Phenomena
Regia: Dario Argento; orrore, Italia 1985
Interpreti: Donald Pleasence, Jennifer Connelly, Daria Nicolodi, Fulvio Mingozzi, Antonio Maimone
RaiPlay
Dopo l’annuncio di un possibile remake, e forse di una serie, ispirati a Phenomena di Dario Argento, il film del regista romano conferma la sua modernità e InsideTheshow non può fare a meno di un approfondimento sul thriller-horror argentiano del 1985, disponibile su Rayplay.
Dopo Tenebre, apoteosi del thriller argentiano, in Phenomena la commistione di registri e influenze è palese in quello che resta come uno dei film più amati del regista romano. Il tema della diversità risuona emblematico sin dal titolo, pronto a esaltare le qualità ipersensibili di una fanciulla che comunica con gli insetti grazie a una speciale empatia telepatica. Qui, più che in altri suoi lavori, Argento vuole guardare dentro la mente dei suoi personaggi, e questa intenzione diventa un pretesto, dichiarato, per liberare la narrazione da procedure e strettoie che appartengono a una logica più classica e razionale, per darsi invece al racconto libero della scena onirica, a una composizione che obbedisce al genere ma si presta a divagazioni nel territorio della fiaba cinematografica rivisitata.
Jennifer è la giovane fanciulla che vive due mondi, quello diurno e quello sonnambolico, ma proprio come nel mondo di Disney la ragazza può fare affidamento sulla solidarietà degli animali, in questo caso gli insetti, che la amano, e alla fine sarà la scimmia Inga a salvarle la vita in un finale sanguinario senza remora alcuna. Così Phenomena è anche il film che unisce la musica heavy metal ad una vocazione fiabesca che si sporca con il sangue, con i vermi, con le larve che significano e comunicano, perché, almeno loro, sono materia viva, sono reminiscenza continua ed evocazione dal mondo dei morti.
Con Phenomena, Argento traghetta il suo cinema thriller verso l’horror, e intercetta una tendenza in atto. Lo spettatore può sentirsi testimone attento e smaliziato dentro un’opera saldamente ancorata alle regole del genere, eppure disposta a ribaltare – soprattutto per i continui contraccolpi narrativi e per i cambi di registro uditivo – le formule della rappresentazione. Phenomena porta ad emblema la condizione del personaggio che conduce in solitudine la sua indagine tramite l’ausilio di capacità eccezionali, e si tratta di un film la cui semantica audiovisiva è intessuta di momenti impressionanti e salti logici, ponendosi come un’incalzante cinema d’ambiente che dall’entomologia assume l’articolazione di uno sguardo “altro”, “non ordinario”, “telepatico”, e si fa manifesto del cinema argentiano nell’esibire al fianco di una rappresentazione scenografica e progressiva il punto di vista del diverso, assecondato dall’imprevedibile guizzo della macchina da presa che si muove in autonomia e supera il sapere dei protagonisti per svelare e mostrarsi artisticamente quale “sguardo onnisciente”.
Nel suo percorso sinuoso tra le atmosfere svizzere il regista allude a una dimensione onirica da incubo, che smarrisce gli appigli di plausibilità soprattutto nella parte conclusiva. Argento conduce con convinzione il racconto visionario soprattutto nella prima parte, ma sbanda in un finale che smarrisce la strada un po’ come Jennifer, simbolicamente, perde la strada in un bosco senza una geografia precisa, dove non abbiamo una planimetria e il maniaco vive a fianco dell’abitazione dell’entomologo interpretato da Donald Pleasence.
Collocandosi in un punto mediano della carriera di Argento, Phenomena è rinvenibile come un film “summa”, che tenta di perfezionare e, al contempo, rielaborare, i furori stilistici del cinema precedente. Ma a tratti disperde la sua forza e si sfilaccia ovattando la rappresentazione, che appare così solo a tratti veramente incisivo, e specialmente nella prima parte. Resta nondimeno in Phenomena il fascino dei corridoi sonnambolici (sempre ancora un cinema alto) con cui Jennifer “vede” la realtà parallela in stato di trance. E resta il discorso dell’autore che conserva con tratti visionari la sua coerenza.
I flash-back onirici di Tenebre erano i ricordi dell’assassino, che in giovane età uccise una donna dall’identità sessuale indefinita. Quest’ambiguità, che per l’assassino è la diversità da debellare, è invece incarnazione della complessa unicità dell’individuo, che si manifesta in Tenebre sotto gli occhi dell’assassino, folle anche nell’istintivo bisogno di uccidere chi non ha modo di difendersi e di manifestare a favore della propria “diversità”. Diversità ovverosia unicità, che in Argento è sinonimo di ricchezza umana e di facoltà che si manifestano attraverso le qualità particolari di ciascun individuo. Non sempre l’assassino ha tutte le colpe, mentre la critica di Argento è palesemente rivolta ai condizionamenti derivanti da rapporti interpersonali distorti. E in Phenomena gli animali, solitamente oggetto di quella violenza che la società riserva ai più deboli, accorrono per ristabilire equilibri della natura intaccata dalla malattia degli uomini. Nel film il tema della diversità è emblematico sin dal titolo, pronto ad esaltare le qualità ipersensibili di una fanciulla che comunica con gli insetti grazie ad una speciale empatia telepatica. Helga Ullman, la sensitiva che periva sotto i colpi di accetta in Profondo rosso, ci aveva messi in guardia: esistono persone che hanno la capacità di captare i fatti mentre accadono, proprio come certi insetti o le farfalle che comunicano a distanza.
A questa ipersensibilità è dedicato Phenomena, che mantiene il titolo in latino per ribadire una continuità con i precedenti lavori di Argento, ma che recupera innanzitutto i tratti della fiaba iniziatica comuni a Suspiria. Niente di meglio che i toni plumbei, il colore blu intenso della notevole fotografia di Romano Albani, per contribuire a rendere vibranti i chiaroscuri di ispirazione post-espressionista di un film che s’ispira a un mondo contemporaneo ma che vuole essere irriducibilmente altro; un “non luogo” dai contorni inquietanti quale fondale per l’istituto femminile “Richard Wagner”, il collegio in cui la disciplina è particolarmente dispotica e dove si respira un’atmosfera sinistra. Questa volta non ci sono streghe come in Suspiria, ma insegnanti algide che parlano tedesco e paiono nondimeno spettri senza culto, in un racconto che si eleva ad apologo sconcertante sulla difficoltà di vivere con spontaneità le proprie naturali inclinazioni laddove termini come solidarietà e comprensione sono rimossi, mentre il senso delle cose sembra smarrirsi nell’omologazione richiesta prima di tutto ai giovani. Laddove, in Suspiria, le atmosfere gotiche del collegio richiamavano l’estetica espressionista de Il gabinetto del dottor Caligari, lo scenario di Phenomena appare esplicitamente fiabesco, e Argento accentua l’adesione istintiva per il mondo dei giovani, con il quale parteggia e che può essere in grado di affrontare le prove più terribili.
Le adolescenti di Phenomena, capeggiate dalla radiosa Jennifer Connelly, sono ragazze sole, separate dai genitori e dal loro ambiente familiare, che sperimentano un’educazione restrittiva voluta da parenti facoltosi che non hanno tempo da dedicare loro. C’è chi prova a non obbedire agli ordini delle direttrici, come la compagna si stanza di Jennifer che esce la sera e si vede con un ragazzo ma sarà crudelmente punita da un fantomatico assassino. La stessa Jennifer, che comunica con gli insetti per i quali non prova né paura né disgusto, ha crisi di sonnambulismo e precipita sovente in una dimensione altra, simbolizzata visivamente da corridoi tappezzati di porte chiuse, stanze dove possono riconoscersi i difformi, coloro che il mondo civile tiene nell’ombra come un segreto vergognoso. In Phenomena, Jennifer Corvino è figlia di un celebre attore americano che le sue giovani compagne di collegio conoscono e ammirano. L’istituto femminile “Richard Wagner” ha un aspetto glaciale la cui architettura ricorda quella della magione di Mater Tenebrarum. Gli insetti con cui Jennifer comunica non le fanno male, perché trovano in lei un’amica che li tratta con amore e rispetto. Il Foehn è un vento caldo che non smette di muovere gli alberi, le foglie e i capelli dei personaggi, i quali assumono così un aspetto poeticamente “mosso”, in contrasto con il pallore che svuota d’animo i volti. Uno dei film che hanno lasciato un segno in Argento è La scala a chiocciola di Robert Siodmack, dove dietro un padrone di casa apparentemente premuroso e rispettabile covava un pazzo sanguinario intenzionato a eliminare tutte le donne affette da qualche menomazione fisica; un figlio maledetto dell’ideologia nazista che Siodmack, cineasta sfuggito alla Germania di Hitler, identificava come modello della mentalità totalitaria. Non c’era posto per i diversi, per chi usava altri linguaggi al di fuori di un’omologazione del sentire vissuta come egemone. Nel disegno nazista e totalitarista gli insetti avrebbero rappresentato l’infinitamente piccolo, il deforme da schiacciare e rimuovere come non esistente proprio come gli Ebrei o gli Zingari. Jennifer che comunica con gli insetti ed ha crisi di sonnambulismo è in questo senso una figura da curare prima che diventi troppo pericolosa per il sistema.
Nelle vicinanze del collegio si aggira da qualche settimana un assassino che uccide giovani fanciulle, e durante una crisi di sonnambulismo Jennifer assiste all’uccisione di una compagna. Nel bosco, Jennifer incontra una femmina scimpanzé, Inga, che la conduce al laboratorio del suo padrone, l’entomologo John Mc Gregor (Donald Pleasance) i cui studi aiutano la polizia a risolvere le indagini. Questi studia gli insetti e in particolar modo analizza le larve dei cadaveri in putrefazione per desumere l’epoca del decesso. L’entomologo e Jennifer hanno in comune la passione per gli insetti, testimoni di segreti e depositari di una memoria che sempre di più tende a cancellarsi nella mente delle persone. Mentre gli uomini rimuovono abitualmente i ricordi indesiderati, gli insetti sono lì a raffigurare la forma stessa del tempo, la sua durata ovverosia il suo scorrere. La loro vita è breve eppure sono nel film come delle figure filosofiche, in grado di serbare memoria addirittura sui fatti che riguardano gli umani. E, coerentemente, gli insetti sono intelligenti e collaborativi, come la lucciola che mostra a Jennifer la strada per scoprire un guanto lasciato dall’assassino. Si tratta, dunque, di figure che sono parte della personalità stessa della ragazza. La quale porta il guanto ritrovato al professore, che vi riscontra le tracce di una larva di mosca, il “gran sarcofago” solito nutrirsi unicamente di cadaveri umani. L’entomologo rivede in Jennifer i tratti e l’entusiasmo di una giovane collaboratrice con cui lavorò in passato – come una figlia per lui – che fu vittima di un serial killer.
Nello stesso tempo, per Jennifer il professore è un ideale amico, e i due possono condividere la loro diversità (il professore è bloccato sulla sedia a rotelle) mettendosi sulle orme dell’assassino attraverso metodi di indagine che richiedono una sensibilità fuori dal comune. Abituata al tono strafottente delle compagne di scuola che la canzonano per il suo atteggiamento stravagante, Jennifer una sera chiama a rapporto un gigantesco sciame di mosche che si getta contro le finestre della scuola. La direttrice crede che Jennifer sia Satana in persona (la signora delle mosche, come nel libro di William Golding) e vorrebbe farla rinchiudere, ma la giovane scappa e si rifugia dal professore. Questi sarà però trafitto dall’arma dell’assassino, che approfitta dell’assenza di Jennifer e della menomazione alle gambe dello scrittore. Nel frattempo Jennifer cerca di allontanarsi da quella landa desolata e tenta di mettersi in contatto con l’agente di suo padre, ma viene presto recuperata dall’istitutrice, Mrs Brückner (Daria Nicolodi) che la porta nella sua casa e la sequestra. Una casa arredata di specchi oscurati (troppi e un po’ grotteschi, ma la caratterizzazione espressionista si fa sentire) affinché nessuno possa vedere riflessa la propria immagine. Jennifer scopre che l’istitutrice ha un figlio e nel tentativo di scappare dalla sua prigione individua un piano sotterraneo dove si trovano l’istitutrice e Geiger, l’ispettore di polizia incatenato. Dinanzi a loro, una vasca in cui sono immersi cadaveri divorati dai vermi. Pur cadendo nell’orribile vasca, Jennifer riesce a liberarsi e a rendere inoffensiva l’indemoniata istitutrice. Scappa e trova un apparente riparo nella stanza del mostruoso figlio di Mrs Brückner, con una malformazione congenita e tarato mentalmente almeno quanto la madre. È lui l’assassino delle ragazze. Jennifer fugge su un battello ma viene raggiunta dal suo aguzzino. A questo punto chiama in aiuto le mosche che assalgono l’aggressore. Una volta tornata sulla terraferma, sopraggiunge in suo soccorso l’agente di suo padre il quale però viene decapitato dalla rediviva Mrs Brückner, mentre quest’ultima perisce definitivamente sotto le rasoiate dello scimpanzé Inga, venuta per partecipare anche lei a quella danza macabra e a vendicare la morte del padrone.
Argento sperimenta una fusione di horror e fiaba che ha il suo meglio nella presenza davvero carismatica della giovane Jennifer Connelly: come un personaggio delle fiabe, Jennifer si perde nel bosco ed è preda di un potere che sembra governarla ma la sua forza crescerà quando qualcuno saprà mostrarle calore paterno (al posto del padre assente), portandola a credere nelle proprie capacità. Con la forza del suo candore, Jennifer è uno dei personaggi rivelatori del cinema di Argento, cui il regista guarderà per film quali La sindrome di Sthendal o La terza madre. Ma con Phenomena, Argento coglie un movimento in atto nel cinema d’oltreoceano e si avvicina a un pubblico di giovani o teen-agers, che si identificano in figure come Jennifer e ascoltano tanta musica heavy metal e rock. Lo sguardo rivolto al cinema internazionale porta il regista a uno stile ibrido, ma anche a raffigurare una vicenda iniziatica, dove una fanciulla deve sperimentare una prova per poter difendersi in un mondo di sevizie e, soprattutto, deve “sporcarsi”, perdere l’innocenza, per avere la meglio sulla realtà. Una sequenza vede Jennifer immersa nella vasca delle larve e resti umani, e la sfida di Argento, così come in buona parte del suo film (e come tenterà di fare sovente in futuro) è di affiancare bellezza e mostruosità, quegli aspetti della vita che convivono in un quadro di beffarda veridicità. Jennifer, che governa gli “spaventosi” insetti di Phenomena, è già una sintesi di integrazione tra aspetti apparentemente inconciliabili. In lei brilla l’amore, come appare anche nell’evocazione cristologica rappresentata dalla sequenza nella scuola in cui la giovane chiama a sé le mosche che sbattono a frotte contro le finestre, e nel rivolgersi ad esse (e di rimando alle compagne che la scherniscono) dice: “vi amo tutte”. Nel suo cuore “hippie” si palesa l’amore per chi, come lei, è diverso, e questo amore appare prontamente ricambiato come in ogni fiaba che si rispetti.
Opera suadente, Phenomena ha un andamento discontinuo che presenta tempi più dilatati rispetto a quelli di Tenebre. Vi sono però anche guizzi improvvisi che spingono la narrazione verso picchi di inquietante concitazione, come l’incursione nel sonnambulismo di Jennifer che marca lo schema visivo-sonoro di una musica dai timbri metallici affiancata dall’esplorazione di un corridoio immaginario e biancheggiante tappezzato di porte serrate; oppure vi sono sprazzi visionari come il tuffo nelle acque del lago in cui Jennifer sarà ancora una volta perseguitata dal suo deforme carnefice, attraverso momenti di concitazione spasmodica in cui Argento si affida alla musicalità incisiva di passi rock o heavy metal. Jennifer, che potrebbe essere una perfetta infermiera o compagna di giochi del figlio deforme di Mrs Brückner, deve invece affrontare il dolore di chi ha vissuto un trauma e non ha trovato lenimento per le sue ferite. Mrs Brückner, interpretata da Daria Nicolodi nel suo ruolo più alterato in un film di Dario Argento, corrisponde esattamente a una figura di donna che in un universo dagli echi nazistoidi nasconde il proprio figlio deforme per paura che qualcuno gli faccia del male. Phenomena rivisita, nella luce bluastra delle riprese notturne e nella divagazione naturalistica di alcune sequenze come in quelle d’apertura, alcuni elementi del cinema di Argento funzionali allo sviluppo del racconto, piuttosto che esibire ostentate citazioni. La dimensione onirica e sognante fa ancora effetto mentre la casa con gli specchi oscurati, ad esempio, non può non far pensare a Profondo rosso, laddove la fuga di Jennifer nella casa-prigione di Mrs Brückner può anche rammentare l’analoga situazione che portava Mark a scoprire la verità in Inferno. Il Foehn, vento caldo che tutto muove e coinvolge, equivale un po’ all’odore dolciastro che in Inferno si respirava in prossimità delle streghe. E naturalmente, il disegno dell’Accademia “Richard Wagner” richiama alla mente le abitazioni architettate da Varelli.
La passione scientifica è ispirata anche all’opera dell’entomologo specializzato in medicina legale Leclerc, che proprio nel lavoro sugli effetti speciali di Sergio Stivaletti (qui alla prima collaborazione con Argento) trova un apporto decisivo. Si avvia con Phenomena anche il lavoro dello scrittore Franco Ferrini per le sceneggiature dei film di Argento e nel suo osare il film rimane come un’opera naif, a tratti inedita e in alcuni momenti anche prevedibile, che segnala l’autoindulgenza di un autore per il suo mondo e le sue ossessioni.
Se torniamo all’esordio dell’autore, ricordiamo come il quadro del pittore Berto Consalvi, l’artista isolato dal mondo ne L’uccello dalle piume di cristallo, era un’opera naif, e tale è l’esito forse ricercato e forse inevitabile di Phenomena, dove lo scarto tra l’individuo e l’ambiente è rappresentato con soluzioni via via inventive e rimarcate, mentre, più in generale, l’estetica riflette un mondo allucinato, dove a essere abbagliato e disorientato, alla fine, non è solo il protagonista, come non lo sono unicamente i personaggi “ausiliari”, ma lo è soprattutto lo spettatore, a cui, come Hitchcock, Argento sa di doversi rivolgere prima di tutti gli altri.
Allorquando l’avvio registico con L’uccello dalle piume di cristallo sembrava obbedire al realismo di una verosimiglianza – per quanto stilizzata e frutto di elevata astrazione – che obbediva in maniera robusta agli sviluppi hithcockiani, il termine realismo non scomparirà però dal cinema dell’incubo di Argento, di cui Phenomena è tra gli esiti più ambiziosi durante gli anni Ottanta, ma persisterà soprattutto un realismo del dettaglio all’interno di una filmografia sedotta dal simbolo e dal fiabesco. Se il suo cinema continuerà a provocare e “taglierà l’occhio” come in Un chien andalou (1929), gli mancheranno talvolta le evoluzioni ambigue e stranianti che avremmo amato ritrovare in un cinema comunque coraggioso ma non sempre all’altezza di una modernità sospesa su interrogativi alti. Argento resterà come il regista capace di dare uno scossone definitivo a un genere, il “thrilling all’italiana”, in cui sarà soprattutto lo stile a far parlare di autorialità, mentre la forte impronta espressionista del suo cinema migliore sarà sovente rimpianta in alcuni film degli anni a seguire nati pur sempre con le migliori intenzioni.
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