Pubblichiamo il secondo classificato nella sezione Saggi, del Premio Adelio Ferrero Cinema e Critica 2023
La morte corre sul fiume. Realizzazione di una fiaba nera.
di Davide Lancia
L’autore prima dell’attore.
Quando uscì La morte corre sul fiume apparve come «il più anomalo tra i film usciti in quel 1955».1 Un film la cui anomalia è rappresentata dall’impossibilità di collocarlo in un genere specifico, o in una corrente. È un unicum nel suo genere, che non ha precedenti ma neanche successori.
Nato dal libro di Davis Grubb, scritto nel 1953, Charles Laughton, fino a quel momento attore di grande successo, realizza con La morte corre sul fiume il suo testamento artistico, dove in esso esprime un puro desiderio autoriale. Si tratta di riconoscere che nelle opere artistiche vi è «un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi»2 e che le implicazioni biografiche non creano, per forza, le motivazioni di un’opera. Nel film non vi sono riferimenti che possano indicare la vita dell’attore britannico passato al retro della macchina da presa: non un singolo riferimento a una carriera attoriale costellata di successi grazie al suo talento capace di «rubare la scena a chiunque»3, nessun riferimento al suo infelice decadimento iniziato negli anni Quaranta né alla sua esperienza al fronte durante la Seconda Guerra mondiale. L’autorialità è insita nel processo di creazione di un’opera, che indaga il nostro io più profondo e inconscio.
Ciò che appare interessante nella carriera attoriale di Laughton è rintracciare la sua esigenza di auctor, sia nella forma attoriale, dove alcuni personaggi sembrano cuciti sui suoi tormenti interiori4, sia come autore di testi teatrali5, sia come regista cinematografico, sia come produttore6. Il miscuglio di formazioni variegate nella sua vita permetterà la riuscita di La morte corre sul fiume. Ogni esperienza artistica, ogni forma di espressione, pare tesa verso la sua creatura.
Non essendo assistente di nessun regista, per imparare «si guardò tutti i film di Griffith al MoMa […]. Aveva intuito istintivamente che gli avrebbe dato l’ispirazione visiva di cui aveva bisogno per dirigere il film»,7 trovando nel padre de cinema narrativo il suo maestro. Il montaggio semplice e lineare lo conferma, così come alcune scene che sembrano rimandare a quelle soluzioni arcaiche ma sempre di grande effetto. Ma la sua condizione da studente indipendente non basta a chiarire alcune scelte artistiche.
È nelle sue esperienze attoriali che ritroviamo alcune forme utilizzate, come l’inquietante connubio tra noir ed espressionismo in Il castello maledetto di James Whale, così come la conoscenza della mente criminale, utile per la direzione di Robert Mitchum, gli apparve familiare dopo aver interpretato ruoli iconici di malvagi senza scrupoli: il distopico capitano Bligh in La tragedia del Bounty, l’omicida William Marble in Payment Deferred, la pazzia fuori controllo di Nerone in Il segno della croce e del Dr. Moreau in L’isola delle anime perdute, il patriarca autoritario in La famiglia Barrett, il disprezzo per il genere femminile dell’uxoricida Enrico VIII. Ma possiamo anche rintracciare nelle sue conoscenze personali i frutti poi sbocciati nel film. Si fa riferimento all’amicizia tra l’attore inglese ed Erich Pommer, produttore di film espressionisti come Il gabinetto del Dr. Caligari, Faust e Metropolis.
Ciò che Laughton realizza è un racconto, che ha nelle tradizioni orali la sua genesi, e piano piano entra nel vivo della storia e nelle psiche dei personaggi.
Chi guarda, chi parla. I tre narratori.
Il film viene pensato e realizzato su vari piani narrativi e strutturali. La formazione variegata di Laughton corrisponde a una natura eclettica del film. I vari piani rappresentano, in realtà, una scelta registica di grande capacità registiche. «I cambiamenti estetici corrispondono ai cambiamenti dei punti di vista. […] Shelley Winters quando è con i suoi bambini è ripresa in maniera realistica, quando è con Mitchum, la luce e l’inquadratura sono molto più drammatizzate.»8
Questa manipolazione del punto di vista è operata in prima battuta da Laughton, ma anche dai narratori della storia. Il film appare «a tripla focalizzazione»,9 vale a dire che tre sono i narratori che intervengono nella storia, ognuno con un proprio punto di vista, ognuno con un proprio carico emotivo, ognuno che può stravolgere o meno le informazioni. I tre narratori condividono lo stesso terreno di gioco, scambiandosi di posto all’interno del racconto. Charles Laughton è il primo tra loro. Un narratore onnisciente, esterno alla storia e a focalizzazione zero. È l’autore che interviene lì dove nessun’altro può, che ci fa visualizzare le scene più oniriche e conturbanti, ma anche quello che ha deciso come narrare questa storia, detta i tempi e gli stati d’animo dei personaggi, ha organizzato il materiale su cui si basano le scene e ha caratterizzato ogni aspetto. È importante da considerare nella trattazione del film, in modo da ricordare che questo è la pellicola di Laughton, e di nessun altro. Mrs. Cooper (Lillian Gish) è la seconda narratrice che incontra lo spettatore lungo il suo cammino. È la prima narratrice che parla nel film, raccontando delle fiabe a dei bambini, i quali personificano gli spettatori. È a metà tra essere una narratrice interna omodiegetica e allodiegetica, in quanto ha vissuto la storia che racconta solo fino a metà. Il terzo narratore è colui che racconta, ipoteticamente, metà storia a Mrs. Cooper. John Harper (Billy Chapin), protagonista del racconto, e narratore autodiegetico fino a metà film, è colui sul quale la storia si concentra, penetrando nel suo inconscio e nei suoi incubi.
È un gioco tra chi guarda, chi ascolta e chi parla, mostrandoci una storia che ci giunge dalle parole di Mrs. Cooper solo dopo che ha ascoltato metà storia da John, e ne ha vissuto l’altra metà.
Se John è colui che racconterà a Mrs. Cooper la storia, è importante chiarire che i suoi ricordi sono deformati. John è un bambino, e guarda con gli occhi di un bambino, e questo Laughton lo ha organizzato alla perfezione, applicando alcune scelte registiche, le quali sembrano tendere al puro estetismo espressionista.
Da inizio film, fino a metà, l’atmosfera è densa di terrore e angoscia. La recitazione, la fotografia, la scenografia e la musica si uniscono, sotto la direzione dell’attore inglese per creare una distorsione della realtà inquietante e personalizzata. Sono specialmente le scene in cui è presente il perfido pastore Powell, antagonista del film, quelle che sembrano provenire più dalla mente impaurita di John che dalla realtà. «Espressionismo sarà dunque il quadro […] in cui l’autore abbia sconvolto le linee e le strutture naturali, accademiche, per ottenere effetti di caricata, esasperata emotività».10 Sono scene dove le ombre si addensano innaturalmente, la recitazione è accentuata dagli occhi sgranati e dai cambiamenti di tono della voce, e gli ottoni dell’orchestra di Walter Schumann avvertono che qualcosa di terribile sta per accadere.
A conferma di tale tesi, la storia assume toni molto meno grotteschi e artefatti quando il testimone del narratore passa da John a Mrs. Cooper, poiché gli occhi che ricordano la storia non sono più quelli di un bambino impaurito, ma di una donna adulta.
La soggettività del film, ereditata dal noir, e quindi dell’espressionismo tedesco (il finale di Il gabinetto del dottor Caligari è emblematico da questo punto di vista), è capace di stravolgere il reale e deformare la materia stessa che viene raccontata, portando all’esterno la sensazione di paura e angoscia che provano i personaggi.
Il signore delle ombre. Espressionismo in La morte corre sul fiume
In un film del genere l’ombra non è solo un fenomeno della fisica, è semiofora. In particolare, l’ombra di Powell ricorda da vicino un’altra di un grandissimo personaggio del cinema tedesco, il “mostro” interpretato da Peter Lorre in M – Il mostro di Düsseldorf. L’ombra dell’assassino di bambini, portato al successo da Fritz Lang, campeggia sul manifesto della sua cattura, proprio dove la sua futura vittima lancia una palla. La stessa apparizione dell’ombra su una parete avviene in La morte corre sul fiume, dove l’ombra di Powell si materializza gigantesca sulla parete della camera da letto di John. Una materializzazione della notte, che Murnau aveva già realizzato con il suo conte strisciante che sale le scale del castello in Nosferatu il vampiro. Sono ombre che afferrano, braccano, strisciano sulle pareti e diventano materia.
Grubb esprime tutta la natura extracorporea di Powell già nel libro, evidenziata poi da Laughton tramite l’interpretazione di Robert Mitchum: «Come se per lui non ci fosse differenza tra il sonno e la veglia, e potesse entrare e uscire dal mondo dei sogni senza interrompere il flusso della coscienza.»11Manipolatore eccellente e abile camuffatore della propria natura demoniaca, Powell si presenta come un profeta del signore, pronto ad aiutare il prossimo e a portare la parola di Dio. Un uomo di chiesa privo di qualsiasi difetto, amorevole, austero, retto, che canta cori come Bringing In the Sheaves scritto dall’evangelico dell’Ohio Knowles Shaw. I tre narratori, ognuno a suo modo, avverte lo spettatore come può. Solo Laughton-narratore può mostrare la vera natura oscura di Powell, mostrando le scene più cruente del pastore. La narratrice Mrs. Cooper ha avvertito i suoi spettatori a inizio film, raccomandandosi di guardarsi dai falsi profeti «che vengono travestiti da pecore ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti. Un albero sano non può far cattivi frutti e un albero cattivo non può produrre frutti buoni.» Il narratore John, dal canto suo, ci fa visualizzare i suoi incubi impressi su pellicola.
Robert Mitchum, con il suo corpo massiccio, lo sguardo sornione e la sua sensualità appesantita, caratterizzata da una torbida lentezza di movimenti, porta con sé un senso di virilità impotente che ne fa un interprete ideale per questo film. Una vera e propria femme fatale al maschile, che seduce e porta alla morte. La sua misoginia va oltre l’odio verso le donne. È una condizione psicologica delirante, nella quale crede di essere stato inviato in missione per conto di Dio come punitore dei vizi e del peccato originale delle donne, se si tiene da parte il suo desiderio di derubarle una volta uccise.
L’odio per le donne è il motore di Powell, ma il denaro che sottrae loro è la ricompensa. In questa pellicola le donne che si muovono intorno a Powell servono solo al suo scopo, mostrando come la teorizzazione di Claire Johnston e Pam Cook, secondo cui le donne nel cinema classico servono «esplicitamente alla circolazione di denaro»12 sia giusta. Un denaro mancante in quel sud degli Stati Uniti degli anni Trenta, rubato da un uomo che disperatamente, andando incontro alla morte, cerca di garantire un futuro dignitoso ai suoi figli e a sua moglie. Denaro che verrà nascosto nella bambola di Pearl per tutto il racconto, elevandola a protettrice ingenua e poco zelante della causa di morte del padre. Ben Harper, ladro e padre di John e Pearl, sarà una delle vittime della Grande Depressione, che Davis Grubb conobbe bene, e che fece scaturire il peggio dalle persone, come pronuncia il boia dopo aver spento l’ennesima vita.
Se Ben Harper ha fatto ciò che ha fatto per disperazione, lo stesso non si può dire per Harry Powell. Il falso profeta è malefico e viscido, simile al serpente che si nasconde sotto le pietre, pronto a balzare in avanti con i denti avvelenati carichi di veleno.
La deformazione materica di cui si parlava prima si realizza nelle scene dove Powell mostra la sua vera natura demoniaca. La camera da letto dove Willa Harper, madre di John e Pearl ed ex moglie di Ben, riposa si trasformerà presto in un’architettura fatta di linee spezzate e geometriche. Un quadro che sembra uscito da un film tedesco degli anni ’20, dove lo scenografo del film Hilyard Brown, premio oscar nel 1964 per le scenografie di Cleopatra di Joseph L. Mankiewicz e per Il mostro della laguna nera di Jack Arnold, invoca il vocabolario visivo dell’espressionismo nella scena dell’omicidio della donna da parte del suo nuovo marito, e sul fienile dove la sagoma-ombra di Powell arriva a cavallo. Un fienile dagli angoli zigzaganti e le forme dure, che si trova lungo il fiume lungo il quale stanno fuggendo i bambini dopo essere scappati. «Trovare nella deformazione del mondo e delle cose l’espressione di uno psichismo allucinato»13 è la cifra stilistica dell’espressionismo, ed è quella a cui tende Laughton, il quale, per tutto il film, richiama le famose architetture dei film più iconici, come le aspre case di Il Golem di Paul Wegener o di Il gabinetto del Dr. Caligari, nel quali «l’ombra e la luce, giocando sulla sagoma dei volumi e sulle architetture espressive»14 creando una realtà scombussolata dalla stessa mente dei personaggi, e facendo entrare gli spettatori in un mondo che «è sostanzialmente il mondo dell’incubo.»15
L’orco e Mamma Oca: la fiaba come lettura psicanalitica.
L’unica donna che non cade nella tela del ragno di Powell è Mrs. Cooper. La narratrice incontrata a inizio film, la quale riappare circa a metà, dopo che i due orfani sono scappati dalle grinfie dell’orco Powell.
I due adulti, Cooper e Powell, si fronteggiano in questo film come luce e tenebra, come il bene e il male che combattono fra loro nella storia che Powell usa per spiegare i suoi tatuaggi sulle nocche, raffiguranti le lettere L-O-V-E e H-A-T-E.
Se Powell è l’orco della storia di John, un mostro venuto dalle tenebre e che si nutre degli incubi dei più piccoli, l’entrata di Mrs. Cooper getta luce su questo buio.
Amorevole, paziente ma austera, amante della disciplina ma anche capace di prendersi cura di tutti gli orfani che si presentano alla sua porta. Nella sua casa degli orfani, la donna ricrea un mondo puro e innocente, fatto dai bambini per bambini. Questo mondo è un ritorno a una fase infantile dei due orfani, che dall’incubo di aver visto il padre impiccato, e l’incubo di un nuovo patrigno che voleva solo agguantare il denaro nascosto nella bambola di Pearl, possono lasciare il mondo tenebroso degli adulti nel quale sono piombati per ritornare bambini.
La risalita del fiume dei due fratellini, passaggio dal mondo dell’incubo a quello reale, in questo senso è una scena fondamentale per capire la natura del film. Questo momento divide in due macrosequenze il film. Nella prima, Laughton si concentra sull’esprimere l’orrore che Powell porta in casa Harper; nella seconda, la storia passa dall’essere cupa e inquietante all’essere più distesa e speranzosa. John il narratore può lasciare questo fardello a Mrs. Cooper-narratrice. Sapientemente, Laughton sa che con il cambio del punto di vista deve cambiare anche la modalità del racconto. Dagli occhi di un bambino si passa agli occhi di un’adulta matura e consapevole. Dagli occhi di un orfano braccato dal nuovo patrigno, si passa agli occhi di chi non ha paura di imbracciare il fucile per far fuggire il lupo.
Su una barca, i due orfani vanno alla deriva sullo stesso fiume nel quale giace la madre morta, quella madre che non li ha protetti dall’orco e ha costretto a una maturazione precoce il
piccolo John, il quale ha preso il posto di suo padre. Queste pulsioni psicologiche, questo inconscio che batte e fuoriesce sottoforma di immagine, viene perlustrato dai due generi con cui il film è stato prodotto.
Se il primo dei generi è il noir-espressionismo che si vede nella prima parte del film, il secondo genere è la fiaba. Entrambi i generi affrontano il materiale psicologico su versanti diversi. Se il noir affonda le sue radici nell’espressionismo e nella letteratura hard-boiled, il suo utilizzo come analisi dell’inconscio è parte di una lunga tradizione che inizia con le letture di Freud e termina con i film in cui prevale la soggettività.
Il secondo genere è quello della fiaba poiché «le fiabe rappresentano gli archetipi nella loro forma più semplice»,16 e i segni che incontriamo durante la storia ci aiutano a decifrare il racconto. Gli studi di Marie-Louise Von-Franz sono essenziali per scoprire il mondo non-detto delle fiabe, come se tutto ciò che incontriamo nel racconto volesse dirci altro.
Questo procedimento è tenuto in grande considerazione dal regista, che semina il film di indizi. Già la risalita del fiume è chiarificatrice di qualcosa. Essa assume, secondo gli studi di Von-Franz, valore «materno e protettivo; […] indica una regressione all’utero. […] Rappresenta uno stadio di transizione nel quale l’eroe è chiuso nell’immagine materna come in una nave.»17 Lungo il percorso di regressione nel fiume lo spettatore può incontrare tutti i segni che condurranno a una visione più oggettiva del racconto. La tela del ragno, la presenza della rana, l’imbarcazione alla deriva, sono tutte immagini che portano verso un significato. Come la tela del ragno riporta al mito di Aracne, la quale rappresenterebbe un ritorno a un primitivo, così la rana, «riporta all’impurità, al sessuale, […] nella prospettiva cristiana la rana era stregonesca e diabolica»105 come Powell, e così, la barca sul fiume rappresenterebbe il ritorno nel ventre materno.
Ma se Powell può essere identificato come l’orco, il lupo, la rana (tutte figure del maligno) Mrs. Cooper ha due grandi attributi: l’albero e Mamma Oca.
L’anziana donna sarebbe un albero su cui possono aggrapparsi tutti gli orfani che vagano e giungono alla sua porta, quell’albero di cui stesso lei parlava a inizio pellicola, e che rappresenterebbe «la Grande Madre. Esso non è solo la madre della vita […], il tronco è un’immagine fallica paterna»,18 sottolineando che in lei si trovano le due anime che gli orfani hanno perso. «Restare seduti su un albero significa regredire rispetto alla realtà e rifugiarsi all’interno di ciò che è minaccioso, invece di evitarlo. Vi è il pericolo di perdere ogni contatto con la realtà e vi è il vantaggio che dal contenuto minaccioso può sbocciare la rinascita.»19
La maturazione di John, costretta sia dalla morte del padre sia da quella della madre, può finalmente trovare una tregua facendogli vivere un’esistenza da bambino felice nella sua nuova casa, fatta di storie intorno al focolare e di pasticcini appena sfornati.
Nessuno più di Rachel riesce a vedere l’anima nera di Powell. L’unica che non si è lasciata incantare dalla sua voce accogliente, l’unica che ha creduto a John, l’unica che ha fatto scappare Powell in preda al terrore, facendolo urlare come un cattivo provenienti dai cartoni animati, in una scena iconica, dove Laughton trasforma il luciferino Powell in un lupo urlante e spaventato, giocando coi generi e con i topoi.
Quel Barbablù, nome con cui i cittadini chiamano Powell durante il processo, può finalmente eclissarsi. La sua condotta ha richiamato per tutto il film il personaggio della fiaba di Charles Perrault nella raccolta di fiabe I racconti di Mamma Oca. Una fiaba che dallo stesso autore non fu chiamata come tale, forse perché ispirata a fatti realmente accaduti, così come La morte corre sul fiume è una fiaba senza essere veramente una fiaba, presa da un racconto che è tratto da fatti realmente accaduti, il quale tratta di un assassino di donne, manipolate, sedotte e
poi uccise.
La creatura di Laughton è un’ovazione ai bambini, un racconto di come essi «sopportano e resistono» contro la malignità degli adulti, il loro cinismo e la loro avidità. Se il cinema è una regressione all’infanzia come diceva Freud,20 questo film ne è la piena testimonianza, in quanto racconta di una regressione all’infanzia da parte di un bambino che non ha superato tutte le tappe di crescita in maniera serena. È una terapia dell’immagine che Laughton mostra a tutti gli adulti che da bambini hanno sopportato e resistito, e che ora possono trovare conforto.
1 Venturelli Renato, L’età del noir: ombre, incubi e delitti nel cinema americano, 1940-60, Einaudi, 2007, p. 442
2 Proust Marcel, Contro Saint-Bevue, Einaudi, Torino, 1991, p. 16
3 Callow Simon, Charles Laughton: dazzling player of monters, mistifs and kings, «The Telegraph», 24 novembre 2012https://www.telegraph.co.uk/culture/film/9700251/Charles- Laughton-dazzling-player-of-monsters-misfits-and-kings.html
4 Il riferimento è al film di James Whale Il castello maledetto
5 Lavorò a teatro con Bertolt Brecht per la versione inglese del Galileo, recitando nella parte principale, sia a Los Angeles sia a New York (diretto da Joseph Losey) nel 1947.
6 Fonderà con Pommer la Mayflower Pictures, casa di produzione inglese che realizzerà tre film, tra cui l’ultimo di Alfred Hitchcock in Inghilterra (La taverna della Giamaica).
7 Fornara Bruno, Charles Laughton – La morte corre sul fiume, Lindau, Torino, p. 187
8 Ivi, p. 140
9 Ivi, p. 54
10 Chiarini Paolo, L’espressionismo. Storia e struttura, La nuova Italia, Firenze, 1969, p. 37
11 Grubb Davis, La morte corre sul fiume, p. 105
12 Pravadelli Veronica, Feminist Film Theory e Gender Studies, in Bertetto Paolo (a cura di), Metodologie di analisi del film, Laterza, Bari, p.65
13 Mitry Jean, Storia del cinema sperimentale, CLUEB, Bologna, 2006, p. 23
14 Ivi, p. 28
15 Venturelli Renato, L’età del noir. Ombre, incubi e delitti nel cinema americano, 1940-1960, Einaudi, Torino, 2007, p. 14
16 Propp Vladimir, La morfologia della fiaba, Einaudi, Torino, p.26
17 Von-Franz Marie Louise, Il femminile nelle fiabe, p. 10
18 Von-Franz Marie Louise, Le fiabe interpretate, p. 13
19 Von-Franz Marie Louise, Il femminile nelle fiabe, p. 142
20 Brunetta Gian Piero, Identità e radici culturali, in Storia del cinema mondiale, Brunetta Gian Piero (a cura di), Torino, Einaudi, 1999, p. 21
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