Disponibile su Youtube Domenica d’Agosto, un film commedia del 1950 diretto da Luciano Emmer. Questo film, che è stato poi selezionato tra i 100 film italiani da salvare, rappresentò «il trasferimento dell’esperienza neorealistica nella commedia di costume». Per i detrattori, sostenitori del cinema inteso come impegno civile e politico, ha avuto invece la colpa di aver aperto la strada al vituperato “neorealismo rosa”. Il film fu girato interamente nell’estate del 1949, tra Roma e nel litorale di Ostia. Le riprese furono realizzate tra le zone di Porta Cavalleggeri, il Colle Oppio, il quartiere Testaccio e il Mattatoio, le stazioni dei treni Piramide, Ostia Centro e lo stabilimento balneare La vecchia pineta nel lungomare di Ostia. Nel film sono presenti attori quasi tutti sconosciuti compresi quelli che negli anni successivi sono divenuti famosi. Alcuni recitarono solo in questa pellicola, come ad esempio Anna Baldini, che all’epoca aveva circa 15 anni. Al suo primo vero ruolo cinematografico, dopo alcune comparsate, appare Marcello Mastroianni, doppiato da Alberto Sordi. Con Anna Baldini, Vera Carmi, Emilio Cigoli, Anna Di Leo, Franco Interlenghi, Salvo Libassi, Elvy Lissiak, Pina Malgarini, Marcello Mastroianni.
Trama
Domenica 7 agosto 1949, festa di San Gaetano. Dall’accaldata città di Roma un’allegra e variegata folla, di ogni estrazione sociale, si dirige con mezzi diversi verso il lido di Ostia, per trascorrervi l’intera giornata festiva, tra la nascita di nuovi legami e piccole divergenze, in una parentesi spensierata d’estate.
“Film-chiave nella storia del cinema italiano, incontro felice tra il trentenne Luciano Emmer, all’esordio nel lungometraggio ma già autore di una ventina di documentari di fama internazionale, e lo sceneggiatore Sergio Amidei, alla sua prima esperienza da produttore, Domenica d’agosto è una commedia corale ambientata tra Roma e Ostia, narrata, per la prima volta, ricorrendo a diversi episodi che s’intrecciano simultaneamente. Ma questa non è la sola invenzione di un film in cui lo sguardo neorealista osserva la realtà in maniera sorridente e non più drammatica, ritraendo l’Italia che sta cambiando e facendo spesso uso di situazioni comiche che molto ricordano le scenette dei giornali satirici dell’epoca. I titoli di testa scorrono su una lunga panoramica aerea della spiaggia invasa dai turisti. Non si poteva scegliere un’immagine più simbolica per ricordare che la guerra era finita, che un’epoca nuova, anche per il cinema, si stava aprendo.
Lontano da ogni intenzione moraleggiante, da qualsiasi concessione stilistica non necessaria alle esigenze narrative, il film riesce nel miracolo di trasmettere nel modo più semplice il senso della complessità che il paese stava allora vivendo. Come ha scritto Pietro Bianchi è proprio la semplicità del cinema di Emmer “ad apparire poco meno che scandalosa sia agli scassati esteti dello specifico filmico come ai piccoli Sartre della revisione critica. Emmer dice che il pane non è altro che il pane; un adolescente un ragazzo; un viaggio in treno una faccenda emozionante per un sedentario”. A distanza di oltre cinquant’anni il film conserva la veridicità di un documento. Gli echi della guerra sono presenti sia nei personaggi (“…da quando è tornato dalla prigionia”) sia nei luoghi (un tratto della spiaggia di Ostia è minato), ma le folle oceaniche non sono più quelle del fascismo e nemmeno quelle affamate nell’immediato dopoguerra. C’è un collettivo desiderio di felicità che unisce i ragazzi che in bicicletta raggiungono il mare alle famigliole romanissime di medioborghesi separati con figli, piazzisti che si spacciano uomini d’affari, ragazzini che si fingono riccastri, ricchi che discutono dei film che si faranno. Un’Italia ritratta nelle sue sfaccettature, in cui convivono i primi balli moderni, le canzoni di Claudio Villa e Giacomo Rondinella, l’arrivo massiccio della pubblicità, la famiglia che mangia spaghetti bevendo fiaschi di vino, tratti di spiaggia per ricchi protetti da rete metallica, eleganti macchine americane, improbabili taxi d’anteguerra, lambrette, torpedoni e treni veramente popolari. Riportiamo le parole inedite di un altro regista italiano, commosso e contagiato dallo sguardo di Emmer: “Fra i film italiani che amo è forse quello che più di tutti amo, che so rivedere ciclicamente con sempre rinnovato struggimento. L’Italia, protagonista di questo film, è illuminata da una luce così tersa, animata da un’energia così integra, da farmi rivivere anacronisticamente in una condizione di perenne trepidazione perché nulla di quel preziosissimo mondo venga inquinato, ammorbato da quell’altra Italia che ineluttabilmente incombe. L’incontro di grazia che Emmer e Amidei ebbero con quel Paese è destinato a restare, in modo ormai imperituro, quale documento straordinario e inconfutabile di un tratto significativo del nostro percorso” (Pupi Avati).
Una domenica d’agosto nasce da un’estrema lucidità produttiva e programmatica. Un film a basso costo, senza divi, che creando un genere inedito si rivolgeva al nuovo pubblico del dopoguerra. La scelta degli interpreti dimostra sapienza: accanto alla vecchia guardia di attori sicuri, Ave Ninchi, Vera Carmi, Emilio Cigoli (forse il doppiatore italiano più importante, voce di John Wayne, Gary Cooper, Clark Gable, Gregory Peck, Humprey Bogart, Laurence Olivier…), una schiera di giovani tra cui l’esordiente Marcello Mastroianni (che già lavorava per le messe in scena teatrali di Visconti), doppiato però da Alberto Sordi, e il diciannovenne Franco Interlenghi che aveva esordito in Sciuscià ed era un tipo nuovo per il cinema italiano.
Il film sembra fare i conti con il cinema del passato. A un produttore e alla sua improbabile corte di furbastri è dedicato uno degli episodi; molte sono poi le citazioni. Da quelle internazionali (l’episodio dei due adolescenti che si fingono aristocratici e si scoprono vicini di casa è uno sviluppo di Primo amore ‒ Lonesome, Paul Fejos 1928, uno dei film preferiti dal cinefilo Emmer), a quelle di film italiani: è difficile non pensare come le biciclette del film siano diverse da quelle di Ladri di biciclette. I nobili sembrano usciti più da un film di De Sica e Camerini degli anni Trenta che dalla realtà del dopoguerra, così come la famiglia del tassista deve molto al Mattoli di L’ultima carrozzella (1943). Ma in Domenica d’agosto tutto sembra trasformato e persino la storia così cameriniana del giovane che si finge ricco, qui ringiovanita nell’età dei protagonisti, assume un grado di realismo e interpreta un bisogno di classe che corrispondono pienamente al momento di grande trasformazione dell’Italia del 1950. Il film sembra persino anticipare la stagione che si stava aprendo: difficile non vedere nell’episodio di Massimo Serato, che su una bella macchina attraversa una Roma deserta, una prefigurazione dell’inizio di un altro film che segnerà la commedia italiana, Il sorpasso. Tra i ‘miracoli’ di Emmer c’è infine quello di essere riuscito, con un film in cui la maggior parte delle scene mostra uomini e donne in costume, a passare indenne l’occhiuta censura dell’epoca; certamente la confidenza con la storia dell’arte, con i modi con cui i grandi pittori avevano ritratto i corpi, fu una grande lezione per questo difficile esordio”.
(Gian Luca Farinelli, Enciclopedia del Cinema, 2004)
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