Due bambini ebrei cresciuti a Cracovia, in Polonia, segnati dalla guerra e dalla tragedia dell’Olocausto, si ritrovano dopo quasi ottant’anni a ripercorrere insieme le strade della loro città e a rivivere la loro infanzia attraverso luoghi carichi di ricordi. Uno cammina celermente appoggiandosi a un ombrello, l’altro impugna una macchina fotografica analogica. Si tratta rispettivamente del regista Roman Polański – piccolo e agile, sguardo vispo, non dimostra affatto i suoi novant’anni (è nato il 18 agosto del 1933) – e del fotografo ottantaquattrenne Ryszard Horowitz, considerato il precursore dell’editing digitale. Sono i protagonisti del bellissimo film documentario Hometown – La strada dei ricordi (Polanski, Horowitz. The Wizards from the Ghetto, di Anna Kokoszka e Mateusz Kudla, Polonia 2021) uscito in Italia sottotitolato a gennaio del 2023 in concomitanza con il Giorno della Memoria.
Le loro famiglie furono confinate nel ghetto di Cracovia in seguito all’invasione nazista della Polonia. Il piccolo Horowitz (classe 1939) fu tra gli internati di Auschwitz ad essere incluso nella salvifica lista dell’industriale tedesco Oscar Schindler, la cui vicenda è stata immortalata da Steven Spielberg nel pluripremiato film Schindler’s List (Usa, 1993). All’età di dieci anni Polański trovò, invece, rifugio in campagna presso una famiglia di contadini cattolici, dove rimase nascosto fino alla Liberazione. Sua mamma morì ad Auschwitz mentre il padre, deportato a Mauthausen, riuscì a salvarsi e, finita la guerra, si risposò rifacendosi una vita.
Il viaggio urbano nella Cracovia di oggi è un viaggio della mente e dell’anima. “Alcuni momenti dimenticati di quando ero bambino, tornano alla mente. È difficile raccontarli, bisogna averli vissuti”, dice il regista. La casa d’infanzia, la scuola, l’abitazione dei nonni, la fattoria che gli ha offerto rifugio dai rastrellamenti: tutto risveglia emozioni sopite, che una vita trascorsa distanti dalla propria terra non ha potuto cancellare. “I ricordi sono terribili, lo devo ammettere”.
Ma la commozione lascia il posto al black humour quando, in visita al cimitero, Polański non riesce a trattenersi dal ridere scompostamente raccontando all’amico le esilaranti disavventure che avevano preceduto le esequie del padre, morto a Parigi negli anni Ottanta. “L’umorismo si manifesta nei momenti più impensati”, dice Roman. Così, tra le lapidi e nel silenzio che li circonda, la sua mente torna all’agenzia funebre internazionale dall’improbabile nome “Bongo”, contattata per organizzare il trasporto della salma dalla Francia a Cracovia, con la bara che scivolava nella stiva dell’aereo insieme a tutti i bagagli. Al momento della sepoltura, i becchini erano tutti ubriachi e il regista si offrì, con altri presenti, di portare a spalla il feretro ma la sua bassa statura lo faceva sbilanciare con i prevedibili effetti. Suo padre aveva sempre avuto una vena comica e vedendo la scena si sarebbe fatto senz’altro una bella risata.
Si sorride anche quando, all’inizio, Polański tira fuori un paio di forbici e vuole tagliare i peli del naso a Horowitz per renderlo più fotogenico alle riprese del documentario. Altro momento leggero è quello che vede i due protagonisti in fila a un chiosco per mangiare un hotdog e bere una birra e, riconosciuto da qualche avventore, il regista (tornato di recente nelle sale cinematografiche con il film The Palace) firma autografi e scambia qualche parola rivangando anche i tempi del comunismo, quando le file per il cibo erano all’ordine del giorno.
Nonostante l’ilarità non manchi, quello di Hometown rimane comunque un percorso malinconico, come le note della vecchia canzone polacca che i due intonano. Un percorso fatto di ricordi “terribili”. “Non li voglio cancellare”, dice Polański, “voglio che rimangano nella mia memoria così come sono. Non li voglio deformare. È doloroso, sento qualcosa nel petto. Non me l’aspettavo che potesse farmi questo effetto. È per questo che non voglio fare un film su quel periodo a Cracovia. Sono ricordi molto importanti per me. Questa visita li sta un po’ offuscando. Ma sarebbe peggio, se facessi un film, se dovessi ricostruire i luoghi, rifare tutto artificialmente. Non rimarrebbe più nulla nella mia memoria”. “D’ora in poi, Cracovia mi sembrerà completamente diversa”, aggiunge l’amico Horowitz, “Perché quando mantieni vivi questi ricordi, assumono un che di romantico. Conserviamo i ricordi belli, quelli brutti diventano sfuocati”.
Dopo che per quasi tutto il film un meteo uggioso ha avvolto paesaggio e uomini in un’atmosfera livida in sintonia con il racconto della tragedia del nazismo, alla fine una ripresa perpendicolare dall’alto ci mostra gli ombrelli aperti dei due amici che, uno affianco all’altro, si allontanano, quasi fusi con l’ambiente come a formare un tutt’uno. Il viaggio si è concluso e i due faranno ritorno alle loro vite con le rispettive famiglie – Polański a Parigi, Horowitz a New York. Ma la strada dei ricordi nella loro Cracovia li ha segnati profondamente.
Lascia un commento