Disponibile su Youtube Week End – Una donna e un uomo da sabato a domenica, un film del 1967 diretto da Jean-Luc Godard, impressionante ritratto dissacratorio della società consumistica. Il film è famoso soprattutto perché contiene la carrellata più lunga della storia del cinema. Week end chiude un ciclo nel lavoro di Jean-Luc Godard. È il suo ultimo film prima del Sessantotto, un lavoro di passaggio tra quei due periodi che nella sua biografia sono stati definiti “gli anni Karina” (dal nome della prima moglie Anna Karina, una delle icone della Nouvelle vague) e “gli anni Mao”, cioè quelli dell’impegno politico con conseguente destrutturazione e messa in discussione del linguaggio filmico. Con Jean Yanne, Mireille Darc, Jean-Pierre Kalfon, Jean-Pierre Léaud, László Szabó, Anne Wiazemsky.
Trama
Mireille, una giovane donna sposata, racconta ad un suo amico ogni particolare di un convegno amoroso avuto in precedenza, poi assieme al marito parte per un week-end. Mentre sulle strade lunghe file di vetture sono costrette a interminabili soste causate da continui e mortali incidenti, i due giungono alla casa di campagna dove abita la madre di Mireille. Con questa hanno una violenta discussione per motivi di interesse e alla fine la uccidono. I due riprendono la strada del ritorno fra altri orrori e violenze. Infine sono catturati da una tribù di giovani armati, che nell’idea dell’autore simboleggiano la schiera di coloro che nella clandestinità e a contatto con la natura mantengono vivi gli ultimi residui di un’umanità primitiva. L’uomo è ucciso e Mireille rimane prigioniera.
Apparentemente, il lungometraggio origina da una critica sociologica della società contemporanea, come altri che lo precedono nella filmografia del regista franco-svizzero: crisi della famiglia borghese, con conseguente crisi di valori morali, mito della mobilità individuale e questione del tempo libero. Godard parte dall’idea iniziale di una scommessa formale; la struttura del film deve ruotare intorno a due sequenze, delle quali due sono autentici virtuosismi: l’ingorgo automobilistico e il concerto in cascina. La prima mostra con un unico piano sequenza una carrellata di 300 metri lungo un tratto di strada; la seconda è ripresa con una triplice panoramica circolare con la camera rivolta verso l’esterno, accompagnata dal suono del pianoforte, per mostrare la reazione di tutti gli ascoltatori nell’aia della cascina. Per la precisione, le sequenze-chiave sono in origine quattro, tutte conservate nella versione finale, perché occorre aggiungere alle due principali anche il discorso politico di un nero e un arabo rivolti alla telecamera (con parole delle Black Panthers) e soprattutto la lunga confessione erotica di Corinne. Godard impone al suo direttore della fotografia Raoul Coutard di lavorare con una pellicola Eastmancolor ma a sensibilità raddoppiata, con il forte rischio di sovra-esposizione. Per ottenere l’estetica “chiassosa” richiesta, l’operatore deve chiudere il più possibile il diaframma della macchina da presa e utilizzare più di un filtro davanti all’obiettivo. La violenza irrazionale e immotivata alla quale si abbandonano tutti i personaggi è anche violenza dell’immagine, i cadaveri bruciati e le auto distrutte giacciono in ambienti naturali di suggestiva bellezza. Il finale è una sinfonia dell’orrore, la macellazione dal vivo di un maiale simboleggia quella che presto dovrà subire Roland ferito a morte: “Bisogna superare gli orrori della borghesia con orrori ancora maggiori” dice il capo dei guerriglieri. Uomini e donne al volante perdono tutta la propria umanità; Godard sembra odiare la società in cui vive, e senza dubbio è disgustato dai personaggi che lui stesso mette in scena. Non è un caso che scelga per il ruolo principale un’attrice che non trova simpatica, Mireille Darc, che affascinata da Pierrot le fou si offre esplicitamente di lavorare con lui.
Durante tutte le riprese, il regista non cessa di umiliare i suoi attori principali, che sopportano stoicamente e non abbandonano il lavoro. Godard tratta i suoi protagonisti non come attori in carne e ossa, bensì come personaggi di fantasia, senza affetto e senza considerazione; non come se girasse un film, bensì come se scrivesse un libro con carta e inchiostro. D’altronde, il pubblico va al cinema a vedere un film di Godard, non un film con Mireille Darc o Jean-Paul Belmondo o Brigitte Bardot. Il lungo monologo erotico di Corinne è ispirato esplicitamente alla confessione di Bibi Andersson nel film di Ingmar Bergman Persona, che Godard vide nella primavera 1967 e dal quale rimase molto impressionato. Mireille Darc, inquadrata in controluce e vestita solo di reggiseno e mutandine, racconta l’incontro con uno sconosciuto, il rapporto sessuale in auto e poi a casa, con l’intervento di un’amica. Il testo recitato è liberamente ispirato a Storia dell’occhio di Georges Bataille. La scena finale, con Corinne che si ciba della carne di Roland, non è altro che la sublimazione di un desiderio inconscio della donna: liberarsi del marito per potersi accoppiare con un altro più forte di lui. Godard trasforma la violenza in spettacolo, infatti questo film apocalittico e arrabbiato è anche tra i più divertenti del regista; il Sessantotto è dietro l’angolo, ma una delle sue parole d’ordine, “L’immaginazione al potere”, è già messa in pratica.
Uno dei film più feroci e spietati di Jean-Luc Godard, Week End – Un uomo e una donna da sabato a domenica è un attacco frontale contro le consuetudini borghesi. Nello stesso anno dell’altrettanto incisivo Due o tre cose che so di lei, Godard firma un’altra dura critica contro la società dei consumi, mettendo in scena la (possibile) Apocalisse che l’aspetta. La crisi dei valori morali genera mostri, e la deriva che l’autore fa prendere alla sua storia è tanto crudele quanto agghiacciante. Con grande rigore formale, Godard dà vita a un pamphlet grottesco, cinico e brutale, in cui non è esente un ragionamento psicanalitico sulla coppia: la donna, frustrata, per liberarsi definitivamente delle oppressioni del marito si ciberà della sua carne. Durissimo ma di grande spessore. Celebre anche per una carrellata (tra le più lunghe della storia del cinema) su una fila di automobili in coda.
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