Definire il thriller/horror Lamb un film ecologista è riduttivo. Ecologista è una parola desueta che sembra riguardare una nicchia di eccentrici ingenui e oziosi che passano il tempo a preoccuparsi di piante ed animali.
Il film Lamb può essere compreso solo in due modi: accettando il fatto che gli umani e la Natura sono in strettissima connessione, hanno un’origine e un destino comune e lasciandosi andare alla visione senza pregiudizi e ostinata ricerca di una spiegazione, guardandolo come se fosse un sogno ad occhi aperti, oppure una fiaba nera, raccontata in un giorno di pioggia ad un bambino.
Valdimar Jóhannsson, al suo esordio alla regia, è islandese, è cresciuto nella fattoria dei genitori. Dai suoi sogni di bambino, custoditi in un diario, influenzati dal folklore locale e dalle leggende, è emersa l’idea di Lamb.
Raccontarne la trama rischia di rovinare la sorpresa del film, ma possiamo dire che una notte una presenza misteriosa mette in agitazione gli animali di una grande fattoria in Islanda. Qui vive una coppia affiatata, in una casetta immersa tra fitte nebbie, mormorii di fiumi, cavalli, pecore ed animali domestici. Si intuisce che una perdita ha funestato la loro felicità. La protagonista, Maria (Noomi Rapace), proprio come il marito (Björn Hlynur Haraldsson), si occupa con rispetto e dedizione alla cura degli animali, fino a quando una delle loro pecore partorisce una creatura che è sia agnello che umana. L’istinto genitoriale prende il sopravvento e i due iniziano a crescere il neonato come se fosse la loro figlia perduta, ma il desiderio di essere madre, per Maria, sarà tanto forte quanto spietato. L’arrivo improvviso dello scapestrato fratello del marito renderà la situazione più complicata, riservando alla famigliola momenti di serenità ma anche dolori inaspettati.
Lamb rivela la natura umana per quello che è: predatoria, crudele, presuntuosa. Il ferino, l’animalesco, rappresenta una caduta verso il basso, fa paura e per quanto ci possiamo mostrare compassionevoli con gli animali, è un mondo che riteniamo inferiore e che vogliano tenere ben separato dal nostro. Peccato però che, come recitava il poeta Giorgio Caproni:
Fermi! Tanto/non farete mai centro. /La Bestia che cercate voi,/voi ci siete dentro”.
Il concetto di dono, col quale Maria accoglie la strana nascita, nella visione antropocentrica e cristiana dell’esistenza, è alla base di ogni separazione, perchè quel dono lo vuole solo per sè e per nessun altro. E’ la visione che ritiene che l’uomo debba sfruttare a suo piacimento tutto quello che gli sta attorno, perchè ogni cosa è stata creata solo per il suo sollazzo.
L’agnello è certamente una figura cristologica, con la sua inerme innocenza, ma al contempo si presta proprio per questo a inusuali colpi di scena dark, ad esempio nel grottesco horror Blacksheep del 2006, di Jonathan King.
Non c’è una spiegazione giusta per capire Lamb: per usare le parole dello stesso regista, il film resta aperto all’interpretazione del lettore, alla sua sensibilità, esattamente come un sogno. Ed infatti il film, dopo la visione, rimane attaccato ai nostri sogni, alle nostre sensazioni, aprendo interrogativi, come se alla fine del film mancasse ancora qualcosa, ci fosse ancora molto da sapere e da scoprire sui misteri che popolano il nostro universo.
Lamb ha vinto il premio Un Certain Regard per l’originalità al 74º Festival di Cannes e, buffa curiosità, anche il cane Panda, per la sua (ottima, bisogna dire) interpretazione ha ricevuto una Menzione speciale alla Dog Palm.
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