Disponibile su RaiPlay L’uomo di paglia, un film italiano del 1958, diretto e interpretato da Pietro Germi, presentato in concorso all’11º Festival di Cannes. Il titolo del film si rifà a una poesia di Thomas Eliot. Prodotto da Franco Cristaldi, scritto e sceneggiato da Pietro Germi, Alfredo Giannetti, Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, con la fotografia di Leonida Barboni, il montaggio di Dolores Tamburini, le scenografie di Carlo Egidi e le musiche di Carlo Rustichelli, L’uomo di paglia è interpretato da Pietro Germi, Luisa Della Noce, Franca Bettoja, Edoardo Evola, Sari Urzì, Edoardo Nevola, Milly Monti.
Trama
Andrea, operaio sposato e con figlio, ha una relazione con una giovane dattilografa. Preso dai rimorsi, la lascia e ritorna in famiglia, ma la tragedia è dietro all’angolo.
«Due anni dopo Germi tenta di ottenere lo stesso successo raggiunto con Il ferroviere realizzandone in certo senso il “doppio”. Sebbene anche questo nuovo lavoro conservi la semplicità del precedente, la sua linearità e trasparenza rivelano ad una più attenta lettura uno spessore molto più robusto ed una più sfumata problematicità. Ben poco comunque risulta estremamente mutato rispetto a Il ferroviere: stesso tema dominante – la famiglia – e un cast di attori pressoché identico, con una conclusione ancora una volta nel segno della ricomposizione del focolare domestico. Le stesse ragioni inoltre presiedono alla decisione del regista di interpretare un ruolo principale.
L’idea di girare un “altro” Ferroviere, tuttavia, non nacque da un semplice calcolo commerciale, quanto piuttosto da considerazioni per così dire di carattere sociologico, relative alla crisi dell’istituto del matrimonio, denunciato dal moltiplicarsi preoccupante dei casi di adulterio. Parlandone con Alfredo Giannetti, che insieme con lui scrisse la sceneggiatura de L’uomo di paglia, il regista convenne sul diffondersi generalizzato di un fenomeno che ormai interessava tutte le classi sociali, mentre una consolidata tradizione drammaturgica e cinematografica l’aveva quasi del tutto relegato nei confini dei mondo borghese, cui lo si riteneva più intimamente congeniale. S’è notato come il punto di vista espresso da Germi col suo nuovo film sia molto vicino a quello implicitamente affermato da Antonioni con Il grido (1957), tutto centrato su un universo di sentimenti al quale il populismo di matrice neorealista aveva ritenuto estranea la classe operaia e che non senza ragione determinò l’iniziale perplessità per un’opera che si presentava con tutti i caratteri di una dirompente novità.
Mentre in Antonioni vi era un proposito di rottura polemica col passato, consapevolmente perseguito, ne L’uomo di paglia tale intenzione era meno diretta, anche perché le ascendenze culturali del film, individuabili in certa letteratura di consumo o, come suggerito da Brunetta, in alcune suggestioni del cinema francese di matrice realistica, rendevano molto meno stimolante la proposta. Tuttavia ciò non sminuisce il chiaro valore sintomatico che L’uomo di paglia assumeva in un contesto caratterizzato da una crisi evolutiva della società, che si ripercuoteva in ogni suo aspetto.
Germi spinge questa volta ancora più a fondo il processo di immedesimazione col protagonista, come denunciano alcuni dettagli tecnici che egli non mancò di far notare: “Con L’uomo di paglia parlerò con la mia voce, che forse non è molto bella, e reciterò con il mio accento che forse non è del tutto accademico. Ma l’uno e l’altro mi paiono veri, sento talvolta di aver dato al personaggio tutto me stesso. Soprattutto per questo reciterò e continuerò ad interpretare i miei film ogni volta che sarà possibile per essere totalmente partecipe di quanto racconto, per rendere nel modo più personale possibile i sentimenti, le azioni che ho inventato e nella cui sincerità credo”.
La struttura narrativa de L’uomo di paglia, modellata sull’esempio della tradizione dei cinema intimista, fa di questa nuova esperienza – dei suo sottinteso proposito di replicare in ambiente di derivazione neorealista il piccolo dramma di Breve incontro (Brief encounter, 1945) di David Lean – un’opera di indiscutibile singolarità. Il titolo, evidentemente derivato da una famosa poesia di Thomas S. Eliot, è un’utile traccia per comprendere il significato del film:
Siamo gli uomini vuoti
siamo gli uomini impagliati
che appoggiano l’un l’altro
la testa piena di paglia.
Ma Germi a tal proposito fu molto più semplice: “Non coglierò quest’occasione per spiegare ai lettori e al pubblico che cosa significhi il titolo del mio nuovo film. Molti me l’hanno chiesto e sono certo che la stessa domanda finiranno col farsi quanto lo vedranno. Non ci sono prestanomi né spaventapasseri (due significati figurati con cui il termine uomo di paglia viene usato nella nostra lingua); e allora perché dì paglia? lo credo che lo spettatore arriverà a darsi una spiegazione per metà allegorica, per metà lapidaria di questo titolo».
(Vito Attolini,Il cinema di Pietro Germi, Elle Edizione, 1986)
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