Disponibile on line La grande guerra, un film del 1959 diretta da Mario Monicelli, prodotta da Dino De Laurentiis e interpretata da Alberto Sordi, Vittorio Gassman e Silvana Mangano. Vincitore del Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini e candidato all’Oscar quale miglior pellicola straniera, si aggiudicò inoltre tre David di Donatello e due Nastri d’argento. Ottenne un enorme successo anche all’estero, soprattutto in Francia. Nel settembre 2009 il film è stato scelto per la pre-apertura della 66ª edizione del Festival del Cinema di Venezia. Nel gennaio 2011, come omaggio a Monicelli scomparso da poco, la Cineteca di Bologna organizzò una retrospettiva in suo ricordo, proiettando nel cinema Lumière La grande guerra e altri lavori del regista. È stato successivamente inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, “100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978”.
Prodotto da Dino De Laurentiis, con il soggetto e la sceneggiatura di Mario Monicelli, Age & Scarpelli e Luciano Vincenzoni, la fotografia di Leonida Barboni, Roberto Gerardi, Giuseppe Rotunno e Giuseppe Serrandi, il montaggio di Adriana Novelli, le scenografie di Mario Garbuglia, i costumi di Danilo Donati e le musiche di Nino Rota, La grande guerra è interpretato da Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Folco Lulli Bernard Blier, Romolo Valli, Livio Lorenzon, Nicola Arigliano, Tiberio Murgia, Mario Valdemarin, Achille Compagnoni, Geronimo Meynier, Vittorio Sanipoli, Carlo D’Angelo, Ferruccio Amendola, Marcello Giorda, Elsa Vazzoler, Guido Celano, Gérard Herter, Luigi Fainelli, Tiberio Mitri, Leandro Punturi, Mario Frera, Gianni Baghino, Mario Colli, Mario Feliciani, Edda Ferronao, Gian Luigi Polidoro, Mario Mazza.
Trama
Prima guerra mondiale. Giovanni Busacca, lombardo, e Oreste Jacovacci, romano, sono chiamati alle armi. Entrambi tentano la diserzione ma con insuccesso. Militari per forza, non per scelta, il loro destino è simile a quello di tanti altri uomini vissuti in quel periodo: fucile in spalla e vita al fronte, a giocarsi la vita per una guerra che continuamente viene presentata come una inutile e stupida carneficina. A combattere ci sono giovani e meno giovani, chi sa leggere e scrivere e analfabeti, gente del Sud e del Nord. I dialetti che ciascuno parla, sono il riflesso di un’Italia fatta così: un po’ lombarda, un po’ emiliana, un po’ romana, un po’ piemontese, un po’ sicula, un po’ veneta… L’esperienza di Busacca e Sordi è quella di molti soldati italiani che combatterono contro gli austriaci e non tornarono mai più a casa. I due, infatti, cadono prigionieri e vengono fucilati.
“L’impostazione satirica di La grande guerra faceva parte di mie precise convinzioni. Dal momento che mi ritrovavo per le mani quel soggetto non potevo che girarlo in quel modo, e non a caso scelsi Sordi e Gassman che aveva avuto un successo clamoroso in I soliti ignoti. Per questo lavoro ebbi delle grandi difficoltà perché era un film che doveva essere comico, malgrado i morti e tutto il resto, e la produzione, il noleggio e la distribuzione non volevano assolutamente accettare che i due protagonisti finissero fucilati, dato che nei film comici esiste la regola del lieto fine. Ci fu una lunga lotta per fare accettare questa innovazione. A ogni riunione tutti votavano pollice verso. Durante la lavorazione non ebbi difficoltà con gli attori, ma piuttosto con il produttore, che mi tempestava di telegrammi perché voleva che Sordi e Gassman emergessero di più. E devo dire che anche la campagna di stampa che si scatenò all’annuncio del film poi si placò, anche perché ci furono letture della sceneggiatura da parte di alti militari, iniziative varie di De Laurentiis, e i contrasti vennero messi a tacere da un’ala più ‘illuminata’ che aveva capito il significato del finale. Ma ancora toccare Caporetto era un tabù, e la Grande guerra era avvolta nella retorica più fastidiosa e sciocca”.
(Mario Monicelli)
Felice connubio di tragedia e commedia, l’opera è un affresco corale, ironico, struggente e toccante (in alcune scene), della vita di trincea durante la prima guerra mondiale. Le vicissitudini di un gruppo di commilitoni sul fronte italiano nel 1916 sono narrate con un linguaggio neorealista e romantico al tempo stesso, abbinando scansioni tipiche della commedia all’italiana ad una notevole attenzione verso i particolari storici. Le pregevoli scene di massa si accompagnano ad acute caratterizzazioni dei numerosi personaggi, antieroi umani ed impauriti, rassegnati e solidali, accomunati dalla partecipazione forzata ad una catastrofe che li travolgerà. Monicelli e gli sceneggiatori Age & Scarpelli e Vincenzoni raggiungono l’apice artistico della loro carriera combinando, con impareggiabile fluidità di racconto, comicità e toni drammatici, ed aprendo la strada ad un nuovo stile cinematografico nelle vicende di guerra. Memorabile il piano sequenza finale nel quale i due pavidi protagonisti si riscattano con un gesto coraggioso, sacrificandosi l’uno da “eroe spavaldo” e l’altro da “eroe vigliacco”. Quest’ultima figura viene qui concepita in maniera assai originale ed interpretata da un ispirato Alberto Sordi (vincitore del Nastro d’argento come miglior attore protagonista).
La ricostruzione bellica dell’opera è, da un punto di vista storico, uno dei migliori contributi del cinema italiano allo studio del primo conflitto mondiale. Per la prima volta la sua rappresentazione venne depurata dalla propaganda retorica divulgata durante il fascismo e nel secondo dopoguerra, in cui persisteva il mito di una guerra favolosa ed eroica dell’Italia, e per questo la pellicola ebbe problemi di censura al momento dell’uscita nelle sale cinematografiche in Italia, e fu vietata ai minori di 16 anni. Fino a quel momento infatti i soldati italiani erano stati continuamente ritratti come valorosi disposti ad immolarsi per la patria. Emblematica ed indimenticabile in questo senso la scena dei festeggiamenti nel paese (subito trasformatisi in silenzioso dolore) e della retorica ostentata da autorità ed intellettuali al rientro delle truppe immediatamente prima della sconfitta di Caporetto. Il film denunciò inoltre l’assurdità e la violenza del conflitto, le condizioni di vita miserevoli della gente e dei militari, ma anche i forti legami di amicizia nati nonostante le differenze di estrazione culturale e geografica. La convivenza obbligata di questi regionalismi (e provincialismi), mai venuti a contatto in modo così prolungato, contribuì a formare in parte uno spirito nazionale fino ad allora quasi inesistente, in forte contrasto con i comandi e le istituzioni, percepite come le principali responsabili di quel massacro. In alcuni dialoghi del film, vengono usate per la prima volta nel cinema italiano, alcune parole definite “volgari” che passarono la censura dell’epoca. Molti reduci che si recarono nei cinema per vedere il film, ne uscirono prima piangendo senza riuscire a finire di vederlo perché, secondo loro, alcune scene rappresentavano fedelmente ciò che avevano vissuto durante la guerra.
La grande guerra nacque da un’idea di Luciano Vincenzoni, influenzato dal racconto Due amici di Guy de Maupassant. Quando Monicelli portò il soggetto a Dino De Laurentiis, il produttore dimostrò subito grande interesse e accettò con l’idea di mettere insieme Vittorio Gassman e Alberto Sordi. La sceneggiatura integrava figure e situazioni provenienti da due libri famosi: Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu, e Con me e con gli alpini di Piero Jahier. Tra questi l’episodio della gallina, tratto dal libro di Lussu, che venne in origine tagliato dal regista, e incluso nel film nel 1964. Il giornalista e scrittore Carlo Salsa, che aveva combattuto realmente in quei luoghi, prestò la sua opera di consulente, arricchendo la trama, i dialoghi e lo sfondo di particolari vividi ed originali. Inizialmente Monicelli voleva dare l’idea di «una specie di grossa pentola in ebollizione, da cui ogni tanto veniva fuori un personaggio; una massa amorfa di umanità, di soldati, di operai, di braccianti, sbattuti nelle trincee in mezzo al fango, lungo i tratturi, da cui uscissero fuori qua e là dei tipi, dei momenti». Alla fine la presenza di Gassman e Sordi fece sì che questo non avvenisse. In effetti, anche scrivendo la sceneggiatura si diede ai due protagonisti un’importanza maggiore del previsto. Ci fu una polemica sulla parte finale del film, riguardante la fucilazione dei due protagonisti: De Laurentiis e i distributori avrebbero voluto un finale meno drammatico, più gioioso, avrebbero preferito che finisse con la loro liberazione, perché quel finale sembrava che in qualche modo rompesse gli schemi del film comico. Furono le associazioni d’arma a pretendere il finale drammatico che riscattasse la vigliaccheria dei due protagonisti con l’eroismo finale.
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