretto da David Cronenberg. Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore italo-americano Don DeLillo, pubblicato in Italia da Einaudi nel 2003, il film, interpretato da Robert Pattinson, Samantha Morton, Jay Baruchel, Paul Giamatti, Kevin Durand e Juliette Binoche, è incentrato su un giovane miliardario che attraversa New York a bordo della sua limousine, incontrando diversi personaggi e ostacoli lungo il percorso. Il film è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes 2012 il 25 maggio, dove ha concorso per la Palma d’oro. La colonna sonora è stata composta da Howard Shore, abituale collaboratore di Cronenberg, e dal gruppo indie rock canadese Metric,
Trama
Una giornata dell’affascinante e inquieto uomo d’affari Eric Packer (Robert Pattinson), 28enne multimilionario sposato con una ricca ereditiera con aspirazioni letterarie, si trasforma in una vera odissea alla ricerca delle proprie radici. Uscito da casa per recarsi dal barbiere dall’altro lato di Manhattan, a bordo della sua limousine ipertecnologica, dotata di tutto l’armamentario necessario per seguire da vicino l’andamento delle azioni in borsa e affiancato da guardie del corpo, che lo proteggono dagli eventuali attacchi di uno stalker che ha promesso di assassinarlo, Eric trascorre le ore tra lunghe discussioni con i collaboratori, appuntamenti con le proprie amanti e incontri con eccentrici personaggi.
“Libera rilettura dell’Ulisse joyceano in chiave post-Ground Zero, il tredicesimo romanzo di DeLillo offre materia fertile per una rinnovata incursione nei temi e stilemi cari al cineasta di Toronto che, a dispetto delle sue passate esperienze in termini di trasposizione letteraria (Crash di James Ballard, Il Pasto Nudo di William Burroughs, La Zona Morta di Stephen King), realizza qui un adattamento a dir poco fedele, ricalcando in maniera pressoché pedissequa la struttura narrativa e i dialoghi del romanzo di partenza. Da sempre attratto dalle potenzialità illimitate della tecnologia e dal fascino dell’anomalo, Cronenberg – fin dagli esordi anche sceneggiatore di tutti i suoi lavori – accetta la sfida di un film girato quasi interamente in un unico spazio chiuso (la limousine di Packer, prodotto di quell’Identico spesso indagato dal cinema cronenberghiano) e fondato essenzialmente su un continuo confronto dialettico tra il protagonista e i suoi “compagni di viaggio”.
“Nessuno morirà. Non è questo il credo della nuova cultura? Verranno tutti assorbiti dentro flussi di informazioni”, sostiene la consulente di teoria Vija Kinski e non è casuale che a interpretarla sia quella stessa Samantha Morton che per Steven Spielberg si era fatta precog. Il clima appena futuribile descritto da DeLillo viene accolto in pieno da Cronenberg, che ne estrae il carattere pre-apocalittico focalizzandosi sulle sue derive prolettiche e affida a Packer il compito di incarnare, con le sue capacità di (pre)visione, il prototipo messianico del nuovissimo millennio. Lasciare la “benedizione della carne” per farsi dato su uno schermo, entità fagocitata dalla tecnologia, “esperienza umana dilatata all’infinito come strumento per la crescita e la politica d’investimento aziendale” nel collasso totale della civiltà: questo sembra essere il destino preconizzato da Packer nella sua testarda e lentissima corsa attraverso la città, solo per adempiere ad un futile impulso che potrebbe essergli fatale. La baudrillardiana fine dell’Uomo ad opera della Tecnica nell’epoca del cybercapitale.
Come in A Dangerous Method, dialogo e campo-controcampo si offrono quali marche discorsive determinanti per eviscerare i contenuti filosofici (e psicologici) sottesi alla pellicola. Ma laddove in A Dangerous Method la “cura delle parole” freudiana era messa in quadro in modo assolutamente rigoroso, in Cosmopolis la sovversione appena percepibile della grammatica di montaggio (ad opera dell’immancabile Ronald Sanders) rende ragione di un principio basilare nell’economia dell’opera ultima di Cronenberg, così come nel romanzo di DeLillo: l’anomalia, ”l’importanza dell’asimmetria, delle cose leggermente sghembe. (…) L’imperfezione.” Cineasta della mutazione per antonomasia, Cronenberg rinuncia alla natura trasformativa del trasporto dell’opera d’arte dalla letteratura al cinema, scegliendo la via della duplicazione piuttosto che quella della ri-creazione o ri-generazione e affidando il tema della metamorfosi alla parabola emotivo-evolutiva del suo protagonista. Gli schermi video restituiscono immagini compresse dell’Esterno, penetrando senza osmosi nell’abitacolo di un’automobile che scivola su strade metafisiche (dietro i finestrini oscurati potrebbe esserci qualsiasi città) e la tendenza a una regia televisiva, che privilegia piani stretti e totali poco cinematografici, contribuisce a determinare un senso di distaccato straniamento, una freddezza videomatica che reifica l’umano e lo annichilisce. E se in A Dangerous Method era stata proprio la freddezza dell’opera a generare un vago e non meglio specificato senso di incompiutezza, in Cosmopolis è quella stessa vibrazione sinestetica a dar conto di una perfetta sinergia tra le pagine, brevi ma fitte, di DeLillo e lo sguardo, tecnologico ancor più che fisiologico, di Cronenberg. Non già un un capolavoro, ma senza dubbio un ritorno in grande stile”.
(Fulvia Massimi, Storia dei Film)
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