Disponibile su RaiPlay La terrazza, un film del 1980 diretto da Ettore Scola. Presentato in concorso al 33º Festival di Cannes, ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura e il premio per la miglior attrice non protagonista con Carla Gravina. Scritto e sceneggiato da Age, Scarpelli ed Ettore Scola, con la fotografia di Pasqualino De Santis, il montaggio di Raimondo Crociani, le scenografie di Luciano Ricceri e le musiche di Armando Trovajoli, La terrazza è interpretato da Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli, Stefano Satta Flores, Serge Reggiani, Ombretta Colli, Milena Vukotic, Ugo Gregoretti, Galeazzo Benti.
Trama
Su una terrazza romana si incontrano periodicamente alcuni vecchi amici e colleghi, ospiti di una coppia salottiera. Il film focalizza l’attenzione sui giorni che seguono uno di questi incontri e racconta questo lasso di tempo in cinque diversi episodi secondo cinque punti di vista differenti. Il primo episodio narra di uno scrittore cinematografico senza ispirazione (Jean-Louis Trintignant), il secondo di un giornalista fuori moda che cerca di riconquistare la moglie (Marcello Mastroianni), il terzo di un funzionario della Rai anoressico ed estremamente depresso (Serge Reggiani), il quarto di un produttore cinematografico alle prese con i capricci cinematografici (e non solo) della moglie (Ugo Tognazzi), e l’ultimo racconta di un deputato del Partito Comunista Italiano che coltiva una relazione adulterina (Vittorio Gassman). Al termine di questi cinque racconti il film si chiude con un nuovo incontro su quella stessa terrazza, avvenuto un anno dopo.
“Un romanzo corale che è apice della disillusione, la concretizzazione massima di un’idea di sconfitta che ha attraversato tutto il suo cinema. Da una serata trascorsa in una terrazza romana, sede di uno degli innumerevoli salotti dell’alta borghesia, si dipanano cinque vicende parallele, che si ricongiungono nel finale, nella medesima terrazza, in una struttura perfettamente circolare. Questa circolarità, oltre ad essere un efficace espediente narrativo, è portavoce di uno dei significati più profondi e dolorosi dell’opera, ovvero il sostanziale immobilismo delle cose.
Il fulcro della poetica di Scola, che ne La Terrazza emerge con enorme potenza espressiva, è il problema del fallimento delle rivoluzioni. Esponente egli stesso della borghesia e promotore delle idee del Partito Comunista, racconta con disincanto le vicende, colme d’ignavia, di un’intera generazione di reietti, non in grado di contrastare il potere, intrappolati in una borghesia decadente che mantiene esclusivamente un decoro di facciata, smarrito ormai ogni respiro intellettuale. Focalizzato sulla caratterizzazione del ceto medio come elemento più ricettivo di una guida potenziale da parte della borghesia, Scola ha optato, e La Terrazza ne è un esempio eclatante, per una scrittura che delineasse vicende intime, profondamente umane, calate con naturalezza nel contesto sociale.
Emerge un affresco realista di fondo che evoca i tratti salienti dell’Italia dell’intero Dopoguerra (C’eravamo tanto amati), con l’ambizione di interpretare i movimenti della società, i suoi cambiamenti e l’evoluzione in un presente che ha smarrito ogni ideale. Gli individui che popolano le sue pellicole, condannati sin dall’inizio a non poter dominare le proprie vite, camminano in una società che li influenza, li abbruttisce, ne determina la sottomissione al potere politico, intenti a districarsi tra storie d’amore e di amicizia, in cui giace il cuore pulsante di ogni opera, a preservare una emotività straordinaria.
Lo sfondo politico non è mai raccontato con enfasi o propaganda (Una giornata particolare, con la radio in costante sottofondo a raccontare la venuta del Fuhrer in Italia), ma con naturalezza, perfettamente embricato nel quotidiano. I personaggi, vittime di questa opprimente quotidianità, sono incapaci di contrastare la loro precaria condizione e vivono intrappolati negli ideali, mai davvero in grado di metterli in atto, per poi ricadere negli stessi errori. Lontano da questa idea era invece Elio Petri, le cui opere sono veri manifesti politici e di lotta operaia, aggressivi quanto i suoi ideali di anarchia, con situazioni tragiche al limite del grottesco (La classe operaia va in Paradiso, La proprietà non è più un furto). Scola, dal canto suo, non forza le situazioni per enfatizzare un messaggio di ribellione della classe proletaria, ma fa del realismo un’arma potentissima per raccontare situazioni paradossali, in cui il paradosso è insito negli stessi personaggi, così impreparati al mondo e così prigionieri dei propri limiti, da generare situazioni assurde (Brutti, sporchi e cattivi), amare quanto le migliori commedie all’italiana.
Conclude Mario, in uno dei monologhi più belli della storia del cinema, a chiusura di un intero progetto fallimentare e quasi un testamento con cui Scola sancisce la caduta di ogni speranza: “Che Dio vi stramaledica, ma perché vi frequento io? I privilegiati depressi, fanno pure più schifo dei privilegiati contenti. Non se ne può più del dolente erudito […],questo implacabile stronzo. Non vi voglio più vedere, voi siete il mio specchio.”
(Angelo Armandi, Vero Cinema, 26 Aprile 2016)
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