Disponibile su RaiPlay Non toccare la donna bianca, un film del 1974 diretto da Marco Ferreri, ispirato al testo di Ned Buntline. Scritto e sceneggiato da Marco Ferreri e Rafael Azcona, con la fotografia di Étienne Becker, il montaggio di Ruggero Mastroianni, i costumi di Lina Nerli Taviani e le musiche di Philippe Sarde, Non toccare la donna bianca è interpretato da Marcello Mastroianni, Catherine Deneuve, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Paolo Villagio, Michel Piccoli, Serge Reggiani, Alain Cuny, Darry Cowl, Franco Fabrizi.
Trama
Una paradossale rivisitazione della battaglia di Little Big Horne ambientata nelle Halles appena demolite a Parigi, con il generale Custer e il suo esercito che finiscono accerchiati e sterminati da una folla di “indiani metropolitani”, mentre il generale Terry cerca di trarre comunque vantaggio dalla sconfitta.
“Perché secondo me noi viviamo in un clima western. Perché il western è sempre stato l’enorme trappola in cui siamo caduti fin da bambini. Il western esprime in maniera semplice ed elementare i concetti: Dio, Patria, famiglia. Io riprendo questi concetti e li faccio scoppiare dal ridere. In questo contesto acquista un valore diverso il buco delle Halles. L’immagine di questo buco in mezzo alla città mi ricorda l’immagine dei circhi di gladiatori, i deserti del Dakota, le piazze dove i poliziotti lanciano le bombe lacrimogene”.
(Marco Ferreri)
“La forza del film sta da un parte nel fatto che ricalca con sorniona fedeltà, ma in chiave satirica, il western classico con le sue risapute situazioni e i suoi convenzionali personaggi; e, dall’altra, che la conquista del West è trapiantata nell’immensa voragine delle Halles, nella zoliana cornice di un quartiere ottocentesco e proletario. Da questa contaminazione geniale del colonialismo americano con le lotte sociali parigine nascono nel film gli effetti migliori”.
(Alberto Moravia, L’Espresso, 11 Maggio 1975)
“Rispetto ai film precedenti ed in parte anche ai successivi, al centro di Non toccare la donna bianca non c’è il corpo ma lo spazio, la città. Anche in questo caso però il regista pone grande attenzione all’immagine dei suoi personaggi/attori, stilizzati all’inverosimile fino a scomparire in maschere codificate del genere western. La banda di La grande abbuffata, antecedente di un solo anno, torna al gran completo in un divertente gioco mascherato e familiare. Se Marcello Mastroianni e l’allora compagna Catherine Deneuve sono rispettivamente Custer e la sua amata Marie-Hélène, Philippe Noiret interpreta il generale Terry, mentre Tognazzi con moglie e figlio (Gianmarco) sono una famiglia di pellerossa vicina ai soldati americani. Fin dal primo momento agli attori è richiesta la ripetizione ossessiva di pose e atteggiamenti grotteschi, come la lunga chioma posticcia di Mastroianni/Custer e il ridicolo pigiama rosso con cui Noiret/Terry accoglie i quattro “teorici del massacro”. La parodia esilarante del Buffalo Bill di Michel Piccoli aggiunge un elemento da teatro di varietà in una vicenda già ridicola di per sé, ma soprattutto centra un altro tema cardine della filmografia ferreriana: la crisi della mascolinità. Il maschio del mito western è morto. La crisi isterica di Custer per il pettine perduto e il piccolo beagle sul letto di Terry lo confermano. Tutto è messo in scena in maniera grottesca e demenziale, ai livelli dei Monty Python in Gran Bretagna e degli ZAZ (Zucker-Abrahams-Zucker) negli Stati Uniti. Non c’è alcun riguardo verso la ricostruzione storica, la vicenda viene completamente svincolata dalle mere questioni cronologiche. Un manifesto con l’immagine di Nixon compare nella stanza di Terry mentre il viso di Kennedy è disegnato sui pantaloni di un pellerossa. Sul set la troupe si è limitata a bloccare il traffico, in questo modo l’arrivo di Custer a cavallo per le vie del centro viene osservata da una serie di curiosi parigini che la cinepresa non esita a mostrarci. Paolo Villaggio, nella sua unica collaborazione con Marco Ferreri, è il professore di antropologia Pinkerton, un omino in felpa e jeans con le mani costantemente infilate in un sacchetto di patatine. Si scoprirà essere un agente infiltrato dalla CIA con il compito di seminare zizzania tra soldati e pellerossa. Le sue prossime destinazioni? Italia e Cile. Uno straniamento totale, una vertigine allo stesso tempo spaziale, antropologica e temporale. Così, nella mitica battaglia finale tra Custer e Toro Seduto si consuma un doppio sacrificio, quello del western e quello dello spazio parigino. Distruzione e trasformazione, come da prassi nel cinema di Marco Ferreri. L’invasore è annientato e il popolo ha avuto la sua vendetta, ma il progresso non può essere arrestato e mentre la cinepresa si alza allargando l’inquadratura, i pellerossa si dirigono verso la città pronti per la prossima battaglia”.
(Federico Rizzo, Sentieri Selvaggi, 5 Ottobre 2022)
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