Disponibile on line Romanzo popolare, un film del 1974 diretto da Mario Monicelli. Prodotto da Edmondo Amati, con il soggetto e la sceneggiatura di Age, Scarpelli e Mario Monicelli, la fotografia di Luigi Kuveiller, il montaggio di Ruggero Mastroianni, le scenografie di Lorenzo Baraldi e le musiche di Enzo Jannacci e Nando de Luca, Romanzo popolare è interpretato da Ugo Tognazzi, Ornella Muti, Michele Placido, Pippo Starnazza, Jone Greghi, Alvaro Vitali, Lorenzo Piani, Pietro Barreca, Nicolina Gapetti, Alvaro De Vita, Vincenzo Crocitti, Franco Mazzieri, Gaetano Germanà, Gennaro Cuomo. Il film vinse un David di Donatello per la migliore sceneggiatura e un Globo d’Oro per il miglior attore rivelazione (Michele Placido).
Trama
Giulio Basletti, operaio milanese ormai piuttosto avanti nell’età, sposa la sua figlioccia, Vincenzina, da cui ha un figlio. Con mille sacrifici Giulio cerca di assicurare alla sua famiglia tutti i confort possibili. Divenuto suo amico nonostante il diverso schieramento politico-sociale, un poliziotto, Giovanni, comincia a frequentare la casa di Giovanni e ben presto ne seduce la mogliettina.
“Con Age e Scarpelli avemmo l’incarico dalla Fida Film di scrivere un film per Manfredi, con il quale non avevo mai lavorato, e ci mettemmo a scrivere Romanzo popolare per lui. La storia di un operaio a Roma che sposava una ragazza molto più giovane di lui, poi la ragazza s’innamorava di un questurino. Manfredi lesse la sceneggiatura e disse: “Non mi piace, è un film vecchio, un personaggio che non m’interessa, bisognerebbe cambiarlo”. Io dissi: “No. Se lo vuoi fare lo facciamo così, e sennò te lo fai da te”. Lui era anche regista, aveva fatto già Per grazia ricevuta. Così ci separammo. Fu una fortuna: perché se l’avesse fatto lui sarebbe stato il solito film ‘romano’. Lo raccontammo invece a Tognazzi e a lui piacque molto; soltanto che non poteva essere un personaggio romano. Allora riscrivemmo tutta la sceneggiatura per farlo diventare milanese o padano. Quindi venne fuori questo straordinario lavoratore milanese con un linguaggio mutuato dai sindacati, con una cultura un po’ accattata, e che si crede evoluto in rapporto alla ragazza venuta dal Sud e trattata come una bestiolina selvaggia. Poi c’era il rapporto con il questurino, anche lui venuto dal Sud. Una descrizione dell’ambiente della fabbrica e della catena di montaggio, che in Italia non era ancora stata fatta, se non in maniera molto fasulla da quel gruppo che faceva film attraverso i canali del Partito Comunista: mostravano sempre degli operai cupi, con la bicicletta in mano, il cui prototipo era Girotti. Operai che s’innamoravano dell’operaia che era stata messa incinta dal padrone. Con Romanzo popolare ebbi molte soddisfazioni, perché in tutti i dibattiti che si fecero sul film, a Milano, a Torino, i partecipanti dicevano sempre: «Finalmente nel cinema italiano si vede un operaio com’è veramente, con dei lati anche divertenti, con una cordialità: degli operai che fanno l’amore, che litigano, che hanno anche i loro problemi da risolvere sul piano sindacale». Mi ero rifatto un po’ a I compagni naturalmente. In Romanzo popolare ebbi un primo contatto con la Muti, che aveva fatto dei filmetti in Spagna e non era assolutamente conosciuta; m’impressionò dal provino che le feci, perché era brava, era di un’assoluta impassibilità, non aveva nessuna emozione, non era affatto preoccupata di lavorare con Tognazzi. Doveva fare delle scene abbastanza movimentate, ma stava tranquilla e seduta, lavorava a maglia tra una scena e l’altra; diceva semplicemente: “va bene, ho capito”, e andava a girare e faceva tutto perfettamente, con grinta. Tra me dicevo: «Guarda che animale curioso!». Adesso è una diva, non si può certo dire che non abbia fatto carriera; ma a mio avviso avrebbe potuto fare una carriera diversa, più da attrice, di quanto non abbia fatto. Un’altra che mi viene in mente è la Carrà: la presi che era ancora una ragazzetta per I compagni e fece molto bene una parte molto drammatica; mi stupii perché la interpretò con un’autorità eccezionale e mi dissi: «questa bisogna tenerla presente, perché probabilmente è un acquisto per il cinema italiano». Poi invece dirottò verso i musical televisivi e diventò così molto nota; però fu un’altra occasione perduta per il cinema italiano, e glielo dissi anche una volta”.
(Mario Monicelli)
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