Disponibile su Youtube Storie di ordinaria follia, un film del 1981 diretto da Marco Ferreri ed interpretato da Ben Gazzara e Ornella Muti. Fu girato in lingua inglese negli USA. Il titolo e gli argomenti trattati sono basati sui lavori e sulla persona del poeta statunitense Charles Bukowski; il titolo ricalca quello di una raccolta di racconti dello stesso Bukowski pubblicata nel 1972, intitolata Storie di Ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Esibizioni. Prodotto da Jacqueline Ferreri, sceneggiato da Marco Ferrei e Sergio Amidei, con la fotografia di Tonino Delli Colli, il montaggio di Ruggero Mastroianni, le scenografie di Dante Ferretti, i costumi di Nicoletta Ercole e Rita Corradini e le musiche di Philippe Sarde, Storie di ordinaria follia è interpretato da Ben Gazzara, Ornella Muti, Tanya Lopert, Susan Tyrrell, Judith Drake, Katia Berger, Lewis Ciannelli. Il film ha vinto quattro David di Donatello per la regia, la sceneggiatura, la fotografia e il montaggio e due Nastri d’Argento per la regia del miglior film e la fotografia.
Trama
Charles Serking è uno scrittore dedito a una vita disordinata, che cerca nell’abuso dell’alcool e nella poesia i rimedi alla sua congenita disperazione. Sembra trovare momentanea consolazione nella relazione con Cass, una prostituta alla deriva come lui, ma è solo un’illusione destinata a finire tragicamente. Serking resta solo, tutto deve ricominciare da capo.
“«Fare una cosa pericolosa con stile è fare dell’arte», dice all’inizio il protagonista di Storie di ordinaria follia, e cioè, come si sa, Charles Bukowski, autore che si racconta in prima persona, nei suoi romanzi come in questo film. Parrebbe un motto fatto apposta per il regista. Che ha almeno questo in comune con lo scrittore: il gusto, e anche l’arte. di andare ai limiti del proibito e del possibile. In quella zona, pericolosa appunto, dov’è facile cadere dalla provocazione al ridicolo; dall’assurdo, dal fantastico, dal poetico, quindi, al kitsch o al grand-guignol. C’e una scena, in Storie di ordinaria follia, che è tipica in questo senso: Bukowski, in una delle sue innumerevoli esperienze sessuali, si ritrova con una grassona immensa. Per ritornare nel grembo della propria madre, come dice, non trova di meglio che provarci letteralmente. Cacciando la testa e spingendo, fra le gambe divaricate della poveretta allungata sul pavimento. Ben Gazzara, grandissimo attore che conosciamo per alcuni capolavori girati con Cassavetes, quando si ritrae ha le lacrime agli occhi. E l’arte di Ferreri consiste proprio in questo: non solo non sghignazziamo; ma stavamo per crederci. Storie di ordinaria follia ha pagine splendide, e non solo per la fotografia di Tonino Delli Colli, che ha tradotto in modo commovente il sacro e il profano dell’universo dello scrittore americano: una Los Angeles dai cieli grigi nella quale risaltano i rossi, i blu cobalto, i verdi squillanti degli interni. I bar, gli appartamenti, fino ai cessi contraddittoriamente allegri e tragici. Soprattutto la prima parte del film riesce a tradurre la presenza prepotente dell’io dello scrittore, che è sempre il vero e solo protagonista della letteratura di Bukowski. L’ambiente è colto, puntualmente, con i suoi personaggi disperati e indifferenti, con i suoni di un’America proletaria che Ferreri ha giustamente captato in diretta, con una realtà quasi documentarista che l’occhio del regista riesce quasi costantemente a trasformare in emblema, in mito o in fantastico. Ma Storie di ordinaria follia è una raccolta di novelle quasi celebre, ormai, come quella di Hemingway. Ferreri ne ha scelte sei, e con lo scomparso sceneggiatore Sergio Amidei, le ha amalgamate, tentando di ottenere una continuità romanzata”.
(Fabio Fumagalli, 15 ottobre 1981)
“Immagini molto sincere, rappresentazione veritiera e autentica di un mondo di emarginati e degli ambienti in cui vivono, sono alla base di questo film di Marco Ferreri, che, forse più dei suoi precedenti, porta alle estreme conseguenze certe meditazioni pessimistiche dell’autore sulla vita e sul destino dell’uomo. Com’è noto, la figura del protagonista Serking è ispirata con notevole aderenza a quella di Charles Bukowski (…). Marco Ferreri e il compianto Sergio Amidei hanno elaborato una sceneggiatura densa e compatta, che poi la regia dello stesso Ferreri ha visualizzato in un lirismo freddo e crudo, aspro e scontroso, senza margini di speranza o spiragli di salvezza. Serking e Cass, personaggi totalmente negativi, diventano così i prototipi di un mondo altrettanto negativo, in cui la sola certezza è il rifiuto delle regole costruite. Coerente con questa impostazione, Ferreri fa leva sulla bravura di un attore come Ben Gazzara, sul volto magnetico di Ornella Muti e sulla livida fotografia di Tonino Delli Colli per mostrare una schiera di uomini e donne perduti, quasi malati.”
(Segnalazioni cinematografiche, vol. 91, 1981)
“Ferreri s’ispira a cinque racconti di Storie di ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Esibizioni (1972) del “maledetto” Charles Bukowski, s’immerge nella sua Los Angeles (città d’angeli caduti), nel suo universo di autodistruzione e derelitti, di masochismo e amori radicali, di alcol e sesso. Ben Gazzara è Charles, e il romanzo cinematografico vorrebbe (anche) diventare un’autobiografia dove lo scrittore si racconta e racconta il proprio rapporto con i modelli borghesi e il significato dell’Arte, in una continua dialettica fra male di vivere ed energico oblio nella carnalità, rappresentata (anche) da una bella Ornella Muti, prostituta schiava dell’amore come violenza (e vai di tagli sul collo e spille nella vagina). Come dire che solo il pericolo, l’eccesso affrontato con stile genera vera Arte, quella fittizia è retaggio degli ambienti sterili con tutti i comfort dove la società vorrebbe incanalare e programmare l’ispirazione (vedi l’allegorica sequenza a New York, dove Charles conosce un autore fuggito dalla Russia, tale…Alexander Konchalovsky). Lo sconforto è però insopprimibile, la vita è un continuo “morire nel sonno”: nulla di più appropriato, allora, del consueto sguardo sospeso, colorito, sonnambolico e crudelmente paradossale di Ferreri che, però, pecca di troppa vacuità, rischiando di ridurre l’opera a pittoreschi congressi carnali (la bionda sadomaso, l’obesa, la nana finta dodicenne) o a una matrice surreale poco foriera di allegorie, in quanto sottotono, dimessa. Ciò non gli impedisce di fare “suo” lo scrittore nel riproporre i segni distintivi della sua poetica: eccentricità e trasgressione a parte, ecco la solitudine dell’uomo, la misoginia, il passo agonizzante divertito, le ferite dell’anima, la profanazione dei simboli sacri (la Muti vestita da suora), i luoghi prediletti (spiagge, stanze dipinte con colori accesi), il finale da apologo (non ci sono né L’Ultima Donna, né l’amore salvifico: anche la poesia si prostituisce).
(Niccolò Rangoni Machiavelli, Gli spietati, 12 Gennaio 1999)
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