Disponibile su YouTube Vaghe stelle dell’Orsa, un film del 1965 diretto da Luchino Visconti. La pellicola vinse il Leone d’oro alla 26ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il titolo riprende l’incipit de Le ricordanze, uno dei Canti di Giacomo Leopardi. Prodotto da Franco Cristaldi, con il soggetto e la sceneggiatura di Suso Cecchi D’Amico, Enrico Medioli e Luchino Visconti, la fotografia di Armando Nannuzzi, il montaggio di Mario Serandrei, le scenografie di Mario Garbuglia e le musiche di César Franck, Vaghe stelle dell’Orsa è interpretato da Claudia Cardinale, Jean Sorel, Michael Craig, Renzo Ricci, Fred Williams, Marie Bell, Amalia Troiani, Paola Pescini, Isacco Politi, Renato Moretti, Vittorio Manfrino, Ferdinando Scarfiotti, Giovanni Rovini.
Trama
Sandra torna alla natìa Volterra con il marito Andrew Dawson. Qui ritrova il fratello Gianni e l’anziana madre ricoverata in una clinica psichiatrica, dove viene accudita dal secondo marito. Il primo è morto in un campo di concentramento. Andrew oltretutto scopre che Gianni e Sandra sono stati uniti da un torbido legame.
“Questo film è un giallo diverso dal consueto. Si è parlato di una Elettra moderna, ma citerò un’altra tragedia classica: l’Edipo re, uno tra i primi gialli mai scritti, in cui il colpevole è il personaggio meno sospettabile. […] Così nel mio film ci sono dei morti e dei presunti responsabili, ma non è detto chi siano i veri colpevoli e le vere vittime. […] Ho scelto il tema dell’incesto perché è l’ultimo tabù della società contemporanea. L’incesto di Vaghe stelle dell’Orsa nasce proprio dall’ambiente in cui i due ragazzi crescono, è un mezzo esasperato e drammatico per unirsi contro la disgregazione della famiglia e la solitudine”.
(Luchino Visconti)
“Visconti, come tutti sanno, ha oscillato per tutta la sua carriera tra il decadentismo di specie rinascimentale e dannunziana sentito come fatalità e tentazione di un mondo fascinoso corrotto e perituro e l’aspirazione ad un mondo nuovo e purificato. Qualche volta ha saputo fondere le sue esigenze, oppure ce le ha date come contrasto e lacerazione. Qualche altra volta invece, si è tenuto al solo decadentismo, cioè ha dimezzato la propria tematica. In Vaghe stelle dell’Orsa il decadentismo rimane solo e domina; donde, nonostante un’apparente tragicità, la mancanza della tragedia: il dramma di Visconti era appunto di non saper rinunziare, di sentirsi dilaniato tra due mondi, quello nuovo che avanza, quello vecchio che scompare. Abolito uno dei termini del contrasto, Visconti ha fatto un film tutto decadente nel quale la frenesia dei personaggi nasconde il carattere immobile ed elegiaco del rapporto erotico-sentimentale tra fratello e sorella.”
(Alberto Moravia)
“Gabriele d’Annunzio, con la voracità dei provinciali famelici che scendono, decisi a tutto, sulle opime città, non ha lasciato in pace nulla e nessuno. Urbino e Volterra, Firenze, la Versilia, Mantova, Venezia. Con Volterra gli andò male: il Forse che sì, forse che no è tra i più fiacchi dei suoi romanzi. Uomo antico ma di cultura attuale, Visconti s’è limitato a tener conto dell’indicazione: Volterra è una splendida “città del silenzio”. Le opaline, i mobili preziosi, le vecchie pietre sono liberty come il decadentismo, come i veli della Tosca musicata da Puccini. La pietà del passato prossimo, ironica pietà perché s’è trattato di un’epoca, tutto sommato, tra le migliori della storia umana, ha aiutato il regista a sovrapporle l’orrore delle età remote e del vicino universo hitleriano: il male del mito si mescola senza riluttanza all’inferno razionale e onnipresente dei lager. Viene perfino il sospetto che in questo film così suo, Visconti abbia voluto contrapporre la “forma” virile, l’idea apollinea, alla sua “matrice” muliebre, figlia degli amplessi che si consumano nella tenebra: “Je suis l’enfant d’un nuit d’Idumée”, come dice Racine in questo verso incantevole. La scelta di Claudia Cardinale appare, in questa direzione, esemplare. Giovane, ma non più adolescente, Claudia è una donna stupenda. Brava attrice, è ancora nel periodo in cui si desidera approfondire in umiltà l’arte e la vita”.
(Pietro Bianchi, 1965)
“Nel 1965 Visconti vince finalmente il Leone d’Oro alla Mostra di Venezia, premio che gli era stato negato con La terra trema e con Rocco e i suoi fratelli. Il film insignito del massimo riconoscimento veneziano è Vaghe stelle dell’Orsa, alla base del quale stanno – a parte il titolo leopardiano – molteplici suggestioni letterarie: l’Eschilo di Coefore, il Sofocle di Elettra, il D’Annunzio di Forse che sì forse che no, Proust, il Bassani de Il giardino dei Finzi Contini, l’O’Neill de Il lutto si addice ad Elettra e perfino certe atmosfere di Baudelaire, a parte gli ovvi richiami indiretti alla psicoanalisi. Al di là della letteratura, poi, vi sono le suggestioni di una particola composizione musicale, da Visconti molto amata, vale a dire il Preludio, corale e fuga di Cesar Franck. Nel ritratto della protagonista Sandra (e nel suo aspirare alla vendetta nei confronti della madre e del patrigno, che ella sospetta di avere tradito il padre, facendolo assassinare dai nazisti), così come in quello del fratello Gianni (e nel suoi inseguire i fantasmi di una passione incestuosa, sintomo di un’infanzia non superata e di una grande solitudine esistenziale) non mancano né umori moderni, né stimolanti sollecitazioni. Per giungere tuttavia al nucleo di questa rivisitazione in chiave freudiana del mito classico, bisogna farsi strada attraverso lo spesso e elaborato tessuto di colta raffinatezza e di morbidezza letteraria con cui Visconti ha rivestito eventi e personaggi fino a renderli, a conti fatti, meccanismi di un melodramma barocco, dominato da un’aura di compiaciuta decadenza, dove alla sontuosa forma non corrisponde un contenuto efficacemente pregnante. Vi è comunque in Vaghe stelle dell’Orsa un aspetto fondamentale in cui il regista dimostra un’ammirevole coerenza. Ancora una volta, sia pure spostato su un piano quasi psicoanalitico, riappare nettamente in questo film il tema della decadenza e della morte come tragiche costanti, forme di vita addirittura dell’essere borghese. Tale contraddittoria contemplazione dell’esistenza pietrificata è d’altronde uno dei dati maggiormente significativi del cinema viscontiano, del suo essere ambiguamente vivo proprio perché denso di morte. In questo senso, Vaghe stelle dell’Orsa si colloca nella poetica viscontiana della decadenza e della morte in modo più arrischiato e discontinuo, ma certamente più esplicito rispetto a Il Gattopardo. Questo film appartiene di diritto alla seconda fase della poetica viscontiana, dove prevalgono la dannazione e la sconfitta, i sentimenti torbidi e la dannazione ontologica”.
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