Disponibile su RaiPlay Il gioco del destino e della fantasia, un film a episodi del 2021 diretto da Ryūsuke Hamaguchi. È stato presentato in concorso al 71º Festival di Berlino, dove ha vinto l’Orso d’argento, gran premio della giuria. Con la direzione della fotografia di Yukiko Iioka, le scenografie di Masato Nunobe e Hyeon-Seon Seo e i costumi di Fumimori Usui, Il gioco del destino e della fantasia è interpretato da Kotone Furukawa, Hyunri, Shouma Kai, Aoba Kawai, Katsuki Mori, Ayumu Nakajima, Kiyohiko Shibukawa, Fusako Urabe. In Italia, è stato presentato in anteprima al Far East Film Festival di Udine il 28 giugno 2021, venendo distribuito nelle sale cinematografiche da Tucker Film a partire dal 26 agosto 2021.
Trama
Tre diverse storie condividono temi comuni. Nella prima, Meiko si rende conto che l’uomo di cui la sua migliore amica le ha parlato è il suo ex fidanzato. Nella seconda, uno studente che non è riuscito a terminare gli studi complotta per rovinare la reputazione dell’insegnante che ritiene colpevole del suo fallimento. Nella terza, una donna incontra un’ex compagna di classe e i due possono finalmente condividere quei sentimenti che hanno a lungo custodito nel loro cuore.
“Le tre storie sono state concepite come le prime tre di una serie di sette con al centro il tema della coincidenza e immaginazione. La coincidenza è sempre stata un argomento di mio interesse. Raffigurare la coincidenza è un modo che considera, la rarità come l’essenza del mondo piuttosto che basata sulla realtà. Creando un’opera con questo titolo, Il gioco del destino e della fantasia, ho capito come dipanare la storia in modi totalmente inaspettati. Per favore, divertitevi a essere sorpresi dall’imprevedibilità del mondo”.
(Ryūsuke Hamaguchi)
“Prima Berlinale per Hamaguchi e primo premio. Il suo Il gioco del destino e della fantasia ha vinto l’Orso d’argento. Un riconoscimento che conferma il talento di un autore con uno sguardo riconoscibilissimo nel panorama contemporaneo, capace di aggiornare la classicità del cinema giapponese. Sembra di guardare Ozu per la semplicità dei dialoghi e la pulizia della messa in scena. Fin da subito si entra in quella intimità falsata tipica del cinema del regista di Viaggio a Tokyo, come se tra lo spettatore e il personaggio ci fosse una sorta di intimità, ma ancora delimitata da una barriera impossibile da valicare, quel grado di intimità che si può costruire tra vicini di casa. Un rapporto costruito sulla riservatezza e la volontà di mascherare il dolore che è tipico della cultura giapponese, che riesce a liberarsi solo tramite l’arte.
Bastano i primi 20 minuti del primo episodio (Il gioco del destino e della fantasia è diviso in tre parti) per comprendere i percorsi che vuole intraprendere Hamaguchi. Nel primo frammento seguiamo due donne in macchina che si confidano tra di loro. Una parla della storia d’amore che sta vivendo con un uomo misterioso. L’altra, Meiko, ascolta curiosa e con gli occhi languidi; come se non avesse mai avuto la fortuna di vivere un’amore così magico. È qui, tramite quella distanza e quel rapporto di intimità falsata di cui parlavamo prima, che si avverte che qualcosa non va. Si capisce solo tramite lo sguardo e le parole di Meiko che dietro si nasconde altro. I suoi occhi fanno da filtro per un mondo dove l’amore nasce e muore come per magia. Non si vedono i passaggi intermedi, il trucco rimane fuori campo. Avvertiamo solo tramite uno sguardo che c’è qualcosa che lega Meiko alla storia d’amore della donna.
Negli altri due episodi c’è sempre questo fil rouge dove il tempo riporta a galla le colpe e rompe la riservatezza. Nel secondo episodio ad esempio abbiamo un professore di letteratura francese, fresco vincitore di un premio letterario, a cui un ex studente organizza una “honeytrap” con l’aiuto della propria amante. L’abitudine del professore di tenere sempre aperta la porta del suo studio racconta di un limite invalicabile tra artista e spettatore. Tutto passa, tutto resta visibile, ma c’è sempre una certa distanza da dover mantenere. È il limite tra pubblico e privato. Ed è quella stessa porta che non permette al professore di entrare in confidenza con la donna. È quell’incontro pieno di limitazioni che nonostante tutto crea una connessione mentale e che cambierà per sempre alla donna modo di vedere le cose.
Nel film di Hamaguchi c’è un Paese rigido che soffoca la spontaneità e che viene liberato tramite un’estetica controllata e minimale. Una semplicità di linguaggio rohmeriana attenta alle storie del quotidiano e una modalità di racconto che sfrutta la grande capacità di costruire storie tramite dialoghi brillanti. Un cinema totalmente delegittimato dal bisogno di dover per forza di cose spiegare i sentimenti umani. Un’estetica che si fa forte della scrittura e delle interpretazioni. Una regia che utilizza il fuoricampo e che allo stesso tempo non ha paura di svelare la presenza della macchina tramite zoom improvvisi. Il mezzo serve per mettere in scena racconti morali e avere finalmente una seconda possibilità per tutte le occasioni mancate nel reale”.
(Carmelo Leonardo, Sentieri Selvaggi, 25 Agosto 2021)
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