Disponibile su Youtube Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin), un film del 1987 diretto da Wim Wenders. Presentato in concorso al 40º Festival di Cannes, ha vinto il premio per la migliore regia. Wenders ebbe l’idea del film dopo il suo ritorno in Germania. Il regista aveva trascorso otto anni negli Stati Uniti dove aveva girato quattro film in inglese. In quel periodo Wenders stava preparando anche un altro film, Fino alla fine del mondo, ma si rese conto che le riprese non sarebbero potute cominciare prima di un anno e dovendo pensare alla sua società di produzione e ai dipendenti da pagare, decise di realizzare un lungometraggio veloce e spontaneo, nella sua lingua nativa, che lo riavvicinasse alla sua essenza di tedesco e alla sua infanzia: il film sarebbe stato ambientato a Berlino. Inizialmente Wenders vagò per la città cercando ispirazione e annotando sul suo taccuino ciò che vedeva e ciò che lo colpiva. Poi, nel corso delle sue passeggiate, constatò che erano presenti molte raffigurazioni di angeli. Così, poco alla volta, il regista cominciò a prendere seriamente in considerazione l’idea di un film che avesse angeli custodi come protagonisti. La fotografia del film venne curata da Henri Alekan, famoso per aver lavorato con Jean Cocteau a La bella e la bestia. Alekan utilizzò il colore per le scene con il punto di vista umano e una tinta monocromatica virata seppia per le scene con il punto di vista degli angeli. Significativa l’ultima scena del film, a colori tranne nell’angolo dove staziona Cassiel, che essendo un angelo rimane monocromatico. L’utilizzo del monocromatico rappresenta il fatto che gli angeli captano le cose essenziali della vita; sono esseri che possono sentire i pensieri più reconditi degli uomini, in grado di conoscere i fatti prima che questi accadano ma allo stesso tempo limitati dal non poter vedere i colori, sentire i sapori e provare tutte le sensazioni che un essere umano avverte quotidianamente. Durante la produzione del film, Alekan e Wenders utilizzarono una calza di seta come filtro per realizzare le sequenze monocromatiche. Con Bruno Ganz, Otto Sander, Peter Falk, Solveig Dommartin, Curt Bois.
Trama
Berlino, anni ottanta. Due angeli chiamati Damiel e Cassiel vagano nella città invisibili: osservano gli abitanti e ascoltano i loro pensieri. Tra le tante persone che incontrano nel loro girovagare, c’è un uomo anziano di nome Homer, che come il poeta greco Omero sogna la pace e cerca la Potsdamer Platz, una piazza che prima della Seconda guerra mondiale era una delle più belle d’Europa. Al suo posto trova una spianata incolta, una specie di terra di nessuno, e il Muro di Berlino coperto di graffiti. Damiel arriva in un circo dove si innamora di Marion, una trapezista che vive sola in un camper, balla da sola sulla musica dei Crime & The City Solution, e cammina sola per la città. Un regista americano, Peter Falk, arriva a Berlino per girare un film: in passato anche lui è stato un angelo, ma ha rinunciato alla sua immortalità. Anche Damiel decide di diventare uomo: le prime esperienze sono il sangue e il dolore. Vede i colori, gusta i cibi degli uomini e assapora il caffè caldo. Cassiel assiste impotente al suicidio di un ragazzo che si lancia dal tetto di un palazzo. Ad un concerto di Nick Cave, Damiel rivede Marion, che finisce per ricambiare il suo amore. Prima che il circo chiuda definitivamente, Marion eseguirà il suo ultimo numero volteggiando proprio come un angelo.
«Volevo raccontare la storia di questa città. Era ancora una città divisa. Ci vivevano due popoli diversi, sebbene parlassero la stessa lingua. Il cielo era l’unica cosa che a quei tempi unisse la città.»
(Wim Wenders, In difesa dei luoghi, in Frank Martucci, Gli spazi di un’immagine, 2009)
Potsdamer Platz, a Berlino, prima della Seconda guerra mondiale era una delle più belle piazze d’Europa. Al suo posto ora si trova una spianata incolta, una specie di terra di nessuno, e un muro grigio, desolante, ricoperto di graffiti: Wim Wenders gira uno dei suoi film più significativi, Il cielo sopra Berlino, nel 1987, proprio poco prima della caduta di quella triste (e anche un po’ ridicola) barriera che, dal 13 Agosto del 1961 fino al 9 Novembre 1989, ha separato la Germania in due blocchi. Il regista alterna movimenti di macchina sinuosi, aerei e fluttuanti, restituendo magnificamente una sorta di soggettiva dei suoi angeli, a campi lunghi secchi, asettici e malinconici, attraverso cui far emerge la miseria umana della guerra, della divisione, dell’incomprensione.
Gli angeli (il magnifico Bruno Ganz e Otto Sander) di Wenders sono eterni, invisibili (ma non agli occhi dei bambini), capaci di ascoltare i pensieri delle persone. Essi sono fuori dalla Storia, ma come l’angelo di Walter Benjamin, vorrebbero intervenire per interrompere la tragedia umana: “Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto”. Rifacendosi alla poesia sublime di Rainer Maria Rilke e a quella di Peter Handke (che collaborò alla sceneggiatura), Wenders realizza uno dei suoi film più potenti visivamente, coniugando meravigliosamente dimensione universale e particolare, tempo cronologico e durata emotiva, Storia ed Eterno.
L’angelo Damiel (Ganz) rinuncia al suo privilegio dell’immortalità per scendere tra gli uomini e, come loro, provare emozioni, immergendosi nella vita, assaporandola, godendone ogni istante. Ecco, allora, che l’amore per Marion (la sfortunata e intensissima Solveig Dommartin) diviene l’efficacissima metafora della possibilità dell’incontro, del dialogo, della riconciliazione, della pietà.
“Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un’anima
e tutte le anime erano un tutt’uno”.
(Peter Handke, Elogio dell’infanzia)
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