Disponibile on line L’angelo sterminatore (El ángel exterminador), un film del 1962 diretto da Luis Buñuel. Da 30 anni di esilio in Messico e dopo aver appena realizzato il film Viridiana censurato dal regime franchista, il sessantenne Buñuel regala al suo Paese un’altra opera di decisa e alta critica nei confronti dell’ordine costituito, sbeffeggiando i riti e le usanze della borghesia. Ma il surrealista Buñuel colora il bianco e nero del suo famoso operatore Gabriel Figueroa con i toni della suggestione e della drammaticità. Le tematiche sociologiche espresse da Buñuel, tratte da un soggetto di José Bergamín che sosteneva essere ispirato all’Apocalisse di Giovanni, sono in stile onirico e surreale, a indicare le assurdità eccentriche della classe borghese reazionaria, aristocratica e clericale, e pertanto proprio a indicare la perdizione di tutto il genere umano, bloccato e paralizzato nell’anima, prigioniero soprattutto delle sue stesse istituzioni. Secondo l’idea “iniziale” di Buñuel e Luis Alcoriza si trattava di descrivere e rappresentare surrealisticamente il naufragio psicologico di un’intera classe sociale, la borghesia, e proprio per questo l’opera inizialmente si doveva intitolare Los naufragos de la calle Providencia. Con Silvia Pinal, Enrique Rambal, Jacqueline Andère, Claudio Brook.
Trama
All’uscita dal teatro, una ventina di persone dell’alta società si ritrovano, per una cena, nella villa di città di Edmondo e Lucia Nobile. Mentre gli ospiti arrivano, i servitori, al contrario, ad eccezione del maggiordomo, se ne vanno con un pretesto o con l’altro, come sotto l’influsso di un presagio. Terminata la cena, il gruppo si riunisce in un vasto salone da ricevimento per ascoltare una famosa pianista. Si fa tardi, e gli ospiti decidono di rincasare: ma ecco, quasi un’insormontabile cortina fosse calata davanti a loro, nessuno riesce più a varcare la soglia del salone. Col trascorrere delle ore, la situazione diventa intollerabile: pur intestardendosi nel voler conservare il decoro del rango e una parvenza di etichetta, pian piano i prigionieri della misteriosa “presenza” si liberano dei loro freni inibitori, rivelandosi per quello che sono: pervertiti, ipocriti, lussuriosi, violenti. Quando l’esplosione di violenza raggiunge il massimo, il sacrificio della giovane Letizia, che si offre al padrone di casa, determina la fine dell’incubo. Finalmente liberi, gli invitati di casa Nobile ringraziano il Cielo con un solenne “Te Deum”, al termine del quale, però, si trovano di nuovo di fronte l’invisibile muro.
“Qualche volta mi rammarico di aver girato L’angelo sterminatore in Messico. Lo avrei immaginato meglio a Parigi o a Londra, con attori europei e un certo lusso negli abiti e negli accessori. A Città del Messico, malgrado la bellezza della casa, malgrado tutti i miei sforzi per scegliere attori che fisicamente non ricordassero il Messico e basta, ho dovuto affrontare una certa miseria in fatto di qualità. Mostrando solo un tovagliolo, per esempio, che poi apparteneva alla truccatrice. Inizialmente il film si chiamava I naufraghi di rue de la Providence. Ma l’anno prima, a Madrid, José Bergamin mi aveva parlato di un lavoro teatrale che intendeva scrivere, e intitolare L’angelo sterminatore. Trovai il titolo splendido e gli dissi: “A leggerlo sulla locandina, si entra subito in sala”. Da Città del Messico gli scrissi per chiedere notizie del lavoro – e titolo. Mi rispose che non l’aveva ancora scritto e che comunque il titolo non era suo, ma dell’Apocalisse. Per cui potevo benissimo prenderlo. Cosa che feci ringraziandolo.
Nella vita come nei film, sono sempre stato attirato dalle cose che si ripetono. Non so perché e non cerco di spiegarmelo. Ne L’angelo sterminatore ci sono almeno una decina di ripetizioni. Per esempio due uomini che qualcuno presenta e che si stringono la mano dicendo: “Felicissimo”. Un attimo dopo si incontrano e si presentano di nuovo come se non si conoscessero affatto. Una terza volta infine si salutano calorosamente come due vecchi amici. A due riprese, ma sotto un’angolatura diversa, si vedono anche gli invitati entrare nell’atrie e il padrone di casa chiamare il maggiordomo. Finito il montaggio, Figueros, il capo operatore, mi prese in disparte e mi disse: – Luis, è successo qualcosa di grave. – Cosa? – La sequenza di quando entrano in casa è stata montata due volte. Come ha potuto pensare, anche per un attimo, proprio lui, che aveva girato le due sequenze, che uno strafalcione del genere fosse potuto sfuggire al montatore e a me stesso? L’angelo sterminatore è uno dei pochi film che ho rivisto. Tutte le volte rimpiango le mancanze di cui ho parlato e i tempi strettissimi di lavorazione. Quello che ci vedo, è un gruppo di persone che non possono fare quello che vorrebbero: uscire da una stanza. Impossibilità non spiegabile di soddisfare un semplice desiderio. Cosa che capita spesso nei miei film. Ne L’età dell’oro, una coppia desidera unirsi e non ci riesce. Quell’oscuro oggetto del desiderio parla del desiderio sessuale di un vecchio, che non può soddisfarsi. In Estasi di un delitto, il protagonista tenta inutilmente di uccidere. I personaggi de Il fascino discreto della borghesia vogliono assolutamente pranzare insieme e non ci riescono.”
(Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Milano Rizzoli)
“L’angelo sterminatore potrebbe essere una parabola della condizione umana?
Sulla condizione borghese, meglio. Fra operai non sarebbe la stessa cosa, sicuramente ci sarebbe una soluzione all’essere rinchiusi. Per esempio, in un quartiere operaio un uomo battezza sua figlia, riceve cinquanta amici per una festa e alla fine non possono uscire. Io credo che in qualche modo troverebbero l’uscita. Perché? Perché un operaio è più abituato alle difficoltà concrete della vita.
Ritorno sul concetto che Il fascino discreto della borghesia sia una sorta di Angelo sterminatore meglio interpretato, vestito e decorato. Più sottile insomma.
L’angelo sterminatore doveva essere interpretato da gente che portava il frac come se lo avesse fatto tutte le notti.
Cosa difficile da ottenere con attori messicani.
Voi notate questi dettagli perché vivete qui. Né in Inghilterra né in Francia, dove io credevo che ridessero di certe cose, nessuno ha detto che gli attori vanno male. Probabilmente pensano che i difetti sono peculiarità dell’alta società messicana, non so. Questi difetti io li vedo. Frac da 800 pesos fatti con tela tropicale. Gli attori si sedevano per le prove e quando si alzavano avevano il frac sgualcito”.
(José de la Colina, Tomás Pérez Turrent, Buñuel por Buñuel)
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