La fantascienza distopica ha ancora qualcosa da dire, quando ad occuparsene non sono blockbuster americani ma chi osa discostarsi dai sentieri del già visto e del prevedibile.
Paradise del regista tedesco Boris Kunz è una delle novità più interessanti di Netflix.
A Berlino la società AEON offre ai suoi clienti la possibilità di acquistare degli anni per poter tornare giovani. Il prezzo è caro, perchè questo tempo sarà sottratto, apagamento, a persone più povere e bisognose. Scordiamoci il freddo e patinato In Time di Andrew Niccol, con Justin Timberlake, nel quale era sì il tempo a regolare la vita degli esseri umani, ma che aveva purtroppo l’intensità di uno spot Tissot.
Quella raccontata da Kunz è una relazione matrimoniale perfetta messa a dura prova da uno stravolgimento cronologico forzato, il lavoro perfetto che si rivela un abominio contro l’umanità, e infine un thriller avvincente nel quale le cose non sono come sembrano, e neppure le persone. Paradise racconta l’inferno che si nasconde dietro il paradiso – delle illusioni di gioventù eterna, di amore e di ricchezza – e lo fa con complessità e verosimiglianza, approfondendo l’umanità e la contraddittorietà dei protagonisti fino ad andare ben oltre la superficie del thriller di fantascienza.
La CEO della società Sophie Theissen e i suoi ricercatori, col loro sistema di compatibilità del DNA che concede ad alcuni, chiamati donatori, di donare anni della propria vita in cambio di un pagamento, avrà vita dura a causa dell’organizzazione terroristica dell’Adam Group. Gli attivisti infatti uccidono senza pietà i ricchi destinatari degli anni, appena ringiovaniti.
Ma il resto della storia è solo da vedere…
Il pensiero corre paradossalmente a Gattaca – La porta dell’universo (Gattaca), del 1997, diretto proprio dallo stesso Andrew Niccol di In Time, e che era un piccolo capolavoro distopico nel quale la scienza – sempre lei – prometteva progresso e felicità grazie al controllo genetico pre-natale del DNA. Anche in questo caso, come in Paradise, la presunta felicità era solo per pochi privilegiati ed il mondo, fatalmente, restava diviso tra poveri e ricchi, con crudeltà e separazioni sociali sempre più estremi.
Anche in The Island (2005) diretto da Michael Bay, l’idea di creare organi umani “in vitro” per poter poi sostituire qualsiasi parte del corpo danneggiata del committente, facendolo vivere sano e “in eterno” non andava per il verso giusto e si creava una generazione di schiavi inconsapevoli destinati al consumo umano. Insomma, sembra che, per il cinema, quando la scienza promette di migliorarci incredibilmente la vita, non si debba mai abbassare la guardia…
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