Disponibile su RaiPlay Strategia del ragno, un film per la televisione del 1970 diretto da Bernardo Bertolucci. Liberamente ispirato al racconto di Jorge Luis Borges del 1944 Tema del traditore e dell’eroe, il film racconta di un giovane che si reca nella sua città natale per investigare sul misterioso omicidio del padre, eroe della Resistenza, avvenuto in epoca fascista. Co-prodotto dalla Rai, il film fu presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e trasmesso in televisione nell’Ottobre del 1970. Sceneggiato da Marilù Parolini, Eduardo de Gregorio e Bernardo Bertolucci, con la fotografia di Vittorio Storaro e Franco Di Giacomo, il montaggio di Roberto Perpignani, le scenografie e i costumi di Maria Paola Maino, Strategia del ragno è interpretato da Giulio Brogi, Alida Valli, Pippo Campanini, Tino Scotti, Franco Giovannelli, Giuseppe Bert, Allen Midgette.
Trama
Athos Magnani, figlio di un eroe antifascista ucciso nel ’36, torna a casa per scoprire la verità sulla morte del padre. Tratto da un racconto di Borges, uno dei migliori film di Bertolucci, qui più “padano” che mai. Prodotto dalla Rai, è una rivisitazione onirica ed edipica della Resistenza con momenti di grande suggestione.
“Strategia del ragno è un film che nasce sul bisogno di affrontare l’ambiguità della storia, sulla demistificazione delle figure eroiche dei padri borghesi e antifascisti, sulla scoperta che le notti padane sono fatte di luce azzurra come le notti di Magritte, sui microfoni eroici della presa diretta assediati dalle enormi zanzare del Po, sulle carrellate che mi venivano sempre laterali, parallele alle persone e ai muri, piene di soste, di fermate, e poi mi sono accorto che assomigliavano tanto agli accelerati delle ferrovie locali della Bassa. Tutto questo fa solo parte di un’esperienza. Il film significa quello che significa, direbbe Moravia. Se si comincerà a pensare a un cinema regionale, mi piacerebbe sentirmi dire fra qualche anno che Strategia del ragno è stato il primo film regionale, seppure ancora rozzo e artigianale. Per questo, dentro di me, mi piace pensare di averlo dedicato alla regione emiliana e alla sua giunta.
Il film è anche un esempio di cinema-verità. Le comparse sono tutti personaggi che avevo conosciuto e mitizzato quando ero bambino. Il film è stato girato in una condizione di trance simile al sogno, è il sogno di un film, il cinema verità della memoria. Avevo come assistente mio fratello Giuseppe, come direttore della fotografia Storaro, per la prima volta, e la troupe era ridotta al minimo. C’erano 38 gradi all’ombra e il film si esaurisce nella ricerca dell’ombra del fogliame. Il verde della campagna che si vede nel film durante il mese di agosto non esiste in nessun’altra parte del mondo. Almeno metà del film è blu, perché ho girato molto nel breve intervallo della luce che c’è tra il giorno e la sera. E il colore, in quelle condizioni, si può ottenere soltanto nei pochi minuti appena il sole è tramontato d’estate, se si filma senza mettere dei filtri. È quindi un blu speciale, inequivocabile, che tutti gli operatori allora temevano. Noi, invece, cominciavamo a girare proprio quando un operatore tradizionale avrebbe detto “basta”.”
(Bernardo Bertolucci)
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