Ciao! Mi chiamo Matteo Fantozzi e faccio il critico cinematografico. Anzi no, ricominciamo, mica posso iniziare il mio primo editoriale per Inside the Show così. Buonasera a tutti sono il Dottor Matteo Fantozzi laureato in storia del cinema, no anche così non va bene, troppo pomposo. Vabbè, avete capito come mi chiamo, almeno spero, e cosa farò ve lo spiego subito. Ringrazio l’opportunità data da Inside the Show per fare quattro chiacchiere con voi, per scrivere di ciò che più mi appassiona, il cinema. Curerò una rubrica dal titolo “il sogno italiano”, cercando di portare avanti una battaglia personale che fin da troppo tempo ho dentro al mio cuore e cioè quella della sopravvivenza del cinema italiano e della lapalissiana superiorità dello stesso su quello americano. Ma facciamo un passo indietro, da anni studio il cinema nostrano, rendendomi conto di come negli ultimi vent’anni sia passato in secondo piano rispetto ai soldoni provenienti dagli States.
Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso si chiama Barbie. Greta Gerwin ha diretto un film mediocre, senza spunti, improntato a strizzare l’occhio al pubblico medio-basso e noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo abboccato e siamo finiti in sala. E non ditemi, per favore, che un film che ottiene un buon risultato al box office è un gran film, la gente, ricordate, prima di andare al cinema non sa mica come sarà il film. E dunque? Magari in quel caso a vincere è stato il marketing non la regista. E vedere tutta questa gente al cinema mi ha fatto incazzare, e scusate la parola, pensando che per tutta l’estate il cinema europeo e italiano è stato messo a 3.50 euro se no non ci andava nemmeno la madre del regista a guardare i film. Una cosa folle, prettamente italiana, paese che da sempre disprezza quello che ha per premiare chi invece è lontano ed evidentemente meno talentuoso. Ma che volete che vi dica, d’altronde l’erba del vicino è sempre più verde. E da lì poi ho pensato, perché mi sono dovuto fare 40 km di macchina per vedere in un cinema sperduto Mia di Ivano De Matteo, che è un gioiellino che proprio Barbie spostati, e invece vedevo tutte le città che incontravo tappezzate da poster della splendida Margot Robbie? Beh oggi voglio aprire questa rubrica proprio spiegandovi che in realtà l’America uno come Ivano De Matteo ce lo dovrebbe invidiare.
Perché gli americani ci dovrebbero invidiare Ivano De Matteo?
Ivano De Matteo è un grandissimo regista e anche se ad alcuni il suo nome non dirà niente verrà rispettato quanto detto sopra. Perché il romano classe 1966 è uno di quelli che attraverso il cinema sa raccontare la vita di tutti noi. Uno che nei suoi film ci mette l’anima. Uno che sa come si raccontano le storie. Uno che sa fare cinema e lo fa anche con budget che in America non servirebbero nemmeno per realizzare pochi minuti di un episodio di Game of Thrones.
Mia è uscito nelle sale l’8 marzo del 2023 e affronta temi molto importanti come il gaslighting e il revenge porn e lo fa attraverso il messaggio più doloroso possibile. Potrebbe accadere anche a noi, potrebbe toccare anche alla nostra ingenua bambina di 15 anni che visto che è nostra figlia vediamo ancora come una bambina. Mia è una ragazzina felice e sorridente, che ha l’unica “colpa”, tra mille virgolette, di incontrare un ragazzo sbagliato, un orco che presto si trasformerà nel suo carnefice e non perché la ucciderà ma perché le ruberà l’anima. Ivano De Matteo, insieme alla moglie Valentina Ferlan, scrive un film con un’ossatura importante, con dinamiche che i ragazzi capiscono e che i più grandi temono per i propri figli.
Mia però è solo la punta di un iceberg che trova le sue fondamenta circa ventiquattro anni fa, quando Ivano debutta con il suo primo lavoro, un documentario sul calcio dal titolo Prigionieri di una fede. Nel 2002 esce il suo primo film narrativo, che tratta però un argomento molto simile e che si intitola Ultimo stadio. L’esplosione definitiva De Matteo ce l’ha nel 2009 quando La bella gente mostra al mondo un regista completo, in grado di trasmettere emozioni e che sa come gestire i tempi tecnici del mondo del cinema. E poi Gli equilibristi, I nostri ragazzi, La vita possibile e Villetta con ospiti. Mai un film sbagliato, mai uno scivolone, sempre pronto a puntare dritto al cuore e a strappare emozioni e sorrisi.
E perché l’America ci dovrebbe invidiare Ivano De Matteo? Perché l’America un regista così non ce l’ha. Perché mentre negli States Steven Spielberg vive di onanismo cinefilo col suo The Fablemas e Quentin Tarantino si è scordato come si copiano gli italiani non c’è qualcuno che sa raccontare la vita, le emozioni, la gente come fa con tocco Neorealista Ivano. Perché in America Ridley Scott è diventato la macchietta di se stesso e Woody Allen continua a fare lunghe elucubrazioni mentali, dove Clint Eastwood gira sempre lo stesso film e dove giusto una bomba atomica poteva riaccendere il fiacco Christopher Nolan di Dunkirk e Tenet.
Un’America dove si diceva vivesse “il sogno americano“, un sogno che però in realtà non esiste ed è l’effimera speranza di chi non riesce ad accontentarsi di quello che ha per sperare di avere qualcosa di migliore. Una speranza che si spegne quando si scende in un aeroporto enorme ma dove ci si sente comunque soli come il JFK di New York, oppure come quando si scende a LAX sperando di diventare una stella del cinema solo perché si sta arrivando a Los Angeles. L’invito di un povero critico che come lavoro ha scelto di guardare film è quello di andare in sala, di farlo davvero, di lasciarsi travolgere dalle emozioni, ma da quelle vere, quelle che provano le persone per strada tutti i giorni e non da quelle fatiscenti e colorate di un qualsiasi Captain America che poraccio non posa quello scudo da vent’anni a forza di imprese che francamente interessano poco e niente in fondo. Andate in sala e innamoratevi di Conversazioni con altre donne di Filippo Conz o di Io, Capitano di Matteo Garrone e lasciate stare Oppenheimer, che intanto, vi svelo un segreto, tra un mesetto ve lo potrete vedere su Netflix per poterlo interrompere a metà visto che in tre ore e mezzo sicuramente a tutti prima o poi scapperà la pipì.
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