Disponibile su RaiPlay La carrozza d’oro (Le Carrosse d’or), un film del 1952 diretto da Jean Renoir. È il primo film europeo girato in technicolor. Dopo i titoli di testa, una scritta avverte lo spettatore: “La vicenda di questa commedia è una fantasia all’italiana. Essa si svolge nel secolo decimottavo, in una colonia spagnola dell’America Latina”. La pellicola è liberamente tratta dal noto testo teatrale Le Carrosse du Saint-Sacrement di Prosper Mérimée, a sua volta ispirato dalle vicende dell’attrice La Perricholi e del viceré del Perù. In un primo momento, la regia doveva essere affidata a Luchino Visconti. Anna Magnani interpreta Camilla, l’attrice che rappresenta in scena Colombina. Girato in Italia, omaggio alla commedia dell’arte, è uno dei grandi capolavori di Renoir, e Jean-Marie Straub non esitò a definirlo il più bel film della storia del cinema italiano. Il film è stato enormemente ammirato anche da Jean-Luc Godard, Eric Rohmer e François Truffaut. Con Anna Magnani, Duncan Lamont, Georges Higgins, Odoardo Spadaro, Nada Fiorelli, Ralph Truman, Dante, Gisella Mathews, Raf De La Torre.
Trama
Nel diciottesimo secolo Camilla, la primadonna di una impresa teatrale, grazie all’incredibile successo della sua compagnia, viene invitata a corte dal vicerè del Perù. Il quale si innamora di lei, a sua volta contesa da un torero e da un cavaliere. Per conquistarla, il nobile le regala una carrozza d’oro, che lei metterà al servizio del popolo e della Chiesa.
«La carrozza d’oro è uno dei film chiave di Jean Renoir perché riprende i temi di molti altri, principalmente quello della sincerità in amore e quello della vocazione artistica; è un film costruito secondo il gioco delle scatole cinesi che si incastrano le une nelle altre, un film sul teatro nel teatro. C’è molta ingiustizia nell’accoglienza riservata dal pubblico e dalla critica a La carrozza d’oro, che è forse il capolavoro di Renoir. Si tratta, comunque, del film più nobile e raffinato che sia mai stato girato. Vi si trova tutta la spontaneità e l’inventiva del Renoir d’anteguerra unite al rigore del Renoir americano. Qui tutto è distinzione e gentilezza, grazia e freschezza».
(François Truffaut)
“[La carrozza d’oro] con Anna Magnani, è un film complesso perché ho voluto cancellare i confini tra l’illusione artistica e la vita, inserendo uno spettacolo all’interno dello spettacolo, tentando di creare una sorta di confusione tra la recitazione a teatro e la recitazione nella vita […]”. Così Jean Renoir commentava uno dei suoi film più significativi, La carrozza d’oro, ritenuto da François Truffaut l’opera più importante del grande cineasta francese, in cui assistiamo a una sorta di triplicaménto della rappresentazione (cinema-teatro-teatro), una surcodificazione portata alle estreme conseguenze, nell’intento di far svanire la soglia che separa l’estetica dall’etica, l’arte dalla vita. E quale attrice più adatta, dunque, se non la grandissima Anna Magnani? Il film sembra essere scritto proprio per lei, così in difficoltà nelle questioni della vita privata, ma assolutamente a proprio agio di fronte allo sguardo di quel pubblico che non smise mai di ammirarla e amarla. Renoir costruì un dispositivo narrativo assai complesso, partendo dalla leggerezza e dall’improvvisazione della Commedia dell’Arte, con le sue maschere divenute archetipiche, allo scopo di innescare un processo attraverso cui far emergere l’inconsistenza della rappresentazione: si finge nel teatro, come si finge nella vita.
Un maestoso dolly plana dall’alto su un palcoscenico di un teatro (il pubblico è fuori campo, siamo noi che guardiamo) e una prima rappresentazione (anzi, a rigore la seconda, visto che si è passati velocemente dal cinema al teatro) prende vita, per poi spostarsi su un piano superiore, in cui si aprono gli spazi della vita, al di fuori dei limiti imposti dal luogo istituzionale. Ed è qui che inizia la vicenda, ispirata all’atto unico di Prosper Mérimée, Le Carrosse du Saint-Sacrement (1829), che Renoir assorbì completamente, metabolizzandolo e rielaborandolo in modo da provocare un cortocircuito della rappresentazione, mostrandone con semplicità il paradosso al pubblico.
La storia ruota intorno alla preziosa e imponente carrozza d’oro (e c’è una complessa vicenda su come i realizzatori del film riuscirono a reperirla) che un viceré spagnolo insediato in una località non precisata dell’America Latina, nel XVIII secolo, si fa portare dall’Europa, per fare sfoggio di sfarzosità tra gli abitanti di una terra povera e appena civilizzata. Tutti a corte la desiderano, ma lo scaltro regnante, che l’ha addebitata sui conti dello stato, la vuole solo per sé, per imporre ancor meglio il suo dominio. A sparigliare le carte in tavola (compreso, in particolare, il destino dell’agognata carrozza) contribuisce l’arrivo di una compagnia italiana della Commedia dell’Arte, giunta con l’intento di fare fortuna. Tra i vari teatranti c’è Camilla/Colombina (Anna Magnani) che fa strage di cuori e riesce a farsi regalare il pregiato mezzo di trasporto dal viceré, fatalmente invaghitosi di lei.
La leggerezza e la comicità che attraversano il film di Renoir sono funzionali a far confluire, l’una dentro l’altra, come si diceva all’inizio, l’arte e la vita, senza sottoporre lo spettatore a estenuanti operazioni intellettuali, piuttosto facendo svanire, con semplicità, l’esile soglia che separa due mondi apparentemente distanti e inconciliabili. La rappresentazione è elevata al cubo (cinema-teatro-teatro), proprio perché c’è la volontà di portarla all’eccesso, giungendo al paradosso di deformarla, in una trasfigurazione della realtà che dà alla luce, mutuando il gergo di Gilles Deleuze, nuove ed entusiasmanti figure dell’essere. E Anna Magnani si rivela il demiurgo perfetto per compiere questo delicatissimo procedimento, muovendosi tra i vari piani con agilità, senza rendersene quasi conto, fino ad arrivare alla presa di coscienza finale in cui, interrogata (presumiamo dalla voce fuori campo e divinatoria di un Renoir sottratto allo sguardo) e invitata a scegliere di dedicarsi completamente alla finzione dello spettacolo, esprime un po’ di nostalgia per quel mondo della vita reale che l’aveva tanto coinvolta. Il gioco di scatole cinesi di Renoir è entusiasmante, in quanto, come se si circolasse vorticosamente su un nastro di Möbius, si è catturati in un movimento colto nel suo divenire, in cui non vi è un primato della ragione (dell’atteggiamento intenzionale), laddove si è troppo impegnati a trasformarsi in ciò che si è, e al tempo cronologico subentra una sublime ‘durata’, che è quella dell’anima, fuori dalla Storia, in un continuo processo di deformazione e trasfigurazione dell’ordine simbolico.
Colpisce e incanta la naturalezza con cui La carrozza d’oro affronta e interpreta questioni decisive, un film del 1952 che, a rivederlo oggi, frastorna per la profondità; non crediamo di sbagliare, inoltre, affermando che probabilmente il Pasolini di Che cosa sono le nuvole? debba non poco alla lezione del grande regista francese.
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