Disponibile su RaiPlay Cognome e nome: Lacombe Lucien (Lacombe Lucien), un film del 1974 diretto da Louis Malle. Fu candidato al premio Oscar come migliore film straniero. Con il soggetto e la sceneggiatura di Patrick Modiano e Louis Malle, la fotografia di Tonino Delli Colli, il montaggio di Suzanne Baron, le scenografie di Ghislain Uhry e Henry Vergnes, i costumi di Corinne Jorry e le musiche di Django Reinhardt, Cognome e nome: Lacombe Lucien è interpretato da Pierre Blaise, Aurore Clément, Holger Löwenadler, Thérèse Giehse, Stéphane Bouy, Loumi Iacobesco, René Bouloc, Pierre Decazes.
Trama
Lucien Lacombe, ragazzo diciassettenne di campagna, reduce al villaggio natio, trova nella fattoria una situazione assai triste e si rivolge al maestro per entrare nella Resistenza. Non accettato, mentre torna alla cittadina ove lavora presso un ospizio, ha un incidente e finisce nell’albergo ove soggiornano il comando della Gestapo e diversi collaborazionisti. Accolto con affetto dal corridore ciclista Aubert, che è a sua volta di Souleillac, dopo aver abbondantemente bevuto, denuncia il maestro che viene arrestato e torturato. Immesso nella polizia, Lucien prende parte alle azioni repressive pressoché incosciente. Presentato da Jean-Bernard de Voisins al sarto parigino Albert Horn, un ebreo che vive alla macchia sotto la ricattatoria protezione del nobile poliziotto, fa la conoscenza di France e se ne innamora.
“Film di solida struttura narrativa, retto da un gusto classico dell’immagine realistica calata in un’atmosfera che ha qua e là qualcosa di assurdo e di onirico, Lacombe Lucien è un’opera di qualità molto pregevole. Il ritratto compiuto da Malle rivela infatti una mano di inconsueta finezza, attenta a esplorare, attraverso i comportamenti, i dati psicologici e sociali che possono aiutarci a comprendere certi ingranaggi della vita e certi aspetti della storia: non soltanto di ieri ma, come già la Cavani, di sempre. Cosa ci dice il film? Che il male è spesso alleato dell’ignoranza; che la povertà e la sottocultura rendono i semplici disponibili alla violenza; e nel contempo che tutti i deboli possono farsi complici dell’abiezione in un gioco di reciproci ricatti. Si capisce perché una parte della critica di estrema sinistra abbia condannato il film: l’uomo è fragile, ripete Malle nel solco d’una cultura che l’ideologia marxista rifiuta come irrazionale, e le sue origini proletarie non bastano a fargli scegliere la via giusta. Quanto accadde ieri in Francia (e in Italia), dove non tutti i figli del popolo furono con la Resistenza, si può ripetere ovunque l’ottusità morale, il sottosviluppo intellettuale, l’ansia di affermare comunque la propria identità, possono trasformare l’aggressività naturale in strumento di perfidia. Malle non assolve nè condanna il suo Lucien. Nutrito di forti esempi letterari, egli soprattutto osserva e crea, con una virtù inventiva inconsueta per densità e costanza di distacco. Ne esce, lo ripetiamo, un film fra i maggiori della stagione, intelligente e compatto, inquietante e moderno. I maggiori interpreti, come è giusto, sono quasi tutti sconosciuti, e tuttavia di resa eccellente: in prima fila Piene Blaise, un taglialegna portato felicemente sullo schermo a ripetere certe torve opacità contadine, e Aurore Clément, un’indossatrice parigina che dà alla ragazza ebrea trepidi chiaroscuri. Al loro fianco due attori di grande mestiere: il bulgaro Holger Lowenadler (il sarto), attivo nel teatro svedese, e la tedesca Thérèse Giehse (la nonna), venuta da Brecht, e un gruppo di caratteristi scelti con cura per dire le insidie del tempo e le bassezze dell’ambiente. L’ottima musica dell’Hot Club de France e la fotografia di Tonino Delli Colli sono più che un corredo: danno un aiuto importante al successo di un film che, rievocando anni bui, alza un segnale d’allarme”.
(Giovanni Grazzini, Gli anni 70 in 100 film, Laterza, 1978)
“La guerra vista dalla parte degli stolti, con il protagonista (molto convincente) che è quasi un “cattivo selvaggio”, un Forrest Gump ante litteram invidioso e arrivista, anche se il suo paragone più prossimo è con lo sguattero zoppo del successivo (e affine) Arrivederci ragazzi (1987), sempre diretto da Louis Malle. Attraverso questo eroe spregevole, il regista riesce a raccontare al contempo la vergogna per il (recente) passato francese ed europeo e la proverbiale banalità del male, insieme al peso che il caso ha in ogni decisione umana. Molto amato e odiato a pari modo per aver “giocato” con libertà su temi ancora scandalosi, il film resta un sentito (anche se un po’ freddo) racconto immorale, più verosimile della realtà, tanto che il destino di Lucien è affidato a una didascalia che insieme riassume e sbeffeggia il presunto valore delle prese di posizione. Esemplare anche per come viene fotografata una Francia soleggiata e non scontata, attraversata tanto dalle gioiose pedalate del ragazzo quanto dai mezzi bellici, fu nominato agli Oscar e ai Golden Globes, ma in generale forse sottovalutato nella sua potenzialità di interpretare davvero, con l’impegno leggiadro del regista e un consapevole rifiuto di ogni catarsi, un’amnesia di coscienza individuale che condensa nel nonsense della guerra”.
(LongTake)
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