Disponibile su RaiPlay Francesco d’Assisi, una miniserie televisiva italiana del 1966, diretta da Liliana Cavani, riedita nel 1972 come film. Avrà un rifacimento cinematografico del 1989, Francesco, interpretato da Mickey Rourke e con la regia della stessa Cavani, che nel 2014 realizzerà un’ulteriore miniserie televisiva sulla vita del santo di Assisi. Il film è stato girato con la consulenza storica di Boris Ulianich. Girato in bianco e nero in 16 mm, fu all’epoca il primo film per la televisione della Rai, su commissione di Paolo Valmarana. Francesco d’Assisi venne proposto in due puntate, il 6 e l’8 Maggio 1966 in prima serata dal primo canale, ed ebbe un pubblico di circa 20 milioni di telespettatori. Ne fu ricavata anche una riduzione cinematografica. Nel 2007, il film è stato restaurato da Cinecittà Holding, presso i laboratori di Cinecittà Studios e con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Direzione Generale Cinema). Con Lou Castel, Giancarlo Sbragia, Mino Bellei, Marco Bellocchio, Riccardo Cucciolla, Giampiero Frondini, John Karlsen, Gianni Turillazzi.
Trama
Dai giochi d’infanzia con gli amici ai campi di battaglia veri e propri, si consumano i primi anni della vita di Francesco, che non riesce a trovare un autentico impegno di vita. La lettura del Vangelo, nella chiesetta abbandonata di San Damiano, induce Francesco ad abbracciare la povertà, rinunciando ai beni paterni. La sua scelta dà scandalo e il padre lo fa vanamente processare per dissipazione. Dopo la sua scelta Francesco è pervaso da una gioia profonda e, raccolta intorno a sé una piccola comunità di fedeli, si reca a Roma al cospetto di papa Innocenzo III affinché questi approvi la regola francescana. Una volta ottenuto il consenso i frati possono darsi alla predicazione e la famiglia francescana si allarga. Nascono però i primi dissidi. Francesco si ritira allora ad Assisi, per scrivere la nuova regola interamente ricavata dal vangelo. Regola che sarà poi mutata da alcuni frati perché ritenuta troppo severa. Francesco è deluso e amareggiato. Gravemente ammalato e ormai quasi cieco, si ritira alla Verna. Morirà il 4 Ottobre 1296, nudo sulla nuda terra.
“Era il 1966 e Angelo Guglielmi, allora dirigente della Rai, doveva produrre una celebrazione dedicata a Francesco; uno spettacolo di prosa, da mettere in scena dentro uno studio di via Teulada, e me ne parlò. Io gli dissi subito: non mi interessa né lavorare in studio, né la figura di San Francesco. Venivo da una famiglia che dire laica è poco e Francesco d’Assisi mi interessava soltanto come poeta. Poi però, per curiosità avevo voluto leggere una biografia di Francesco e mi capitò in mano quella scritta da Paul Sabatier, che per me è tra le migliori. È un testo che, alla fine del XIX secolo, inaugurò gli studi francescani moderni e che la Chiesa aveva messo all’indice. A me invece piacque moltissimo: non è un testo agiografico ma un vero romanzo di formazione. Mi fece capire (e vedere) l’avventura di un giovane che non sa decidersi cosa far di sé, perché l’idea di fare il commerciante come suo padre lo avvilisce. Tenta l’avventura delle armi (si è addestrato, è bravo e ha i muscoli pronti) ma non solo si scoccia, come si direbbe oggi, ma scopre di avere una forte avversione per la violenza. Vidi in quel Francesco confuso sui valori un giovane di oggi, con sentimenti autentici e oltretutto applicabili ad un ragazzo come ad una ragazza, e per quello mi piacque.
Rimasi stupefatta dall’attualità e dalla modernità di questa figura, e questo per diversi motivi: primo, perché Francesco non è un francescano; secondo, perché la sua era una rivoluzione generazionale, e per questo sempre attuale. Mi sono trovata a condividere tante cose. Così ho detto a Guglielmi: facciamone un film a basso costo, e lui che amava le sfide, chiamò Leo Pescarolo, che era un produttore che non aveva ancora fatto un film ma sognava di farlo, e gli affidò il progetto. Il budget che ci misero a disposizione era di soli trenta milioni di lire, ovvero il costo che era preventivato per la trasmissione televisiva. Fu il mio primo film, ma fu anche il primo film in assoluto della televisione italiana. E con trenta milioni lo abbiamo fatto. Ebbe la fortuna di essere invitato a Venezia, dove allora non c’era ancora una sezione giovani; i giovani, a Venezia, non se li filava nessuno. Fui invitata a mostrare il film da un gruppetto di critici che lo avevano amato vedendolo in Tv. Ricordo tra questi estimatori Giovanbattista Cavallaro dell’Avvenire, che fu promotore dell’invito a Venezia, dove il film ebbe molto successo.
Francesco, Chiara e il ’68. Non voleva essere una scelta provocatoria: scelsi Lou Castel perché dopo aver visto tanti altri giovani attori mi sembrò il più giusto. In seguito ho scoperto che era un giovane che aveva fatto una scelta radicale per un ideale. Anche se il suo era il marxismo, era stato capace di spogliarsi di tutto. Poi hanno detto che il mio film ha anticipato il ’68 e del resto in effetti io immagino il movimento francescano un po’ come quello sessantottino, non a caso il mio film è stato percepito come qualcosa di nuovo. Si afferrava che c’era qualcosa di nuovo nell’aria, perché c’era in Francesco. Ce lo immaginiamo sempre con delle tuniche come quelle che indossano oggi i frati, invece quando lui si denuda di fronte al padre, il vescovo gli dà un indumento da contadino, un camicione che ancora usavano in campagna all’inizio del secolo scorso. Ad ogni modo la grande modernità di Francesco e Chiara si fatica a raccontarla bene perché le fonti sono insufficienti e se si azzarda qualcosa si può pensare che me la sono inventata. È evidente, per esempio, che Chiara era una femminista ante litteram. Fugge di casa, decide da sola della propria vita, una cosa che a quei tempi non era neanche pensabile. Comunque su Chiara le fonti sono soltanto agiografiche. D’altra parte le testimonianze sono passate attraverso il filtro di Elia da Cortona, il capo generale dell’ordine francescano al momento della morte di Francesco, quello che aveva fatto costruire la grande basilica di Assisi. Il film ebbe, come si dice, una storia di successo. Fu richiesto in tanti posti. Per esempio subito dopo Venezia fui invitata a presentare il mio film a Praga dal gruppo di intellettuali di “Carta 90”. Era il periodo della famosa Primavera di Praga: si erano liberati dell’occupazione dei russi e vivevano nell’ebbrezza della libertà, che però durò poco. Nel ’68 a Praga arrivarono i carri armati sovietici. La festa era finita. Non ho mai saputo cosa accadde a tanti intellettuali che avevo conosciuto, eccetto Milos Forman, che andò in America e lo rividi a New York 10 anni dopo”.
(Liliana Cavani)
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