La casa dalle finestre che ridono
Regia: Pupi Avati, Horror, Italia, 1976
Interpreti: Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Francesca Marciano, Giulio Pizzirani, Bob Tonelli, Pietro Brambilla, Vanna Busoni.
Sabato 6 agosto, ore 02.55, Italia 1, Canale 6, 107 min
La Casa dalle finestre che ridono, cult movie horror immatricolato anno 1976 e che porta il nome di Pupi
Avati vince il Premio della Critica al Festival du Film Fantastique di Parigi, nel 1979.
Ambientato in un paesino in provincia di Ferrara è la storia di Stefano (Lino Capolicchio), un restauratore
incaricato di ridare nuova vita ad un affresco all’interno di una Chiesa, dipinto da un artista morto suicida.
La bizzarria degli abitanti del posto inizieranno però a provocare in lui forti e inspiegabili sensazioni di
turbamento, ma anche di estrema curiosità, che lo porteranno a voler cercare delle risposte…
Violenta e decisa pennellata sullo schermo data da un visionario Pupi Avati, che tinge di vivace angoscia
l’intera pellicola; il suo occhio esperto centra con eleganza demoniaca soggetti panoramici dal sapore di
solitudine, in una fotografia invecchiata ma brillante. Le campagne ferraresi fanno da sfondo ad una poetica angoscia, degna dell’artista più tormentato; l’arte pittorica, per la sua mutevolezza nel far sentire è stata spesso presa in prestito dai più autorevoli registi horror d’autore, appunto per il suo potere evocativo delle più estreme emozioni umane.
Qui Avati con maestosità se vogliamo genuina, richiama nello spettatore stati d’animo di raffinata
inquietudine, che non è paura al suo stato puro, ma qualcosa di molto più profondo e conturbante. Gli occhi
di Stefano, con il suo azzurro pieno di purezza, proiettano nello spettatore intensi stati emotivi: candore e curiosità per l’ignoto, un misterioso magnetismo di attrazione e repulsione, che bisbiglia all’orecchio e trafigge gli occhi dello spettatore ad ogni cambio immagine.
Le musiche del Maestro Amedeo Tommasi si stendono come tappeti vermigli su caroselli pieni di tormento. La leggerezza di un jazz appena accennato si fonde con tonalità nere in un abbraccio di sonoro sgomento, regalando così all’osservatore e uditore, quell’agonizzante attesa del dopo, che il Maestro Pupi Avati, con la sua maestria, sa ben dosare per sedurre l’occhio pieno di trepidante attesa. La ricordiamo nelle sue deliranti opere L’ Arcano incantatore (1996) e Il Signor Diavolo (2019), piene anch’esse di una claustrofobica pazzia. Una cornice preziosa per questo cult intriso di vivida follia e mistero, firmato da Avati, che ci accompagna in un viaggio attraverso le paure e tutte le sue più impercettibili sfumature.
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