Disponibile su RaiPlay Il grande dittatore, un film statunitense del 1940 scritto, diretto, musicato, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin. Rappresenta una forte parodia satirica del nazismo e prende di mira direttamente Adolf Hitler e il suo movimento, contemporanei al film. In Italia il film fu distribuito nel 1946 col titolo Il dittatore, poi cambiato ne Il grande dittatore a partire dalla riedizione del 1960. La lavorazione del film è stata narrata nel documentario Il vagabondo e il dittatore del 2002 diretto da Kevin Brownlow e Michael Loft. Nel 1941 ottenne cinque candidature al premio Oscar, inclusi miglior film e miglior attore allo stesso Chaplin. Film più costoso e di maggiore successo di Chaplin, è considerato uno dei suoi capolavori e uno dei più celebri della storia del cinema. Malgrado le difficoltà di distribuzione, Il grande dittatore è stato il film di maggiore successo commerciale di Chaplin, riconosciuto da critica e pubblico il suo più bello e significativo. Con Charles Chaplin, Paulette Goddard, Jack Oakie, Reginald Gardiner, Henry Daniell, Billy Gilbert, Grace Hayle, Carter DeHaven.
Trama
In Tomania il dittatore Adenoid Hynkel scatena la repressione contro gli ebrei. La bella Hannah e il suo innamorato, un barbiere straordinariamente somigliante a Hynkel, fuggono. Il barbiere, dapprima catturato, scappa dal lager e si imbatte per caso nel vero dittatore che viene arrestato in vece sua. Dai microfoni del führer il barbiere pronuncia al mondo un lungo messaggio di pace e speranza.
“Chaplin aveva colto perfettamente gli stereotipi della rappresentazione del potere […]; evidente appare anche lo studio dei filmati di propaganda, l’analisi attenta delle pose e della tecnica oratoria di Hitler. […] La parodia s’innesca grazie all’irrigidimento del flusso vivo del discorso, e il linguaggio devia verso la sua struttura più schematica e esteriore: le espressioni comiche nascono inserendo suoni familiari senza senso nella rigida struttura di un’enunciazione pubblica. Chaplin riesce così a trasmettere in modo inimitabile la demagogia e l’isteria dei discorsi. Non basta però la parodia a esorcizzare l’incubo del nazismo: Chaplin, nella sequenza finale […] pronuncia con ardore parole di denuncia e di lotta ai soprusi. Il passaggio brusco da un registro all’altro lascia interdetti i critici e gli spettatori, ma la forza del discorso è proprio in questo strappo”.
(Anna Fiaccarini, Il grande dittatore, in Enciclopedia del cinema, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2004)
“Ciò che colpisce di più oggi, è l’attento studio della psicologia hitleriana. Chaplin mostra di avere intuito con grande lucidità il motivo principale del successo di Hitler: la capacità di illudere, prima ancora che gli altri, se stesso. Cosa contrappone Chaplin al delirio di grandezza hitleriano? Con geniale intuito proprio quello che alla fine determinò la caduta dei due dittatori: il senso comune, l’umanitarismo esistenziale della piccola gente. Chaplin in questo film dimostra una volta di più di non avere niente a che fare con gli illuminismi tradizionali e contemporanei. La sua trovata, se così si può chiamare, consiste nell’estendere ai campi della politica, della guerra e delle lotte sociali il suo senso dei valori tradizionali e probabilmente eterni della verità, della libertà e della giustizia. Come abbiamo notato Il grande dittatore oggi fa un effetto sconcertante e in fondo deprimente perché, purtroppo, non ‘data’ affatto, anzi, appare più attuale che mai. Visto nella prospettiva del 1940 e sapendo che è stato girato in piena guerra, il film fa di Chaplin una personificazione simbolica di tutto quello per cui affermavano di battersi allora gli Alleati. Visto oggi, Chaplin perde ogni carattere simbolico, ridiventa se stesso, vale a dire un uomo di buona volontà le cui parole sincere e commoventi contro la guerra e la dittatura, a favore di un mondo “nuovo e pulito” echeggiano in un’atmosfera di nuovo guerresca e inquinata dalla realpolitik e dalle ideologie di destra”.
(Alberto Moravia, La svastica che fa ridere, in “L’Espresso”, n. 2, 14 gennaio 1973)
“Anche se agli spettatori meno giovani la satira del Grande dittatore può sembrare ottimista e quasi indulgente non per questo il film è meno utile oggi. Da quindici anni, gran parte della nostra stampa amena è tornata al suo vomito fascista con una fame che pare inestinguibile. Nemmeno ‘sotto Mussolini’ i nostri giornali hanno tanto esaltato quei mediocri e ridicoli personaggi che furono i protagonisti delle rivoluzioni naziste. Insinuare, come fa Chaplin, che quei dittatori fossero soltanto dei pagliacci da circo è già qualcosa. Non è tutta la verità, ma è certo la parte più lampante della verità. […] Purtroppo le dittature nascono insensibili al ridicolo e la buffoneria esteriore di cui si parano è anche la lugubre mitizzazione della loro ferocia. Chaplin dice che bisogna ridere dei dittatori perché sono comici”.
(Ennio Flaiano, Il grande dittatore, in “L’Espresso”, marzo 1961)
Sarah Cole dice
miglior film e miglior attore allo stesso