Disponibile su RaiPlay I compagni, un film del 1963 diretto da Mario Monicelli, scritto dal regista insieme alla coppia Age–Scarpelli. La pellicola ha come interpreti principali Marcello Mastroianni e Renato Salvatori e fu candidata agli Oscar per la migliore sceneggiatura originale. Oltre alla nomination all’Oscar, I compagni si aggiudicò un Nastro d’Argento a Folco Lulli come migliore attore non protagonista e il Premio come Miglior Film al Festival Internazionale di Mar Del Plata. Cast tecnico di altissimo livello, con in testa la fotografia di Giuseppe Rotunno, Il montaggio di Ruggero Mastroianni, i costumi di Piero Tosi, le scenografie di Mario Garbuglia e le musiche di Carlo Rustichelli. Con Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Annie Girardot, François Périer, Bernard Blier, Mario Pisu, Raffaella Carrà, Folco Lulli.
Trama
In un’industria tessile torinese, sul finire del secolo scorso un gruppo di operai, prendendo lo spunto da un incidente di lavoro, chiedono la revisione del loro trattamento. Però l’azione fallisce. Riprenderà quando un agitatore sociale, il Professor Sinigallia organizzerà gli operai incitandoli allo sciopero ad oltranza. Nella reazione di crumiraggio sollecitata dai padroni, un operaio perde la vita, mentre il professore, ricercato dalla questura, cerca rifugio da una prostituta. Lo sciopero continua e la resistenza padronale sta per vacillare. Nello scontro con la cavalleria, chiamata per difendere la fabbrica dall’occupazione, cade una seconda vittima. Gli operai ritornano al lavoro sotto il peso della sconfitta, ma con una speranza per l’avvenire.
“L’idea di girare I compagni mi venne a Parigi, mentre attraversavo piazza della Bastiglia insieme al produttore Cristaldi, e riflettevo sul fatto che in quella piazza, in cui non restava alcuna traccia dell’antica fortezza, era cominciata una nuova fase storica perché un gruppo di disperati voleva ottenere il riconoscimento dei propri diritti, e fece una rivoluzione per ottenerlo. Di lì sono poi passato a chiedermi che cosa doveva essere uno sciopero alla fine dell’Ottocento, quando alcuni poveri operai privi di cultura, capacità, organizzazione, si mettevano in testa – ad esempio – di diminuire di un’ora il loro orario di lavoro. Volevo raccontare una storia del passato che mi è venuta come commedia, perché io vedo il mondo come commedia: la battaglia sindacale poteva essere rappresentata anche con toni divertenti, perché in ogni momento della vita di ogni comunità umana ci sono amori, scherzi, divertimenti, soprattutto se i protagonisti sono giovani. Ho spiegato la mia idea a Cristaldi, che già aveva fatto I soliti ignoti, e lui ha accettato. Allora ho radunato gli amici ed abbiamo cominciato il lavoro di studio, documentazione, ricerca delle foto, ecc. Benché I compagni fosse ambientato a Torino, fu quasi impossibile girare in città, perché non era rimasto nulla dell’aspetto urbano di fine Ottocento; così ho girato a Cuneo, Fossano, Zagabria, e in altri luoghi. Ricordo che quando venni a Torino nel ’63 trovai una città molto caotica, sporca, fortemente degradata a causa della straordinaria immigrazione dal Meridione che allora era in corso. Oggi trovo la città molto migliorata, forse anche perché ormai gli immigrati meridionali sono bene integrati, e mi pare che la gente possa vivere in modo tranquillo e piacevole”.
(M. Monicelli, “Notiziario dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema” n. 68, 2001)
“L’idea era quella di fare una commedia con tanti personaggi, un film corale nel quale ci fosse ben presente l’elemento storico. Ci affascinava l’idea di essere i primi a raccontare una storia di operai e di scioperi, argomento che era stato sempre tabù in Italia. Ma, come ho detto altre volte, in Italia la società era a destra ma il cinema stava a sinistra e noi affrontammo il film come una sfida, una piacevole sfida. E come tutte le sfide, mettevamo nel conto che potesse andare male, e infatti il film non ha avuto il successo che speravamo e che meritava. Non è piaciuto ai borghesi perché parlava di scioperi, e agli operai politicizzati perché temevano che l’ironia con la quale raccontavamo la vicenda potesse gettarli nel ridicolo. Ma è stato il film per il quale abbiamo compiuto il massimo sforzo di ricerca. Alcuni nostri collaboratori sono partiti per Torino e sono stati lì per un mese, sono riusciti a rintracciare all’ospizio due vecchietti che avevano partecipato agli scioperi di inizio secolo, e la loro testimonianza è stata utilissima per ricostruire la vita quotidiana e anche alcune scene importanti: ad esempio, la sequenza nella quale gli operai in sciopero rubano il carbone dalla stazione ferroviaria proviene proprio da un loro racconto. Poi siamo andati nelle sedi del sindacato e abbiamo consultato le riviste operaie d’epoca, soprattutto le illustrazioni, e molte tracce di questo lavoro si possono ritrovare nelle scenografie e nei costumi”.
(M. Monicelli, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001)
“Come al solito il mio interesse si incentrava sulla storia di un gruppo di persone che progettano un’impresa superiore alle loro forze. A quei tempi in Italia regnava un clima reazionario. Gli scioperi erano considerati al limite della legalità. A me però interessava dare uno sfondo più urgente e meno attuale al problema, quando i diritti in ballo riguardavano condizioni di lavoro al limite della sopportazione umana. La lotta per ridurre da quattordici a tredici le ore in fabbrica. Il divieto di far lavorare bambini sotto i nove anni. Questioni che esulavano dal presente con un valore universale. Si cercano sempre riferimenti precisi alla politica, quando a me interessava la storia di questo gruppo di operai, sprovveduti ma volenterosi di capire e di darsi da fare, che nel corso di questi trenta e passa giorni di sciopero maturano una consapevolezza più forte della sconfitta. In un simile contesto era difficile alleggerire l’atmosfera. Credo che siano state fondamentali la simpatia dei personaggi e l’attenzione per i risvolti ironici. Sono molto soddisfatto dell’equilibrio ottenuto. I personaggi sono tanti, alcuni hanno pochissimo spazio, eppure vengono fuori con il giusto risalto. E poi Mastroianni al suo meglio. Misurato anche nell’intemperanza, umano anche se non nasconde una forma di egoismo. L’attore di qualità arriva sul set pronto a recepire quello che gli sta intorno. La sua idea del personaggio si completa durante le riprese. Questa era una caratteristica di Mastroianni. Dopo aver letto la sceneggiatura, rimuginava sul suo personaggio e imparava le battute a grandi linee. Poi, appena si trovava sul posto si guardava intorno, gli bastavano due o tre prove, non di più, e allora gli scattava un meccanismo di immedesimazione. La qualità di Mastroianni stava nell’assorbire un personaggio senza darlo a vedere. In lui l’indolenza diventa un pregio, ne accresce il fascino”.
(Mario Monicelli, La commedia umana. Conversazioni con Mario Monicelli, a cura di Sebastiano Mondadori, il Saggiatore, Milano 2005)
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