Disponibile su RaiPlay L’ora di religione, noto anche come L’ora di religione – Il sorriso di mia madre, un film del 2002 scritto e diretto da Marco Bellocchio, ed interpretato da Sergio Castellitto. Presentato in concorso al 55º Festival di Cannes, ha ricevuto una menzione speciale della giuria ecumenica. Prodotto da Marco Bellocchio e Sergio Pelone, con il soggetto e la sceneggiatura di Marco Bellocchio, la fotografia di Pasquale Mari, il montaggio di Francesca Calvelli, le scenografie di Marco Dentici e Paola Riviello e le musiche di Riccardo Giagni, L’ora di religione è interpretato da Sergio Castellitto, Jacqueline Lustig, Chiara Conti, Gigio Alberti, Gianfelice Imparato, Donato Placido, Pietro De Silva, Piera Degli Esposti, Toni Bertorelli. Il film si è aggiudicato un David di Donatello per la miglior attrice non protagonista (Piera Degli Esposti), quattro Nastri d’Argento (regista del miglior film a Marco Bellocchio, miglior soggetto a Marco Bellocchio, migliore attore protagonista a Sergio Castellitto, miglior sonoro a Maurizio Argentieri), due Globi d’Oro (miglior film a Marco Bellocchio e Sergio Pelone, miglior attore a Sergio Castellitto) e quattro Ciak d’Oro.
Trama
Il pittore Ernesto Picciafuoco vive serenamente, separato dalla moglie e con un forte legame col figlio Leonardo. La sua vita si trova davanti ad una svolta inaspettata quando scopre che il resto della sua famiglia ha chiesto alla Chiesa di intraprendere il processo di beatificazione della madre, morta violentemente, mentre Leonardo diventa sempre più ossessionato dalla religione, complice anche il fascino della sua maestra.
“Dice molto bene Marco Bellocchio quando spiega che il suo nuovo film, L’ora di religione, nasce da un’immagine: la visita di un sacerdote all’ignaro pittore Ernesto Picciafuoco, per annunciargli che è in corso il processo di beatificazione di sua madre. L’immagine è talmente nitida e spiazzante che da essa il film ‘nasce’ anche per lo spettatore, facendolo entrare in un suspenser metafisico, una specie di giallo diverso da tutti i gialli. Nonché dal Bellocchio che conoscevamo: perché questa volta il regista immerge temi da sempre appartenenti al suo immaginario (la famiglia, l’ipocrisia che impregna i rapporti sociali) in un insolito bagno d’ironia nervosa, sospesa, che è la cifra di un film straordinariamente riuscito. Sorpreso dalla notizia, e ancor più dall’apprendere che la congiura tra i preti e i suoi famigliari dura da tre anni, il pittore scivola in una crisi depressiva. Se non ha mai amato se stesso è perché ha il sorriso identico a quello della madre, la ‘beata’, morta per mano di un altro figlio: in realtà l’ambiguo sorriso da Gioconda di una donna insensibile, anaffettiva, cui Ernesto teme di somigliare. Intorno all’uomo in crisi, perno della storia, si muovono due universi concentrici: la sua famiglia e l’ambiente delle gerarchie vaticane, tra cardinali e nobiltà nera capace – ancora – di sfidarti a duello. Bellocchio rappresenta il secondo come un mondo d’ombre, popolato di zombi paludati e grotteschi, che non spiacerebbe affatto a Fellini. Benché laico fin nelle midolla, ateo dichiarato, il pittore rischia di lasciarsi avvolgere da quel clima insinuante, limaccioso e mellifluo, capace di neutralizzare qualsiasi voce dissidente in un bigottismo di maniera sotto cui si celano cinismo e culto dei propri interessi (vedi il geniale personaggio di zia Maria, affidato a Piera Degli Esposti). Nella dimensione in cui Ernesto si ritrova a vagare anche gli angeli, come la bella insegnante di religione di suo figlio, che ha appena conosciuto e di cui si è innamorato, potrebbero essere agenti dell’Opus Dei; ma è proprio qui che l’uomo dovrà compiere una scelta radicale, mettendo in gioco la propria identità. Oltre al valore intrinseco del film, è bello vedere che Bellocchio non ha aperto i pugni che teneva stretti in tasca poco meno di quarant’anni fa. L’ora di religione è un film disposto a prendere posizione come pochi, risoluto, lontano le mille leghe sia dai compromessi ideologici, sia da quelli estetici”.
(Roberto Nepoti)
“Marco Bellocchio, raggiunta ormai la piena maturità artistica, firma il suo film più completo: un illuminato trattato su ateismo e cristianità visti come credenze non necessariamente antitetiche, ma dilaniate dagli stessi dubbi, dalle medesime insicurezze, da molteplici contraddizioni. L’ora di religione libera la sua forza nei sorrisi messi in discussione più volte durante il film, e nella precaria sicurezza delle immagini imposte alla nostra vista in quanto rappresentative di una pertinenza assoluta al reale. La bestemmia liberatoria e dolente del fratello Egidio (Donato Placido), che impregna il momento narrativamente più delicato e toccante, il dialogo con la zia Maria (una strepitosa Piera Degli Esposti) ipocrita ma mai meschinamente “giudicata” e la battuta «innamorarmi è la più grande professione d’ateismo che mi possa permettere» sono le ulteriori gemme di un’opera confessionale e confessata, laica e fedelissima, incredibilmente vivida e potente. Splendida la confezione, in cui svetta la fotografia caravaggesca di Pasquale Mari. Alcuni dei quadri di Ernesto sono opera dello stesso Marco Bellocchio. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2002, il film ha ricevuto una menzione speciale della giuria ecumenica. David di Donatello come miglior attrice non protagonista a Piera Degli Esposti, Nastri d’Argento per il miglior regista, miglior soggetto e miglior attore (Castellitto). La bestemmia pronunciata da Egidio ha portato il film a uscire nelle sale con il divieto per i minori di 14 anni. Noto anche con il titolo Il sorriso di mia madre“.
(LongTake)
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