Disponibile su RaiPlay Titane, un film del 2021 scritto e diretto da Julia Ducournau. Il film ha vinto la Palma d’oro al 74º Festival di Cannes (rendendo Julia Ducournau la prima donna a vincere tale premio come regista solista), ed è stato anche scelto per rappresentare la Francia nella categoria Miglior Film Internazionale alla 94ª edizione dei Premi Oscar. In Francia, la visione del film è stata vietata ai minori di 16 anni, mentre in Italia è stata vietata ai minori di 18 anni. Negli Stati Uniti d’America la MPAA ha classificato il film come vietato ai minori di 17 anni non accompagnati da un adulto (R) per scene contenenti forte violenza, materiale inquietante, nudità, sessualità e linguaggio. Con Agathe Rousselle, Vincent Lindon, Nathalie Boyer, Myriem Akheddiou, Dominique Frot, Théo Hellermann, Mehdi Rahim-Silvioli.
Trama
Alexia ha una placca di titanio conficcata nel cranio a causa di un incidente passato. Ballerina in un ‘salone di automobili’, le sue performance la rendono preda facile degli uomini. Alexia uccide con un fermaglio chi si avvicina troppo, e colleziona omicidi che la costringono a fuggire e ad assumere l’identità di un ragazzo scomparso.
Intervista alla regista Julia Ducournau
Com’è nata la sceneggiatura di Titane? Come è stata costruita?
Mi trovavo davanti a un puzzle molto complesso, un argomento molto denso, che ovviamente ho dovuto semplificare ma con cautela perché rischiavo di perdere la portata esistenziale a cui aspiravo. Si è trattato di un vero atto di equilibrio. Per dare una forma definita a Titane, mi sono aggrappata molto al personaggio di Vincent e alla sua fantasia, all’idea che attraverso una bugia si possa far nascere amore e umanità. Volevo fare un film che fosse a priori “ostile” per via della sua violenza primaria ma in cui ci si doveva attaccare profondamente ai personaggi e che alla fine avremmo percepito come una vera storia d’amore. O, meglio, come una storia della “nascita dell’amore”: tutto è una questione di “scelta”.
Può raccontarci del piano sequenza post titolo che introduce il personaggio di Alexia (interpretata da Agathe Rousselle) in età adulta?
Il piano sequenza serve per un imporre un certo sguardo – che non è il mio – su Alexia o, meglio, su chi vorremmo che fosse. Si tratta di uno sguardo che idealizza il personaggio, lo iconizza potentemente, lo sessualizza o lo fa obbedire a tutta una serie di cliché. Questa sequenza ha per me il valore di un richiamo: si tratta dell’esplorazione di uno strato superficiale, di un primo svelamento che annuncia quello che dopo andremo a scavare in profondità, l’oceano che andremo a scoprire e che nasconde una femminilità dai contorni estremamente sfocati. Volevo che l piano sequenza fosse sia organico sia totalmente sconnesso dalla realtà. L’Alexia che ci viene presentata non corrisponde alla verità del personaggio.
Com’è stato il casting per trovare l’attrice che avrebbe dovuto interpretare Alexia?
Sind a subito ho capito che doveva avere un volto sconosciuto: non volevo infatti che durante le fasi della “mutazione” del personaggio, lo spettatore si ritrovasse davanti a quello che reputava semplicemente il travestimento di un’attrice a lui fisicamente familiare. Ho parlato ai miei collaboratori di “femminilità dai contorni sfumati”. Per incarnare quest’idea, avevo bisogno di una sconosciuta, di una persona su cui il pubblico non poteva proiettare nessuna aspettativa e che avrebbe guardato lo svolgersi della storia senza pensare all’artificio. Quindi, mi sono sin da subito diretta verso ragazze non professioniste. Avevo in mente un fisico androgino che potesse sopportare tutti gli stati del processo di trasformazione in scena. Ho cercato un volto capace di mutare a secondo degli angoli della visuale scelta, un volto che chiunque avrebbe potuto credere essere qualsiasi cosa. Il processo di casting è stato lungo e altrettanto preciso. Sapevo che doveva essere qualcuno con cui avrei dovuto lavorare molto, soprattutto a livello corporeo dal momento che il personaggio è quasi silenzioso. Quando ho visto Agathe Rousselle per la prima volta a un provino non ho avuto dubbi: aveva il fisico che cercavo, con un viso affascinante e con una forte presenza scenica. Era quello che volevo.
E per il personaggio di Vincent come si è mossa?
Per Vincent è stato molto più facile: avevo scritto il ruolo per Vincent Lindon. Ci conosciamo da molto tempo e volevo filmarlo e mostrarlo al mondo così come lo vedevo io. Il personaggio implicava il saper mettere in scena una miriade di emozioni per cui lui era ai miei occhi la sola persona capace di farlo: doveva apparire inquietante e vulnerabile, infantile e oscuro, molto umano ma anche mostruoso, specialmente con un corpo super impressionante. Per prepararsi al ruolo, si è allenato pesantemente con i pesi per un anno: volevo che assomigliasse a un bue e che evocasse l’aspetto massiccio di Harvey Keitel in Il cattivo tenente di Abel Ferrara. Il nostro rapporto sul set si è rivelato semplice e io ne sono molto orgogliosa. Vincent si è fidato di me e ha accettato l’idea di arrendersi al personaggio senza necessariamente detenere tutte le chiavi di lettura del mio cinema. Si è dimostrato generoso con il ruolo e con me, una generosità che reputo fuori dal comune. Sono convinta che il ruolo di Vincent era qualcosa che stava cercando in questa fase della sua carriera. Sono arrivata, come si dice, al momento giusto.
Può parlarci degli effetti speciali di Titane?
La vera sfida del film erano le protesi reali che dovevano essere indossate da Agathe. Tutti i giorni si sottoponeva a lunghe e laboriose sessioni di trucco. Per lei è stato stancante mentre per me stressante dal momento che i vari ritocchi facevano ovviamente perdere tempo. Le protesi erano qualcosa che giocava un ruolo centrale durante il piano di lavoro giornaliero. Mi dico sempre di non ricorrervi più ma ci casco sempre! Le protesi diventano parte integrante degli attori e forniscono una sensazione realistica che nessun effetto potrebbe donare.
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