Disponibile su Youtube Uccellacci e uccellini, un film del 1966 diretto da Pier Paolo Pasolini, interpretato da Totò e Ninetto Davoli e prodotto da Alfredo Bini. È l’ultimo film da protagonista interpretato da Totò. Per l’interpretazione di Uccellacci e uccellini Totò fu insignito con una menzione speciale al Festival di Cannes del 1966. Il film ottenne anche Nastro d’argento al migliore attore protagonista (Totò) e uno al migliore soggetto originale scritto dallo stesso Pasolini. Totò ricevette anche il Globo d’oro al miglior attore. Il film ebbe un ottimo successo di critica, ma il successo commerciale fu piuttosto deludente, tanto da essere il film con Totò che registrò meno incassi in assoluto. Notevole l’idea, pressoché unica nel suo genere, di far cantare i titoli di testa del film. Infatti a partire dal titolo del film fino ai nomi degli attori, del regista, del montatore, dell’architetto, del fotografo ecc. tutti i nomi vengono annunciati in canzone da Domenico Modugno, conferendo ai titoli stessi un effetto suggestivo, accompagnato tra echi barocchi e chitarre elettriche, flauti dolci e i cori dello stesso compositore Ennio Morricone. Con il soggetto e la sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini, la fotografia di Tonino Delli Colli e Mario Bernardo, il montaggio di Nino Baragli, le scenografie di Luigi Scaccianoce e Dante Ferretti e le musiche di Ennio Morricone, Uccellacci e uccellini è intrepretato da Totò, Ninetto Davoli, Femi Benussi, Umberto Bevilacqua, Renato Capogna, Alfredo Leggi, Renato Montalbano, Flaminia Siciliano, Lena Lin Solaro, Giovanni Tarallo, Vittorio Vittori.
Trama
Totò e Ninetto si recano a sfrattare della povera gente da una cascina della periferia romana. Strada facendo, si affianca loro un corvo, intellettuale veteromarxista, che racconta di come frate Ciccillo e frate Ninetto cercarono invano di convincere passerotti e falchi a fare amicizia. Dopo aver, tra l’altro, incrociato i funerali di Togliatti e fatto l’amore con una prostituta, i due hanno fame. Il corvo parla e parla: finisce divorato.
Di seguito alcune dichiarazioni di Pier Paolo Pasolini su Uccellacci e uccellini.
“Non ho mai «messo al mondo» un film così disarmato, vulnerabile, fragile e delicato come Uccellacci e uccellini. Non solo non assomiglia ai miei film precedenti, ma non assomiglia ad alcun altro film. Non parlo della sua originalità — sarebbe stupidamente presuntuoso — ma della sua formula che è quella della favola col suo senso nascosto. Un racconto che come tutti i racconti consiste in una serie di prove che gli eroi devono superare. Ma contrariamente al solite essi non ricevono ricompensa alcuna per averle superate: né regno, né principessa. Non restano loro, dopo, che altre prove da superare. Nessuna favola propriamente detta finisce così. Inoltre, dal punto di vista dell’ambiente e dei personaggi il mio è un «racconto picaresco»: le esperienze a livello della stradi di due poveri cristi”.
“Uccellacci e uccellini doveva essere un tipico film in prosa. Avevo deciso di cominciare la prima inquadratura con un obbiettivo, il 32, e d continuare così fino alla fine del film. I movimenti di macchina dovevano essere tutti funzionali: la macchina, insomma, non si doveva sentire, secondo la tradizione del film comico classico (Keaton, Chariot, ecc.). Per la seconda volta (la prima volta mi era accaduto nel Vangelo) una così sicura programmazione tecnica mi si è mostrata subito sbagliata. Mi è stato fin dal primo momento impossibile applicarla al mio racconto ideo-comico (ho cominciato con l’episodio del corvo): e ciò mi ha posto subito in crisi, costringendomi ad adottare la tecnica, sia pur moderata, del cinema di poesia. Che cos’è che ha causato la crisi iniziale di Uccellacci e uccellini, persuadendomi ad abbandonare la «tecnica del cinema di prosa», per aggrapparmi come a dei salvagente, agli stilemi del cinema di poesia? Questo film che voleva essere concepito e eseguito con leggerezza, sotto il segno dell’Aria del Perdono del Flauto magico, è dovuto in realtà a uno stato d’animo profondamente malinconico, per cui io non potevo credere al comico della realtà (a una comicità sostantivale, oggettiva). L’atroce amarezza dell’ideologia sottostante al film (la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha finito forse col prevalere”.
“Secondo me l’elemento nuovo in Uccellacci e uccellini è che io ho cercato di farlo più «cinema»: non c’è quasi alcun riferimento alle arti figurative e molti più riferimenti espliciti ad altri film. E’ diversamente da Accattone il prodotto di una cultura cinematografica più che figurativa. È sulla fine del neorealismo in quanto specie di limbo ed evoca lo spettro del neorealismo, particolarmente all’inizio con i due personaggi che vivono incarnati nella vita senza distinguervisi e senza rifletterci, cioè due tipici eroi del neorealismo, umili, comuni e inconsapevoli. Tutta la prima parte è un’evocazione del neorealismo, sebbene sia un neorealismo idealizzato. Ci sono altri pezzi come l’episodio dei clowns che sono deliberamente intesi a evocare Fellini e Rossellini. Subito dopo infatti, il corvo parla ai due e dice: «Il tempo di Brecht e Rossellini è finito». L’intero episodio era una lunga citazione”.
“Mai mi sono esposto e ho rischiato come in questo film. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni cinquanta — poeticamente situato prima della morte di Togliatti — subita e vissuta, dall’interno, da un marxista, che non è, tuttavia, disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo dice: «Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango…»). E naturalmente non è finito nella misura in cui sa accettare le nuove realtà evocate nel film: lo scandalo del Terzo Mondo, i cinesi, e, soprattutto, l’immensità della storia umana e la fine del mondo, con la religiosità che questo implica e che costituisce l’altro tema del film”.
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