A spasso nei meandri dell’afrodisiaca e magnetica psiche alleniana e a metà strada tra Broadway e un palcoscenico greco, La Dea dell’amore, tenero e sensuale capolavoro vincitore di due premi Oscar (1996), con Mira Sorvino che si aggiudica la prestigiosa statuetta come miglior attrice non protagonista e allo stesso Woody Allen, per la miglior sceneggiatura originale, è un inno esplosivo alla vita. L’arte, portata in scena dal regista, attecchisce nelle membra dello spettatore e si fa strada impossessandosi delle sue reazioni emotive.
La cinepresa di Allen compie i suoi usuali Jazzati 360° di riprese a campo lungo, sopra il tappeto delle note sincopate di Cole Porter e la sua You do something to me, scivolando poi, leggera sui tasti vellutati di una Penthouse serenade di Errol Gardner, dedicando allo spettatore ampie e ariose riprese sul paesaggio urbano newyorkese, inglobandolo e coinvolgendolo nelle vite dei protagonisti, fornendogli così un copione personale da primo interprete.
Woody Allen, con la sua Dea dell’amore, ha il potere (come d’altronde in ogni sua opera), di fondere i vissuti dei suoi personaggi con la platea spettatrice, in cui ognuno ritrova sé stesso nelle parole o pensieri degli interpreti, che fungono da intimo specchio e danno la possibilità di una personale chiave di lettura sulla comprensione della pellicola, appunto come detto poc’anzi, in un copione da reinterpretare.
La sua Dea ci conduce per mano, verso le molteplici sfaccettature della maternità o paternità, fornendo una chiara e reale simulazione della verità interiore. Le lancette dell’orologio biologico femminile si sa, possono attuare i loro scatti nei diversi modi e tempi, anche se le dinamiche affettive attorno al divenire genitore non sono mai uguali tra loro, né tantomeno prevedibili e qui le straordinarie artiste presenti nel ritratto alleniano ne danno prova platealmente concreta. L’amore materno a tratti inconsapevole e forse un po’ egoista di Amanda, interpretata da un’indaffaratissima e confusa Helena Bonham Carter – due volte candidata all’Oscar, prima nel 1997 come miglior attrice per Le Ali dell’ amore di Lain Softley e più tardi nel 2011, con Il discorso del Re di Tom Hopper – divisa a metà tra la carriera e la famiglia, giunge alla scelta apparentemente veloce dell’adozione, piuttosto che prendere parte alla complicata arte procreativa. Oppure l’altruismo materno di un’ingenua e superficiale, ma solo in apparenza, Linda, interpretata da Mira Sorvino, che la incorona come miglior attrice non protagonista, la quale si immola al sacrificio della rinuncia al ruolo materno, con la prospettiva di un futuro più roseo per il figlio.
Mr. Allen gioca, e lo sa fare in modo magistrale con il suo pubblico, mettendolo costantemente alla prova, da buon ed esperto psicoterapeuta filmico qual è: fa breccia con raffinato sarcasmo nella mente, toccando corde intime e portando il dialogo interiore a livelli profondi, mostrando i due poli opposti dell’immagine genitoriale, un’esortazione alla scelta del proprio destino e su come si possa essere pieni di amore sconfinato, prescindendo dall’appartenenza biologica di un figlio, mettendo in luce su come una maternità naturale possa avere indici di imperfezione e di come invece sia a volte più potente l’affetto per un figlio (o destino) , che ci ha scelti, nella continua scoperta e conoscenza reciproca, non potendo essere uno specchio biologico, che rimanda all’immagine di origine. Anche perché è vero che la quintessenza riprodotta (tra virgolette), potrebbe risultare in qualche modo seducente, ma esiste anche l’alta probabilità che la sconfinata e calcolatrice vanità adulta proiettata sulla prole sia dietro l’angolo, rischiando di iniziare un’esasperata ricerca alla perfezione.
L’essere umano e’meravigliosamente imperfetto, con la sua psiche, luogo di contraddizioni e Woody Alleen con il suo intimo capolavoro si pone a tacita Cassandra mettendoci davanti a quello che e’ uno dei ruoli più belli e complicati da interpretare su quel palcoscenico dinamico e instabile che e’la vita, regalandoci il dono di sentirci profondamente attraverso le sue immagini e parole.
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