Educato all’arte e alla bellezza dal padre Attilio, che fu un raffinato poeta e un arguto intellettuale, il compianto Bernardo Bertolucci, scomparso nel 2018, aveva ereditato da lui anche l’ossessione per il cinema, un’ossessione che, nel ricordo del regista, il brillante genitore era solito misurare “provandosi la febbre durante le proiezioni: si infilava il termometro sotto l’ascella per controllare l’emozione che gli provocavano quelle ombre in movimento sullo schermo”.
Di questa splendida ossessione e del proprio percorso artistico Bertolucci parla in un breve testo inedito, pubblicato postumo da La nave di Teseo nel marzo del 2021, intitolato Il mistero del cinema e scritto in occasione della laurea honoris causa ricevuta dal regista nel 2014 dall’Università di Parma, la sua città.
Classe 1941, inizialmente sembrò voler seguire le orme paterne dedicandosi agli studi letterari e alla scrittura, ma presto la sua attenzione si concentrò sulla magia del cinema, una magia che aveva vissuto già da bambino quando, alla fine degli anni Quaranta, sentiva il padre Attilio dettare al telefono alla redazione della «Gazzetta di Parma» le recensioni dei film visti nel pomeriggio, critiche partorite sul momento, a braccio, senza aver preso appunti scritti. “A me sembrava l’uomo più intelligente del mondo”, ricordava il regista. All’età di sedici anni Bernardo Bertolucci realizzò il suo primo cortometraggio, La teleferica, girato a Casarola, una piccola frazione nell’Appennino parmense, dov’era nato il nonno paterno e dove ogni estate andava in villeggiatura con la famiglia: un luogo “fuori dal tempo”, “in cui vivere protetti dal mondo”. I protagonisti della storia erano tre bambini, di cui uno suo fratello Giuseppe che all’epoca aveva dieci anni, andati alla ricerca di una misteriosa teleferica tra i boschi di castagni. Poi ebbe la fortuna di diventare assistente di Pier Paolo Pasolini e fu suo aiuto regista nel film Accattone (1961). “La mia università”, scriveva Bertolucci, “è stata soprattutto ascoltare, la sera, cosa si dicevano al ristorante Pasolini, Alberto Moravia, Elsa Morante e Adriana Asti”. Pasolini firmò anche il soggetto e la sceneggiatura del primo lungometraggio di Bertolucci, La commare secca (1962), ambientato nella Roma dei ragazzi di vita. Era evidente che, come sottolineò la critica dell’epoca, la poetica pasoliniana pesasse sul suo esordio cinematografico, ma Bertolucci se ne allontanò quasi subito quando venne rapito dal cinema della Nouvelle Vague e in particolare dai film del maestro Jean-Luc Godard, che divenne il suo nuovo mentore. Con il secondo film, Prima della rivoluzione (1964), il regista riabbracciò la sua Parma facendone il teatro di una storia di crisi esistenziale che era il riflesso di una crisi della società borghese. Grazie a Prima della rivoluzione, Bertolucci si guadagnò la stima dei «Cahiers du Cinéma». Seguirono i film Partner (1968), Strategia del ragno (1970) e Il conformista (1970). Il resto è Storia e la meritata notorietà lo portò a realizzare grandi opere di respiro internazionale e a lavorare anche al di fuori dell’Italia: Ultimo tango a Parigi (1972), Novecento (1976), La luna (1979), La tragedia di un uomo ridicolo (1981), L’ultimo imperatore (1987, vincitore di ben nove premi Oscar), Il tè nel deserto (1990), Piccolo Buddha (1993), Io ballo da sola (1996), L’assedio (1998), The Dreamers (2003), Io e te (2012).
Pubblicato a cura della moglie Clare Peploe e di Michele Guerra, Il mistero del cinema è l’ultima riflessione di Bernardo Bertolucci su se stesso, sul proprio mondo e sui temi a lui più cari: la preziosa eredità intellettuale di famiglia, i ricordi di infanzia nella provincia emiliana mai dimenticata, il primo incontro con la macchina da presa, la vicinanza di Pasolini, la scoperta del cinema francese, la fatica di affermarsi, le scelte di stile e di tecnica, il rapporto con l’industria cinematografica e la volontà “di riaffermare la più vitale libertà dall’interno di un sistema fortemente regolato”, e anche il tema della disabilità, particolarmente sentito da Bertolucci quando, costretto su una sedia a rotelle negli ultimi anni, si era reso conto di cosa volesse dire veramente vivere in una città come Roma con così tante strade dissestate e aveva deciso di farne un cortometraggio, Scarpette rosse (2014).
La lectio doctoralis di Bernardo Bertolucci, dunque, ripercorre le varie tappe della sua magnifica ossessione per il cinema, iniziata nella sua Parma e proseguita dapprima nella capitale e poi in giro per il mondo: “eppure dopo tanti anni, dopo tanti film, tutto mi sembra ancora molto misterioso”, confessava il regista nel 2014 in occasione della cerimonia, giustificando così la scelta del titolo del suo intervento.
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