Dal cinema dei pionieri all’era del digitale fai da te, uno dei più interessanti aspetti nell’evoluzione del linguaggio cinematografico riguarda senz’altro gli sviluppi del montaggio. Andrea Ciacci, montatore e docente di teoria e pratica del montaggio video, ha pubblicato per Falsopiano un libro sulla storia dell’editing dagli anni Ottanta ai giorni nostri, tra grande schermo, televisione, videoclip musicali e nuove prospettive del digitale: Schermo nero. Schermo bianco. Cinema, videoclip e serie Tv. Il montaggio dagli anni ’80 a oggi.
Inevitabile, innanzitutto, uno sguardo introduttivo alle fasi storiche che hanno segnato l’evolversi del montaggio cinematografico: la scuola di Brighton (George Albert Smith, Robert William Paul) agli albori del cinematografo e le prime sperimentazioni di quelle che sarebbero diventate le più diffuse soluzioni visive del nuovo mezzo (come il raccordo sull’asse); la modernità di David W. Griffith con il film colossal Nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915) e i ritmi incalzanti del montaggio alternato, già accennato dal metteur en scène statunitense Edwin S. Porter in Life of an American Fireman; la codifica di un montaggio classico hollywoodiano che doveva risultare “invisibile”, nascondendo al pubblico i propri artifici e assumendo una funzione puramente narrativa, tale da ammorbidire il più possibile l’alternanza di piani, raccordi, campi e controcampi; Ėjzenštejn e le teorie di un montaggio intellettuale volto a creare concetti e provocare reazioni forti, nell’ottica di un cinema inteso non come mera narrazione ma anche come arte del conflitto; Orson Welles e il suo montaggio “proibito” con piani sequenza in profondità di campo, che rivendicava un superamento del modello imposto dalle major di Hollywood; le provocazioni della Nauvelle Vague, i cui cineasti (Jean-Luc Godard e François Truffaut in testa) rendevano sempre più visibile il lavoro del montatore, con jump-cut (salti temporali e di inquadratura che ignoravano i raccordi classici) e un uso rivoluzionario del suono, strumenti espressivi coi quali l’autore intendeva far sentire la propria presenza, ricordando al pubblico che quello che stava guardando era solo un film; e infine le intuizioni della New Hollywood che, con opere come Taxi Driver di Martin Scorsese (1976), traghettavano la settima arte nell’era postmoderna alle soglie degli anni Ottanta, momento da cui ha inizio l’accurata ricerca di Andrea Ciacci.
Da Guerre stellari (Star Wars, 1977) di George Lucas a Licorice Pizza (2021) di Paul Thomas Anderson, Ciacci porta avanti con rigore e competenza uno studio intermediale che mette in relazione l’arte cinematica con tutto ciò che di nuovo, negli ultimi decenni, le si è mosso intorno: la Tv commerciale, gli spot, i videoclip, i documentari, YouTube (nato nel 2005), lo streaming e gli innovativi linguaggi dei social network, e ovviamente le nuove tecniche del digitale che hanno stravolto l’idea stessa di cinema e editing (pensiamo al software Avid Media Composer e al film Lost In Yonkers di Martha Coolidge, del 1993 – primo film ad essere montato su Avid anche se in una formula ancora ibrida che manteneva lo sviluppo e la stampa del negativo 35 mm – , ma anche all’introduzione dei formati DV Cam e Mini DV, in grado di offrire “un ottimo compromesso qualità-prezzo a tutta quella fascia che da domestic vuole diventare prosumer” in particolare nel settore del documentario).
“David Fincher, Gus Van Sant, Spike Jonze, Michel Gondry, Paul Thomas Anderson: conosciamo numerosi registi che sono passati dalla Tv al Cinema, spesso attraverso i videoclip musicali”, si legge nella presentazione del volume in quarta di copertina. “Ma del montaggio cosa sappiamo? Inquadrature brevi, musiche aggressive, strutture non lineari: quanto e come il rapporto con gli altri media ha influenzato la grammatica, l’estetica e i ritmi del montaggio cinematografico negli ultimi 40 anni?”. A tale quesito cerca di rispondere l’autore, in un libro che “ci accompagna in un viaggio fatto di corrispondenze e opposizioni evidenziate dall’analisi di tagli, scene, sequenze e strutture filmiche, anche attraverso il racconto dei montatori protagonisti, spesso considerati soltanto tecnici e non artisti” – Walter Murch (Oscar per il miglior montaggio nel 1997 con Il paziente inglese di Anthony Minghella), Sally Menke (collaboratrice di Quentin Tarantino in Le iene, Pulp Fiction, Kill Bill 1 e 2, Bastardi senza gloria e altri film), Dody Dorn (Memento di Christopher Nolan, film scelto per la copertina del libro con i volti degli attori Guy Pearce e Carrie-Anne Moss), per citarne solo alcuni -, alfieri di una professione che, come ben dimostra Ciacci, è lecito considerare “l’ultima scrittura di una storia”.
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